Simone Giusti lavora nel campo della comunicazione, dello storytelling, del cinema e del teatro. Nell’ambito della narrativa esordisce nel 2006 col racconto “Felicità sintetica”; ha poi pubblicato nel corso della sua carriera 38 storie brevi di vario genere, uscite su riviste e antologie, e otto storie lunghe. Per il teatro ha adattato “Il racconto di via Smith” e ha scritto “Le bestie” e “Vodkavalium”, tutti andati in scena. In ambito cinematografico ha prodotto nel 2013 la serie di cortometraggi “Evoc”, il cui primo episodio ha vinto il contest televisivo “Shortbuster”, e ha scritto e diretto la serie web “Le cronache del castello”. È inoltre docente in storytelling ecinema.
“Scacco matto al re bianco” è il suo ultimo romanzo breve, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice Il seme bianco.
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– Ci presenti il tuo romanzo “Scacco matto al re bianco”?
“Scacco matto al re bianco” è la storia di un ricercatore farmaceutico che lavora in Africa nella Compagnia fondata da suo padre. Un giorno si rende conto che il mondo così com’è non va bene e intraprende una lotta per cambiarlo, per renderlo un posto migliore. Quella lotta darà inizio a un effetto domino che travolgerà lui e la sua famiglia, e sgretolerà le sue più profonde convinzioni.
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– Il protagonista del tuo romanzo, Ant Warwick, è il portavoce del profondo senso etico che attraversa la narrazione, nonostante sia un personaggio che dubiti spesso della sua moralità. Ant è infatti un uomo complesso e tormentato, consapevole di essere parte integrante di un sistema disumanizzante, perché col suo stesso lavoro ha contribuito allo sfruttamento dei più deboli. E nel suo viaggio si rende amaramente conto di provare un violento odio come coloro che vuole combattere, e di lottare più per sé stesso che per gli altri. Sul tuo blog personale si dice di “Scacco matto al re bianco”: «La storia dell’uomo che voleva cambiare il mondo, e poi fu il mondo a cambiare lui». Ci parli più nel dettaglio di questo interessante personaggio?
Con molto piacere. Come capita sempre, tutti i personaggi parlano un po’ dell’autore, ma Ant Warwick è quello che parla maggiormente di me. Lui è un idealista, un sognatore, uno che lotta ed è più che certo della sua moralità. C’è un senso di giustizia in lui che travalica gli stessi sentimenti più umani. È un uomo in missione ed è convinto che sia giusto così. Poi accade qualcosa, le prospettive si distorcono e tutto appare molto più caotico di prima. I confini si assottigliano, addirittura si fondono fino a sparire. Ed è lì, in un viaggio contro tutti, come tanti specchi di quello che c’è dentro di lui, che pian piano si rende conto che il nemico che vedeva fuori in realtà era il nemico che aveva dentro di sé. Voleva cambiare il mondo, e poi fu il mondo a cambiare lui.
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– Sei uno scrittore molto prolifico. Da cosa trai ispirazione per le idee che fanno nascere le tue storie brevi e i tuoi romanzi?
La mia vita adesso è il continuo cambiamento. Ogni giorno non sono mai lo stesso che hai incontrato il giorno prima. Lo stesso vale per i metodi che utilizzo per trarre ispirazione. All’inizio mi lasciavo ispirare da personaggi e situazioni, reali e inventate, che adoravo, che vedevo al cinema, che leggevo sui libri, che vedevo in Tv, che poi arricchivo con fantasticherie. Poi ho iniziato a utilizzare quelle stesse fonti d’ispirazione in un modo più profondo, vale a dire: sfruttarli come specchio per tirare fuori cose che sono dentro di me. Ora sono passato a un livello successivo: non mi basto più. Ora preferisco utilizzare la tecnica dello specchiamento in gruppo così da lasciar campo libero a molteplici profondità che scalpitano per venir fuori. È una tecnica che inconsapevolmente ho già usato in passato, come con “Guerre corporative” che fu un romanzo scritto in base a un anno intero di gioco di narrazione con tre amici. Ma solo ora la sto spingendo verso il massimo delle sue potenzialità. Con altri scrittori e non scrittori sto infatti portando avanti diverse storie, e la fioritura di intrecci e personaggi e psicologie e verità è strabiliante anche per me.
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– Dalle tue opere emerge una forte attenzione per la costruzione della trama. Cosa insegni nel tuo corso di scrittura “Storytelling, il metodo vincente”?
Hai colto nel segno. Un tempo ero solito distinguere gli scrittori in due categorie: gli strutturali e i supernarratori. Alla seconda appartengono quelli che hanno il dono della poesia in punta di penna. Alla prima appartengo io, quelli cioè che hanno l’istinto per l’intreccio, che inseriscono con cognizione di causa parole e gesti, quelli che di solito sono fortemente visivi e sfruttano questa capacità come sceneggiatori. Ecco, nei miei corsi di storytelling creativo non insegno a scrivere, insegno piuttosto a tira fuori lo scrittore che è già in te. Per farlo racconto tutto ciò che è stata la mia vita da scrittore, anche prima di farlo per davvero, vale a dire: andare più in là per capire i perché. Nei miei corsi porto i partecipanti a scoprire i meccanismi base della narrazione in una discesa verso i motori più profondi che stanno alla radice di ogni storia, vale a dire: le dinamiche base dell’essere umano. Il perché della storia, il perché dei personaggi, il perché della trama, di ogni trama, sta tutta lì. Capito quello, hai la pietra filosofale della narrazione, e hai molto di più.
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– Sei autore della saga horror-comedy “Evoc”. Ci racconti di cosa tratta questo tuo progetto in ambito cinematografico?
Questo è un progetto fantastico che mi ha dato tantissimo. Nacque nel 2012 come semplice sceneggiatura. La voglia di metterlo in pratica mi spinse a studiare cinema, regia, montaggio e approfondire la sceneggiatura. Oggi devo tantissimo a quel progetto perché mi ha reso professionalmente quel che sono. Per quanto riguarda la storia è la classica avventura d’azione targata anni Ottanta con un nerd che evoca belle ragazze da altre dimensioni, quando mostra il rituale a due amici qualcosa va storto e scatta il problema. I personaggi, da semplici ragazzi di provincia, si trasformano in salvatori dell’umanità, ovviamente da anti-eroi. Per il momento il progetto è fermo a tre episodi (tutti visibili su Youtube) per più d’un’ora di proiezione. Gli attori scalpitano per produrre gli ultimi due. Mi sa che i tempi sono maturi.
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– “Scacco matto al re bianco” è caratterizzato da una scrittura veloce, ritmata, direi certamente cinematografica. C’è una colonna sonora che consiglieresti da tenere di sottofondo mentre si legge il tuo romanzo?
Una delle primissime lettrici, che ringrazio davvero tanto per le belle parole spese per il romanzo, disse che lei ci sentiva “Extreme Ways” di Moby. Be’, ammetto che Ant e Jason Bourne si somigliano molto: entrambi devono capire chi sono. Questa è la musica giusta per la mia storia.
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– Sei un autore di narrativa di genere, di cinema e di teatro; sei un docente ed esperto di giochi di ruolo. Sei laureato in Archeologia, ma hai poi deviato dal tuo percorso e hai seguito il tuo amore per lo storytelling. Chi è davvero Simone Giusti, e cosa desidera per il suo futuro umano e professionale?
Chi è davvero Simone Giusti è una risposta secca che rischia di essere incomprensibile. Per questo tidico che quelle che hai elencato sono tutte cose che rivestono Simone Giusti come veli di cipolla, che però sotto sono alimentate da un’altra cosa, ed è la stessa cosa che alimenta ogni essere umano, che si manifeste col sogno e parla attraverso l’intuizione. Per il mio futuro umano e professionale desidero una cosa soltanto, quella che da quando è divenuta il mio motore di vita ha dato le più grandi e immense soddisfazioni: la felicità. Il primo scopo dell’essere umano è scoprire il suo talento; il secondo è assecondarlo. Tutto il resto sono gli ostacoli che devono capitare altrimenti la vita non sarebbe bella così com’è. Antonella Quaglia
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Antonella Quaglia
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