Intervista a Simone Cozzi, autore di “Lo spazio torbido”

Simone Cozzi è nato a Milano nel 1967. Appassionato di storia e del genere giallo/poliziesco pubblica per Panda Edizioni il suo primo romanzo “La pace inquieta” (2015) a cui seguono “Doppio Strato” (2016) e “Lo spazio torbido” (2018). Nel suo ultimo lavoro, ambientato in una nevosa Milano ai tempi del fascismo, si seguono le indagini su un indecifrabile omicidio e i tormenti personali del Delegato di polizia Vittorio Ripamonti, personaggio già incontrato nel romanzo d’esordio dello scrittore.

“Lo spazio torbido” si apre a diverse chiavi di lettura. Ci si può concentrare sull’approccio filosofico alla vita del Delegato di polizia Vittorio Ripamonti, sul contesto storico che racconta degli anni oscuri del fascismo in Italia o sulla trama incentrata su un omicidio e le successive indagini. Come definiresti il tuo romanzo?

Un’indagine intima collocata su un palcoscenico sproporzionato. Uno dei miei autori preferiti, Leo Perutz, ambienta i suoi romanzi in epoche storiche rilevanti (La rivoluzione francese, La prima guerra mondiale, L’epopea napoleonica) ma ha al centro le vicende di oscuri personaggi. Mi piace pensare di aver tratto insegnamento dalla lettura dei suoi romanzi per narrare la vicenda umana del protagonista, un uomo controverso, un antieroe, che si trova a fronteggiare il male su differenti piani: il crimine compiuto da un essere umano verso un proprio simile, e il Male con la M maiuscola, ossia il crimine di un tiranno nei confronti del proprio popolo.

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Il protagonista de “Lo spazio torbido”, Vittorio Ripamonti, si trova a un certo punto a identificarsi con l’assassino, a condividere il suo bisogno di far emergere il lato oscuro, presenza costante in ogni essere umano. Egli è in continua lotta con sé stesso, e questo aspetto ne fa un personaggio vivo e complesso, che sa emozionare e che fa riflettere. Quali sono state le ispirazioni per delineare la sua figura?

Ripamonti è, a ben vedere, uno strumento che ho usato per esplorare me stesso. Posso dire che la fonte di ispirazione per delineare il personaggio del Delegato è la mia stessa natura. Scrivere Lo spazio torbido è stata un’operazione che non esito a definire catartica. Più scrivevo di Ripamonti, più comprendevo me stesso; più avevo coscienza di me, più riuscivo a tratteggiare il mio protagonista. Un circolo virtuoso, direi.

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Quali sono gli autori che ammiri, e che hanno segnato il tuo percorso di lettore e scrittore?

Amo Paul Auster per la sua scrittura priva di orpelli e per la sua capacità di creare personaggi votati all’autodistruzione e alla successiva redenzione. Di Leo Perutz ho parlato prima, perché sa raccontare storie fantastiche senza perdere di vista la logica e la razionalità. DI Dostoevskij amo la meticolosa analisi del profondo di ogni individuo. Lo spazio torbido deve, in questo senso, molto a Delitto e castigo.

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Ti è mai capitato di dire: “Questo romanzo l’avrei voluto scrivere io”?

Moltissime volte. Cito un esempio su tutti: Il ritratto di Dorian Gray. È un noir, se vogliamo, nel quale Wilde non perde mai di vista la lievità e il senso del bello. Un romanzo meraviglioso.

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Nella postfazione a “Lo spazio torbido” racconti a grandi linee di ciò che ti ha ispirato per scrivere il tuo romanzo. Ci racconti come è nata l’idea di fondo della tua opera, e in che modo l’hai sviluppata?

Stavo prendendo un Martini con un’amica, nei dintorni di Mandello del Lario. Parlavamo di vicende familiari e di avi. Lei mi raccontò di lontani parenti, di un delitto all’Hotel Principe e Savoia, di ricerche mediche, il tutto avvenuto all’inizio del Novecento. Presi appunti e lasciai germogliare l’idea per qualche mese. Poi, in una fase di cupezza emotiva, a me necessaria per poter creare, ho iniziato a scrivere e in un mese avevo completato la prima stesura.

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Che cosa significa per te scrivere e inventare storie?

Per usare un termine inflazionato, credo sia catartico. Mi dà benessere. Quando mi calo nella scrittura riesco a isolarmi da tutto il mondo e vivo davvero dentro al mio romanzo in fieri. Nella vita di ogni giorno sono finance manager e questa professione mi fa mancare quel lato creativo che invece riesco a trovare scrivendo. Poi dà soddisfazione constatare l’apprezzamento dei lettori, certo. Ma non scrivo per questo. Scrivo per me. Quando ho inviato il manoscritto all’editore, ho già ottenuto ciò che cercavo.

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Tornerà in un’altra storia il nostro amato Vittorio Ripamonti, o è ormai andato in pensione?

Ho già scritto un centinaio di cartelle di una terza avventura, provvisoriamente intitolata Il buio è prossimo, che inizia esattamente da dove si conclude Lo spazio torbido. Dipenderà poi da Andrea Tralli, il mio editore, se farlo tornare o meno.

 

Edoardo Battaglia

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