Intervista a Prem Dayal: autore di “Mavaffanguru. Guida spirituale per mistici senza Dio”

Prem Dayal è uno scrittore, artista, drammaturgo e maestro di meditazione. Attualmente vive in Messico, dove ha fondato L’Osho Meditation Center. Pubblica “Me vale madres” per la casa editrice Penguin Random House (tradotto in italiano con “Mavaffanguru. Guida spirituale per mistici senza Dio“) divenuto un best seller con più di 200.000 copie vendute. Ha inoltre pubblicato “Tantra e Salsiccia, Il Calendario Eterno” e “Autobiografia de un Pinche Guey” (in italiano edito con il titolo “Mi Volevano Normale“).

– “Mavaffanguru. Guida spirituale per mistici senza Dio” è un’opera molto complessa, che affronta il tema della ricerca spirituale. È un viaggio attraverso un percorso di risveglio della coscienza condotto con l’arma tagliente del sarcasmo; una scelta che rende il testo originale, divertente e nel contempo di facile e piacevole lettura, nonostante tratti di argomenti seri e fondamentali per l’essere umano. Vuole parlarci più nel dettaglio della sua opera?

Questa opera nasce proprio dal desiderio di rendere accessibile a chiunque temi che spesso vengono trattati con una insopportabile serietà, o con pio dogmatismo, o con stile esotico e travestimenti orientali. Ho scelto un linguaggio “blasfemo” proprio per andare all’estremo opposto e mandare un messaggio che è stato risolutore nella trasformazione della mia vita, e questo messaggio è: la spiritualità non è una cosa seria, non ha niente a che vedere con credenze, pregiudizi e libri polverosi di dubbia provenienza. È per questo che in “Mavaffanguru…”, invece di far guidare il lettore da maestri storici o entità sovrannaturali, ho affidato il ruolo di “Virgilio” a un personaggio improbabile, Peppino Cocozza, un perdigiorno sempre occupato in attività insignificanti, che enunciando “Mantra Italiani” offre gli stessi squarci di saggezza che si possono trovare in un autentico trattato serio in termini di laica spiritualità. Per dirla in breve, la caratteristica di questo libro, e del suo successo, è di usare un linguaggio comico per aprire una finestra sul mondo della ricerca spirituale, e nello stesso tempo offrire elementi di profonda riflessione e ispirazione.

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Nella prefazione a “Mavaffanguru. Guida spirituale per mistici senza Dio” afferma: «Nello scrivere questo libro mi sono dedicato a fare ciò che più mi diverte: far ridere, scandalizzare, provocare, ispirare e fare arrabbiare gli ortodossi di qualsiasi banda». È alla meschinità della società che si rivolge, a un mondo fatto di apparenze e costrizioni, che castra l’intelligenza per coltivare l’ignoranza, più utile sicuramente allo scopo di manipolare le coscienze. L’identificazione è uno dei mali del mondo secondo il guru Peppino Cocozza, il voler a tutti i costi essere diversi da ciò che si è, appoggiare credenze magari obsolete e contro natura ma che fanno sentire al sicuro. È molto bello un passaggio nel libro in cui si dice che quando si comincia a fingere di essere qualcuno che non siamo, il naturale processo di trasformazione della coscienza si ferma, perché solo ciò che è vero e vivo può crescere. Che cosa spinge l’essere umano a cercare sempre l’identificazione, e perché secondo lei è così pericolosa per la sua vita?

Come prima cosa vorrei specificare che Peppino Cocozza non è un guru ma un “vaffanguru” o, se preferisci, un “paraguru”. Mi fa piacere che menzioni questo tema perché è uno dei fondamentali del libro. L’identificazione è il vero cancro della coscienza, perché il semplice fatto di essere identificati con qualcosa indica che si crede di essere qualcosa che non si è. E come potrai mai sperare di essere felice e compiere il tuo destino se vivi pensando di essere una persona che non sei? Nessuno nasce italiano, francese, cattolico, ebreo, del Milan o del Real Madrid, però veniamo programmati per esserlo. Ci insegnano l’orgoglio di essere un napoletano, un torinese, un Renzulli o un Manganaro… Tutte cose che dal punto di vista spirituale sono assolute stupidaggini. Tutte le identificazioni che si danno di se stessi sono degli ostacoli allo sviluppo di un’autentica intelligenza. Tu mi chiedi “Che cosa spinge l’essere umano a cercare sempre l’identificazione?”. Appartenere a un gregge è confortante. È umiliante, ma da sicurezza. Per viaggiare da solo serve coraggio.

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In apertura delle due parti in cui è divisa la sua opera, “La Malattia” e “La Medicina”, ha inserito due citazioni del maestro spirituale indiano Osho. Lei è insegnante di meditazione, e fondatore dell’Osho Meditation Center Mexico. Che tipo di meditazione insegna ai suoi allievi? Quando ha deciso che era arrivato il momento di “disubbidire” e di seguire la propria via verso il risveglio della coscienza, quanto l’ha aiutata la meditazione e dove l’ha appresa?

La prima e fondamentale cosa che insegna un vero Maestro è a essere disubbidiente. E in questo sono proprio un buon discepolo. Ho imparato la meditazione in India, dove fra una cosa e l’altra ho vissuto quasi 10 anni, e in giro per il mondo praticandola per conto mio. Sicuramente Osho è stato il mio ispiratore e l’elemento catalizzatore della mia trasformazione. Ma adesso, da buon discepolo disobbediente, per insegnare la meditazione ho creato un forma personale legata direttamente alla mia esperienza e alla mia sensibilità. Conduco happenings di terapia di gruppo, trainings, eventi e conferenze; tutto destinato all’arduo compito di far capire la meditazione a una mente occidentale. Per quanto riguarda me, l’incontro con la meditazione ha segnato un prima e un dopo. La felicità che avevo cercato disperatamente negli angoli più remoti alla fine l’ho trovata dentro di me. Lo so che una cosa del genere, se a dirla non è un Benigni, suona come l’affermazione di un qualcuno vittima di una stravagante allucinazione; ma ciò che ho detto è esattamente ciò che mi è successo.

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Ci può raccontare di cosa parla la sua opera “Mi volevano normale”, che lei ha definito “una storia di errori necessari”?

È un romanzo che racconta fatti reali, quelli di un me stesso in cui non mi riconosco più… o quasi. Quando il mio editore messicano mi chiese di scrivere un’autobiografia rifiutai, perché mi sembrava un esercizio autocelebrativo di cattivo gusto. Poi ebbi l’idea di raccontare la prima parte della mia vita, quella anteriore al fatidico (almeno per me) 18 gennaio del 1993, perché alla fin fine non si trattava d’altro che di un inconsapevole percorso iniziatico. “Mi Volevano Normale” racconta del tentativo disperato di un giovane di provincia che cerca di riscattarsi dal destino familiare… dalle identificazioni. È la storia di una ribellione, di un viaggio nell’oscurità alla ricerca di se stessi, che traccia un ritratto generazionale che va dagli anni ‘60 agli anni ’80. Mi sono divertito a raccontare di un personaggio che avvolge il suo costante disorientamento esistenziale in una strombazzante fanfara fatta di birichinate infantili, teppismo adolescenziale, sogni rivoluzionari, autostop, droghe, teatro di strada, amori, arte, figli nati per sbaglio… È, come tu hai ricordato, “una storia di errori necessari”. Fra le tante cose che racconto nel libro, mi piace menzionare un’indimenticabile stagione al fianco del grande amico Dario Fo.

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Da “Mavaffanguru. Guida spirituale per mistici senza Dio”: «Piano piano ci siamo allontanati dalla saggezza della vita, piano piano ci siamo allontanati da noi stessi, ci siamo allontanati da Dio». L’uomo è stato costretto a rinunciare alla sua unicità e soprattutto, come lei afferma, è stato posto nella condizione di essere in conflitto con sé stesso, oltre che, di riflesso, con gli altri. Come possono essere d’aiuto i “Mantra Italiani” da lei descritti per ritrovare unità e riappacificarci con la nostra natura più autentica?

In Messico spesso vengo fermato per strada da gente che mi dice che il mio libro gli ha cambiato la vita. All’inizio mi sorprendevo, adesso mi sono abituato. È paradossale ma i “Mantra Italiani”, che nascono come una provocazione amena alla spiritualità tradizionale, sono autenticamente di aiuto nella liberazione dello spirito. Ne cito uno, il mantra del distacco “Macchissenefrega”. Questa espressione così comune, se usata nell’ambito del mondo interiore, può essere di tremendo aiuto a chi è alla ricerca di se stesso. È un “mantra” che porta il “praticante” a prendere una distanza dalla mente condizionata che ci impedisce di agire e vivere in accordo alla nostra natura più intima, e che per tanto ci ostacola nella scoperta di chi effettivamente siamo. Per dirla in altra maniera, i “Mantra Italiani” sono un antidoto contro le identificazioni di cui parlavamo all’inizio.

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Il modo in cui parla delle religioni in “Mavaffanguru. Guida spirituale per mistici senza Dio” è illuminante. Per quanto a molti potrà sembrare un discorso controverso, ho apprezzato la sua affermazione che Dio non è amore se vuole che l’uomo rinunci alla sua spontaneità costringendolo ad essere fedele a norme e leggi che snaturano il tuo essere. Dalla sua opera: «L’idea di doversi guadagnare l’amore sotto ricatto allontana per sempre gli uomini dal naturale sentimento di autentica religiosità». Cos’è la vera religiosità per lei?

Io non credo in Dio, ma ho fiducia in Lui. Considero che l’animo umano, quando non è contaminato da credenze religiose, morali arbitrarie, ideologie bislacche, nazionalismi criminali e tifoserie infantili, è naturalmente virtuoso… “divino”. La vera religiosità è laica, ordinaria, naturale… Se ci credessi mi piacerebbe pensare che in una vita passata sia stato Baruch Spinoza.

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Citando le sue parole: “La madre di tutte le domande è: perché l’umanità è così fottuta?”. È il guru Peppino Cocozza, con cui lei intrattiene un illuminante quanto surreale e irriverente dialogo, a dare una risposta al suo quesito, vedendo nell’educazione quel processo posto tra l’infanzia e l’età adulta che proietta l’essere umano fuori dall’età dell’oro per farlo precipitare nell’età del piombo. Genitori, maestri e sacerdoti vengono definiti “alchimisti al contrario”, colpevoli di essere la causa dello snaturamento dell’uomo, del suo perdere quella autenticità e ribellione che lo contraddistinguono nell’infanzia, che finisce quando l’individuo viene addomesticato e il suo pensiero viene fatto scorrere forzatamente su binari precostruiti. Secondo me la parte dedicata all’educazione è una delle più interessanti dell’opera, quella che più fa riflettere. In cosa fallisce l’educazione così come è concepita, e quali sono secondo lei i rimedi ai danni che purtroppo inconsciamente (e, a volte, consciamente) essa arreca?

La meditazione!

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