Paolo Grugni (Milano, 1962) esordisce nella narrativa con il romanzo “Let it be” (Mondadori, 2004; Alacràn, 2007, Laurana Editore, 2017). Autore molto prolifico, pubblica diversi romanzi tra i quali si ricordano: “Mondoserpente” (Alacràn, 2006), “Aiutami” (Barbera, 2008 e nel 2014 in ebook per Laurana Editore), “Italian Sharia” (Perdisa, 2010), “Darkland” (Melville, 2015), “Pura razza bastarda” (Laurana Editore, 2018). È inoltre autore della silloge “Frammenti di un odioso discorso” (in ebook per Laurana Editore, 2017). “Il Palazzo delle lacrime” (Laurana Editore, 2019) è il suo ultimo romanzo, una vicenda tratta da una storia vera, raccontata sullo sfondo della Berlino divisa dal Muro
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– Di cosa parla il tuo nuovo romanzo Il Palazzo delle lacrime? Vuoi condividere con noi una citazione all’opera che ti sta particolarmente a cuore?
Parla di un Paese, la Germania, diviso in due da un muro costruito per impedire di fuggire a chi voleva andarsene dalla zona di occupazione sovietica. È un romanzo storico e politico, ma come sempre per narrare la storia mi sono avvalso di altri stilemi: in questo caso quello dello spionaggio. Molto ho imparato dai romanzi di Len Deighton. Citazione: «Abbiamo dato credito alla teoria marxista che afferma che, quando il popolo si trova in una condizione di falsa coscienza e non è in grado di valutare cosa è meglio per lui, il Partito deve adottare un ruolo guida agendo nel solo interesse del popolo, anche se la sua politica è in contrasto con la volontà del popolo stesso. Ecco perché ci siamo trasformati in un stato di polizia».
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– Il “Palazzo delle lacrime” è tratto da una storia vera. Come sei venuto a conoscenza di questa vicenda, e perché hai deciso di raccontarla?
Casualmente. Mi ha contattato la figlia di un ex-maggiore della STASI, la quale mi ha sottoposto in visione il diario del padre, chiedendomi se potevo narrarne la storia. La storia è risultata talmente avvincente che non ne ho potuto farne a meno. La fuga di una vera spia dal muro di Berlino non poteva che essere consegnata ai posteri in occasione del 30° anno del crollo del muro stesso.
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– Come hai gestito la caratterizzazione dell’intenso protagonista Martin Krause?
È stato ricalcato sulla figura fornitami dal diario, ma al tempo stesso è stato rielaborato per renderlo personaggio credibile all’interno di una fiction credo avventurosa quanto appassionante. Krause è in fondo l’ultimo degli antieroi a entrare a far parte della galleria dei miei personaggi.
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– Hai un passato da giornalista. Perché in seguito hai scelto di dedicarti a tempo pieno alla narrativa? Cosa significa per te scrivere e raccontare storie?
Ho lavorato molti anni come giornalista musicale e autore televisivo, ma sentivo che al mio scrivere mancava sempre qualcosa. Per cui ho trovato il coraggio di mollare il giornalismo e dedicarmi alla scrittura. Ovviamente non sapendo come sarebbe andata. Per fortuna è andata bene e negli anni ho potuto pubblicare tutto ciò che ho scritto. Questo è il mio 10° romanzo.
Raccontare storie significa per me entrare in un mondo parallelo alla ricerca e alla scoperta di storie inedite che abbiano un forte collegamento con la realtà che viviamo.
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– Sei un autore molto prolifico. Qual è il genere letterario in cui ti trovi più a tuo agio come scrittore? E quale invece ami più frequentare come lettore?
Come fruitore leggo prevalentemente letteratura straniera, soprattutto tedesca dato i miei studi da germanista. Quando scrivo non ho un genere preferito. Cerco quello più adatto alla storia che devo scrivere e lo conformo alle mie esigenze.
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– Quali sono le opere e gli autori che hanno influito maggiormente sul tuo percorso umano e professionale?
Vado random: Garcia Marquez con “Cent’anni di solitudine”, Saramago con “Memoriale del convento”, Solschenizyn con “Arcipelago Gulag”, Coetzee con “Vergogna”, Carol Oates con “Blonde”, Kazou Ishiguro con “Quel che resta del giorno”, Manea con “Il ritorno dell’huligano” e tanti altri.
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– So che per scrivere Il Palazzo delle lacrime ti sei trasferito a Berlino. In quale città ti porterà il tuo prossimo progetto letterario?
Non so se a viverci, ma sicuramente andrò a Belfast quando arriverà il tempo di scrivere della guerra civile irlandese. Altro progetto che impegnerà anni.
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Paola Revvi