Intervista a Ferdinando Camon: autore dell’opera “A ottant’anni se non muori t’ammazzano”

Un grido d’accusa verso le politiche di discriminazione messe in atto durante l’epidemia di Coronavirus

Ferdinando Camon (Urbana, 1935) è uno scrittore, giornalista e intellettuale italiano. Il suo primo romanzo, “Il quinto stato” (Garzanti, 1970), è uscito con una prefazione di Pier Paolo Pasolini ed è stato tradotto in Francia per interessamento di Jean-Paul Sartre. Tra le altre sue opere pubblicate da Garzanti si ricordano: “La vita eterna” (1972), “Un altare per la madre” (1978 – vincitore del Premio Strega), “Mai visti sole e luna” (1994), “Occidente” (1975), “La malattia chiamata uomo” (1981), “La donna dei fili” (1986), “Il canto delle balene” (1989), “La Terra è di tutti” (1996), “La cavallina, la ragazza e il diavolo” (2004) e “La mia stirpe” (2011). Con Guanda ha pubblicato nel 1991 “Conversazione con Primo Levi” e nel 2019 “Scrivere è più di vivere”. Nel 2020 pubblica l’opera “A ottant’anni se non muori t’ammazzano” per Apogeo Editore in versione cartacea e per il Narratore in versione audiolibro. Ferdinando Camon è tradotto in venticinque Paesi e le sue opere sono pubblicate anche in edizioni per ciechi, in Italia e in Francia. Nel 2016 gli è stato assegnato il premio Campiello alla Carriera

  • Ci presenta la sua opera “A ottant’anni se non muori t’ammazzano”?

È una denuncia, un lamento e una protesta. Molti ministeri della Sanità nel mondo adottano il principio che bisogna risparmiare medicine, medici, infermieri, posti letto, e perciò stabiliscono che certe categorie di malati che han bisogno di essere curati e guariti vanno respinte a priori, non solo non vanno accolte nei reparti ma non vanno nemmeno caricate sulle ambulanze. Succede perfino che i conducenti delle ambulanze stesse, quando arriva una chiamata urgente, chiedono l’età del malato, e se è un’età avanzata non partono nemmeno, con ciò stabilendo la morte del paziente. In Italia si adotta questo principio, per cui l’età è il principale fattore che si prende in considerazione per decidere se il paziente vale la pena di salvarlo o no. Anche la Francia, la Spagna, gli Stati Uniti tengono in considerazione l’età. La Spagna aggiunge anche lo stato sociale, cioè la casta di appartenenza. Gli Stati Uniti anche lo stato cognitivo, con ciò escludendo i pazienti mentalmente svantaggiati. Con l’epidemia, la Sanità non si propone più di salvare tutti, ma di selezionare. A me pare un metodo che rinnega il giuramento d’Ippocrate, i principi cristiani, e la dignità dell’uomo. Si lascian morire certi pazienti non perché non abbiamo scienza per salvarli, ma perché vogliamo risparmiare. Per me è inaccettabile.

  • Con la casa editrice il Narratore ha pubblicato la sua opera in formato audiolibro, e so che accadrà anche a diversi suoi romanzi precedenti. Quali sono i motivi di questa scelta?

Un libro è un messaggio, che adempie la sua funzione se giunge a destinazione. Il libro che si legge raggiunge certi destinatari, il libro che si ascolta ne raggiunge certi altri. Il libro che si ascolta non è lo stesso che si legge. Non dice le stesse cose, non con lo stesso tono, e ha un’altra efficacia. Ascolto questo A ottant’anni, e mi sembra di un altro autore. Il libro scritto lo s’incontra in studio o in biblioteca, il libro letto arriva da un pulpito.

  • A ottant’anni se non muori t’ammazzano è un titolo provocatorio, che rispecchia la sua amarezza per come è stata gestita la categoria degli anziani durante l’epidemia di coronavirus. Nell’opera usa parole forti, come quando afferma: “Nell’inconscio di chi sente o legge la morte di un vecchio si fa strada il concetto che la morte di un uomo anziano sia un atto di giustizia”. Cosa l’ha turbata di più di questa situazione?

Il fatto che la morte di un anziano viene data dai media come una cosa senza importanza. Io mi son formato con un concetto per cui la Sanità cerca di salvare tutti, anche i poveri, anche i non-intelligenti, anche i non alfabetizzati, da noi, in Italia, anche i condannati e incarcerati. Questo è umano ed è cristiano. Lasciar morire certi malati, perché sono poveri, perché sono dementi, o perché sono anziani, è la fine della civiltà.

  • Lei afferma: «Noi 85enni abbiamo attraversato tutta la guerra, dal fascismo alla sconfitta. Io ho visto come s’impicca, come si fucila, come si seppellisce. Perdendo noi 85enni l’umanità perde quella fetta di uomini che sanno una sua verità grandiosa e nefanda. Io so la “verità”, senza di me, senza i miei coetanei l’umanità perde quella conoscenza e diventa manipolabile». Senza la memoria storica degli anziani la civiltà è condannata a morte certa?

Gli anziani sono libri incarnati, fatti persone. Senza libri non c’è memoria e non c’è civiltà. Gli anziani sono la Stirpe. Per questo Enea, quando scappa da Troia in fiamme, si porta sulle spalle il padre Anchise: oggi lo farebbe morire, sparandogli in testa.

  • Dalle sue parole: “I miei libri sono tribunali. Tutti. In alcuni sono giudice, in altri testimone. Perché il mondo abbia giustizia, è bene che il giudice-testimone viva”. Quale deve essere il ruolo della letteratura in quest’epoca disordinata? Lei ha sempre raccontato la sua verità senza censurarsi e senza lasciarsi imbavagliare; crede quindi che gli scrittori debbano partecipare attivamente al dibattito politico e sociale?

Scrittori miei contemporanei e coetanei dichiaravano che la letteratura è menzogna, la letteratura è gioco. Io ho sempre pensato che la letteratura è testimonianza. Lo scrittore scrive perché ha una verità da dire. Se non ce l’ha, tanto vale che stia zitto. Non occorre che lo scrittore faccia politica in un partito. Può far politica anche scrivendo.

  • C’è molta rabbia ma anche molta sofferenza in ciò che scrive in A ottant’anni se non muori t’ammazzano. Mi ha molto colpita una frase verso la fine dell’opera, che recita: “C’è stata una selezione. Chi non è stato portato via si sente in colpa, perché non ha nessun merito. La vita che mi resta da vivere non m’interessa più come prima”. Ha davvero perso interesse per la vita, o era solo un momento di sconforto? Quali progetti vorrebbe ancora realizzare?

Alcuni miei amici sono morti, non ci sono più. Io scrivevo anche per loro. Quando scrivevano libri, li leggevo subito, ora non li scrivono più. Il mondo è meno interessante, s’è impoverito. In casa mia han dormito il mio traduttore francese, quello tedesco, quello argentino… Dal mio ombelico partivano fili che irretivano tutto il mondo. I miei traduttori erano anche autori in proprio. Sono mondi che si spengono.

  • Pandemie, catastrofi, violenza, intolleranza: come vede il futuro dell’umanità?

Sono mali perenni, tranne il primo. La pandemia è un male epocale, è scoppiato adesso, e avvelena la nostra vita. Ne usciremo in pochi, ne usciremo male. Evidentemente, siamo colpevoli verso la Natura, e la Natura ci punisce. Ben ci sta.

Antonella Quaglia

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