Marco Caneva è nato nel 1978 a Monza, e ha trascorso l’infanzia in Medio Oriente. Da sempre grande appassionato di scrittura, partecipa a diversi concorsi letterari e pubblica con le Edizioni Caosfera la raccolta di racconti “Storie speciali di persone normali“, una testimonianza delle mille sfaccettature e potenzialità dell’essere umano.
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– Qual è il filo comune che lega i vari racconti di “Storie speciali di persone normali”?
Tutti i protagonisti del mio libro sono persone semplici che si misurano con le piccole e grandi difficoltà della vita. Alcuni si ribellano alla realtà in cui vivono perché capiscono che non è quella più affine alla loro essenza, altri lottano contro violenza ed ingiustizie o cercano una rivalsa verso un’esistenza che li ha delusi. Tutti i miei personaggi vogliono essere stimolo per chi cerca di vivere una vita più gratificante e non esita a mettersi in gioco in prima persona per ottenere questo scopo.
– Ha trascorso l’infanzia in Medio Oriente, venendo a contatto con una cultura e un modo di pensare differente da quello occidentale. Quanto ha arricchito la sua esperienza umana e di scrittore?
Il periodo trascorso in Medio Oriente è stato uno dei più belli della mia giovinezza. Per un bambino credo sia il massimo scoprire nuovi paesaggi, altre realtà e differenti stili di vita con i quali confrontarsi. Questa esperienza mi ha permesso di sperimentare e conoscere luoghi, persone e usanze molto diverse dalla realtà che avevo conosciuto fino quel momento.
– I racconti di “Storie speciali di persone normali” sono estremamente variegati, per ambientazione e modo di approcciarsi alle tematiche raccontate. Quali sono le sue fonti di ispirazione? Quali opere o autori ha avuto in mente mentre scriveva?
Mi ispiro alla mia quotidianità, a tutto quello che sento o avverto nelle mie giornate. Una frase ascoltata per caso, una vicenda di cronaca, l’esperienza mia o di persone che conosco, un’idea. Tutta la mia vita mi ha dato l’ispirazione per scrivere questi racconti.
– Quali sono i vantaggi e gli svantaggi della dimensione breve del racconto rispetto a quelli del romanzo?
Con il racconto ho potuto affrontare diverse tematiche molto differenti tra loro, e farle vivere ai personaggi più disparati. Ogni racconto di questa raccolta è un piccolo mondo che volevo portare alla luce e la brevità di questa forma narrativa mi ha permesso di concentrare l’attenzione del lettore verso la tematica proposta. Con il mio libro ci si stupisce, si riflette, ci si commuove, si sorride, ci si confronta.
– “L’ultima goccia” è il racconto che ho amato di più. La storia di Pietro raggiunge vertici di poesia e intensità davvero notevoli. Il romanticismo dell’ambientazione marinaresca, la drammaticità del naufragio e il richiamo alla fermezza del comandante del Titanic fanno da perfetto contorno al racconto del momento cruciale in cui un uomo capisce i propri errori e prende consapevolezza delle sue mancanze. Non c’è più futuro per Pietro ma c’è la risoluzione di un’esistenza, la presa di coscienza ultima e fondamentale per chiudere con la vita. Qual è il racconto della raccolta a cui è più legato, e perché?
Non riesco ad individuare un racconto a cui sia più legato. Ognuno di essi rappresenta un argomento che ci tenevo a condividere con il pubblico. Il ragazzino talebano buono ma con un destino segnato, la donna che subisce le violenze del marito e si ribella, l’uomo menomato da un incidente che si scopre ancora capace, le coppie di amanti o fratelli che comprendono la possibilità di esistenze diverse, l’immigrato stretto tra la voglia di affermarsi e la diffidenza della gente, e altri ancora. Sono legato ad ogni racconto perché rappresenta una parte del mondo che ci circonda.
– Quanto c’è di vero nelle storie che hai raccontato? Sono tutte frutto della sua immaginazione o hanno legami con esperienze vissute o con racconti ascoltati durante i suoi viaggi?
Le mie storie speciali sono tutte inventate ma prendo sempre spunto dalla realtà quotidiana.
– La scena delle monetine sparse al suolo come unica testimonianza di un’esistenza cancellata in “La grande luce rossa nel cielo” è agghiacciante. Il turbamento che riesce a creare in questo racconto è talmente forte e lo scenario ipotizzato così credibile da rimanere impresso nella mente di chi legge. Quanto è importante per lei raccontare i disagi e i drammi che vive l’essere umano ai nostri giorni? Pensa che la letteratura possa creare maggiore consapevolezza sui problemi del mondo?
Mi piace scrivere e raccontare quello che penso e vivo, divertente e leggero o più impegnato ma sono convinto che solo dagli avvenimenti più intensi e drammatici si imparino le lezioni che la vita ci vuole impartire. Il compito della letteratura e degli autori è raccontarli e diffonderli, anche con lo scopo di migliorare la nostra società e noi stessi. La violenza sulle donne, l’ecologia, il rispetto verso i più deboli, i diversi e gli animali, sono piccoli esempi di nuovi concetti dei quali adesso si parla più diffusamente, anche grazie alla lettura e al confronto.
– Il racconto che chiude la raccolta è una storia di fantascienza. Traspare una certa confidenza nel trattare questo genere, e una predisposizione all’invenzione di prospettive futuristiche e catastrofiche. È una delle storie meglio costruite, a cui ha dato notevole spessore e credibilità. Ha una particolare predilezione per la fantascienza? Ha in mente di scrivere altri racconti o magari un’intera raccolta ispirata a questo genere letterario?
La tematica di questo racconto è l’ecologia, e ho scelto di parlarne ambientandolo in un mondo che mi sono inventato, una Terra futuristica dove la natura è completamente dominata dall’uomo. Sono attratto da sempre dalla fantascienza, e uno dei miei autori preferiti è Isaac Asimov, al quale cerco di ispirarmi in questo genere. Per il futuro però ho in mente altri progetti, ho appena terminato il mio secondo libro, questa volta sarà un romanzo. Questo autunno novità in arrivo. Seguitemi.
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Antonella Qualia