Elisabetta Ferraresi è nata nel 1984 a Roma, dove intraprende gli studi di sinologia e nel 2008 consegue la laurea specialistica in Lingue e Civiltà Orientali presso l’Università La Sapienza. Come autrice di narrativa esordisce nel 2013 con il romanzo “Autunno”. Con L’Erudita ha pubblicato nel 2019 “I veri uomini non piangono mai” e nel 2022 “Con il cappello di carta calato sugli occhi”, oltre a una serie di racconti inseriti in differenti antologie
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- Di cosa parla il tuo nuovo romanzo “Con il cappello di carta calato sugli occhi”?
Con il cappello di carta calato sugli occhi è un romanzo storico ambientato nella Repubblica popolare cinese, la cui narrazione centrale è imperniata intorno agli anni della Grande rivoluzione culturale proletaria. Lo scoppio della Rivoluzione, nel 1966, insieme agli stravolgimenti sociali cui essa darà luogo, influenzerà drammaticamente le vite dei due protagonisti, Li Yongjie e Xiaohong, e l’amicizia che li legava alla vigilia della deflagrazione. In un continuo ribaltamento di fronte tra persecutori e perseguitati, vittime e carnefici, l’epilogo finale metterà definitivamente in luce il dramma vissuto dai due giovani uomini.
La tua opera è ambientata durante gli anni della Grande rivoluzione culturale proletaria, organizzata da Mao Zedong, in cui la cultura non è stata rivoluzionata ma purtroppo cancellata. Dal tuo romanzo: “Una marea monocroma sale silenziosa a soffocare gli slanci di originalità ed estro di cui la popolazione aveva fatto sfoggio fino a poco tempo prima”. Vuoi raccontarci, per chi non ha dimestichezza con questo periodo oscuro della storia cinese, di cosa si è trattato?
Nel tentativo di epurare tutti i livelli della società che Mao perseguì – sia allo scopo di mantenere il potere, sia per evitare il revisionismo all’interno del Partito stesso, fenomeno che si stava accadendo in quegli anni in Unione sovietica, in seguito alla scomparsa di Stalin – vennero etichettate come “abitudini borghesi” e, dunque, perseguitate, le più semplici e disparate abitudini quotidiane. Dall’abbigliamento colorato, alle acconciature dei capelli, passando per la coltivazione dei fiori nei giardini: tutto ciò venne scoraggiato, quando non, addirittura, vietato. Allo stesso tempo, venne sospesa la proiezione dei film provenienti da Hong Kong – perché caratterizzati da una certa influenza straniera – così come gli spettacoli teatrali non del tutto “omologati”. Una lista infinita di libri venne messa all’indice.
- Dalla dedica in apertura dell’opera: “Alle vittime di tutte le ideologie, in ogni tempo e in ogni luogo”. Nel romanzo si raccontano i pericoli della propaganda e della manipolazione del pensiero critico, e quindi di conseguenza si riflette sull’importanza della cultura, il migliore strumento per aprire le menti. Quale messaggio hai voluto veicolare attraverso la tua emozionante storia?
Il messaggio potrebbe essere considerato, di primo acchito, quasi banale: si tratta, infatti, di riflettere sul pericolo rappresentato dall’ideologia e dal fanatismo, dal dispotismo che li genera e dalla abnegazione acritica che li nutre. In realtà, oltre questo, c’è un più profondo e doloroso percorso, quello che deve renderci protagonisti attivi di tale riflessione, affinché essa non resti una mera nozione teorica, ma si trasformi in analisi critica e attenta. Sincera. Anche, e soprattutto, quando quelle ideologie e quel fanatismo ci appaiono come verità ineluttabile, come irrinunciabile giustezza. È proprio allora che il pericolo è più imminente ed è proprio allora che il nostro intelletto deve levarsi al di sopra di tanta, “inconfutabile” apparenza.
- Tra tutte le vittime della Grande rivoluzione culturale proletaria ci sono stati soprattutto i giovani, che sono stati più facilmente manipolabili da una personalità forte e carismatica come quella di Mao Zedong. Non sono stati solo vittime, però, ma anche carnefici, perché sono stati spinti a compiere atti contro ogni morale. So che sei appassionata della storia della Cina: puoi dirci quali sono state le conseguenze sulla gioventù del tempo, e quanto il Paese orientale sia stato trasformato da questo periodo di oscurantismo culturale e ideologico?
Una caratteristica peculiare della Rivoluzione culturale è proprio quella di non prestarsi a una suddivisione netta, al suo interno, tra vittime e carnefici. Ciò è dovuto ai continui cambiamenti di fronte che l’hanno caratterizzata e che hanno determinato l’avvicendarsi di provvedimenti spesso contraddittori gli uni con gli altri. Ciò premesso, siamo certamente in grado di individuare nei giovani studenti delle grandi città metropolitane i soggetti che hanno maggiormente subito il carisma del Grande timoniere, trasformandosi prima nel suo braccio armato e, in seguito allo scoppio della guerra civile e alla necessità di porle un freno, nei bersagli di una campagna forzata di allontanamento dalle città e di esilio nelle campagne, al fine di essere “rieducati” con il lavoro manuale. Ciò determinò un grande senso di smarrimento nei giovani di allora, che in alcuni casi non riuscirono più a reintegrarsi nella società e nelle proprie vite, una volta conclusasi la Rivoluzione.
- Vorresti descriverci Xiaohong e Li Yongjie, i due intensi protagonisti del tuo romanzo?
Xiaohong è un ragazzo di quattordici anni di umile origine; riesce a studiare grazie ai sacrifici di una madre che vende frittelle per la strada. Nasce il primo ottobre del 1949, proprio come la Repubblica popolare e, allegoricamente, la sua vita, in qualche modo, incarnerà le trasformazioni del Paese. È un ragazzo che cova un malessere atavico e inconsapevole, dovuto al non aver mai avuto un padre. Di contro, Li Yongjie, giovane professore di musica e apprezzato flautista, è un uomo sereno e appartenente a una famiglia agiata. L’amicizia tra i protagonisti si rinsalda nonostante – ma anche grazie – alle grandi differenze tra i due, che in qualche modo si compensano.
- Vuoi condividere con noi una citazione dalla tua opera che ti sta particolarmente a cuore?
Questa è una domanda alla quale rispondo con particolare piacere, perché non mi era mai capitato, per gli altri miei romanzi, di avere una risposta tanto netta da dare. La citazione in questione è la stessa che, per mia volontà, costituisce lo strillo del libro:
«Sono stati i dubbi a farci evolvere, Hong. E saranno i dubbi a salvarci».
«A salvarci da che cosa, Li ge?».
«Da chi ha soltanto certezze».
- Quali sono le opere e gli autori che hanno influenzato il tuo percorso di scrittrice?
Il mio primo romanzo è, senza dubbio, “figlio” delle tante letture giovanili di quei capolavori indiscussi che raccogliamo sotto l’etichetta, ancorché vaga, di “classici dell’Ottocento”. Nel tempo, tuttavia, il mio interesse di lettrice si è fatto più eclettico e le letture più variegate. Per I veri uomini non piangono mai e Con il cappello di carta calato sugli occhi ho letto molto a scopo documentaristico, senza alcuna selezione di genere stilistico, né di autore. Mi sta risultando spontaneo sviluppare un modo personale di tratteggiare il romanzo storico, fatto di descrizioni quasi didascaliche che si alternano a elementi frutto della mia sola immaginazione, una sorta di intreccio tra storia e fantasia, vero e verosimile. Per quest’ultimo romanzo ho letto di tutto: dalle atmosfere quasi oniriche di Balzac e la piccola sarta cinese di Dai Sijie alla realtà cruda e graffiante di Cronache di un venditore di sangue di Yu Hua.
Guido Buttaro
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