Dopo una breve pausa ferragostana, sta per ricominciare il “secondo tempo” della programmazione di “Effimera: L’estate popolare“, un Festival – pensato e creato dalla sinergia del Fusolab, del Poppyficio e della Fucina Alessandrina – dove musica e socialità stanno tessendo un contesto di fermento, curiosità e resistenza; un’azione che, soprattutto nel momento storico attuale, si propone di mantenere viva un’atmosfera che, pur mantenendo il distanziamento, non si sente distante. Noi di Uki siamo stati chiamati a dare il nostro contributo, ed è stato un onore per noi che da sempre veicoliamo suoni e linguaggi della scena contemporanea esserne MediaPartner e partecipare a questi eventi, il nostro direttore ha infatti risposto subito con entusiasmo dandoci la possibilità di raccontarvi una rassegna musicale e culturale innovativa a dir poco stimolante.
Così, abbiamo approfittato del momento di pausa per fare due chiacchiere con gli ideatori e il risonatore radiofonico del festival: Saro del Poppyficio, Dario del Fusolab e Francisco di Radio Rebel.
- Ciao ragazzi, innanzitutto complimenti per tutto ciò che avete organizzato e per come state portando avanti questa manifestazione. Ci volete raccontare un po’ come e perché è nato il festival Effimera? Tra le varie cose, qual è l’idea di base di un festival che vuole avere luogo nonostante il momento attuale di difficoltà e di potenziale “disgregazione”?
Dario (Fusolab): L’idea di Effimera nasce un po’ da un’esigenza materiale e un po’ da un appuntamento nato tanto tempo fa: noi del Fusolab siamo in contatto col gruppo del Poppyficio prima che questo nascesse formalmente e nel corso del tempo abbiamo avuto modo di parlare di idee e progetti che avevano e hanno un substrato comune. Se penso alla storia del Fusolab, posso dire che nasciamo proprio con l’idea di portare avanti delle iniziative culturali; tuttavia da un paio d’anni avevamo parzialmente abbandonato questa strada e ci siamo dedicati a progetti dal taglio più popolare (corsi di formazione, palestra popolare, ecc), riservandoci il momento della socialità più stretta con le attività della trattoria. Con la situazione di imprevista emergenza di quest’anno, ci si prospettava un periodo di chiusura forzata. Anche al Poppyficio ci sarebbero stati dei problemi logistici, con il rischio di vedere vanificata una serie di intenzioni di attività culturali. Quindi abbiamo pensato di unire le forze, sia da un punto di vista materiale (banalmente, riuscire a far lavorare le persone coinvolte nei nostri progetti), ma anche quella di mettere in campo un qualcosa che costruisse un momento di cultura in periferia, richiamandoci un po’ a quella che era l’idea dell’Estate romana, quindi una cultura che potesse albergare in tutti i luoghi della città.
Per quanto riguarda il momento particolare che stiamo vivendo, il rischio di perdere qualcosa di incommensurabile come il contatto sociale tra le persone era altissimo, perciò ci siamo detti “distanze fisiche sì, distanze sociali mai”. È diventato un po’ il nostro motto e cerchiamo di renderlo vivo e concreto ogni giorno.
Saro (Poppyficio): Il Festival nasce dalla voglia di mettere in sinergia due visioni tra loro affini, ma anche dalla voglia di riparare un tessuto sociale che si stava sgretolando: con il momento attuale, l’elemento della paura è fortissimo, e fortissimo è il rischio che si possa perdere la curiosità verso l’altro e verso ciò che di buono porta l’incontro e la condivisione.
Come accennato da Dario, l’incontro tra Fusolab e Poppyficio era nell’aria da tempo, ma non c’era ancora stata un’occasione concreta per mettere in azione le nostre idee comuni: con Effimera, invece, siamo riusciti a dar vita al nostro obiettivo di produrre socialità e cultura attraverso diverse espressioni artistiche che vanno dalla musica al teatro. L’intenzione primaria, però, al di là del fatto artistico in sé, è quella di legare la comunità, cucire un tessuto sociale e di non perdere il contatto con la realtà che ci circonda.
Un piccolo aneddoto sul nome scelto per il Festival: quando, nel 1977, Renato Nicolini creò l’Estate romana, il suo obiettivo era quello di portare la cultura in ogni luogo di Roma, anche in zone meno agiate e fuori dal grande circuito culturale. Questo venne fatto anche per stemperare la tensione e la paura sociale che si era venuta a creare durante gli anni di piombo. L’assessore, con una lungimiranza che ha fatto scuola, dichiarava che era proprio l’effimero a risollevare gli animi. Un effimero, però, da non intendersi come qualcosa di banale o neutro: l’effimero è qualcosa che necessariamente passa, agisce nell’oggi e poi tramonta; ma nell’agire e nel tramontare ha lasciato qualcosa che cambia il circostante. Ecco, noi vorremo che con Effimera fosse così.
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- Probabilmente anche la scelta del locale dove svolgere la rassegna non è casuale: cosa vi ha portato al Fusolab? Solitamente si è abituati a frequentare festival simili in zone più centrali, invece voi avete optato per la periferia: volete raccontarci le ragioni di questa scelta?
Saro: Come detto poco sopra, ci siamo ritrovati al Fusolab per una convergenza di intenti. Il fatto che questo sia in periferia, qui all’Alessandrino, può avere anche un significato ulteriore. Ormai è chiaro a tutti che ci troviamo di fronte a risultati di politiche sociali e urbanistiche sbagliate condotte negli ultimi decenni: il centro è sempre più segnato da una mercificazione e da un consumo senza alcun criterio “ecologico” (intendo qui ecologico con un senso più ampio), mentre la periferia è sempre più abbandonata a se stessa e ciò inevitabilmente dissipa la sua carica vitale e la sua potenziale forza nel poter dire e fare qualcosa di rilevante. D’altra parte, però, da almeno un decennio la periferia è diventata molto accessibile a forze come studenti fuori sede, giovani coppie in cerca di una prima stabilità familiare, anziani con pensione minima che cercano di “sopravvivere” all’interno di un contesto che li relega sempre di più ai margini. Tutto ciò crea inevitabilmente una certa vitalità che elabora anche una domanda/esigenza di fermento culturale, di un momento d’incontro per cementificare il sostrato sociale entro cui si è calati. La periferia, perciò, diventa un microcosmo che a suo modo riflette anche esigenze visibili e riscontrabili in un contesto macro, che è globale e sistemico. E quindi è da qui che è doveroso operare e ripartire se si vuole che si avvii un margine di cambiamento.
Dario: Non posso che essere d’accordo con quanto detto da Saro. Aggiungo solo che credo fortemente che la periferia sia la fabbrica più fertile del futuro: qui vive e cresce un fermento che è fatto di incontro dell’alterità, della diversità che non è paura dell’altro bensì occasione di incontro, scambio e arricchimento personale.
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- Guardando il palinsesto di Effimera si nota una programmazione molto variegata che ha una particolarità di non poco conto. Si propone una eterogeneità molto stimolante con un’idea di fondo che può essere letta come una sorta di ponte: da una parte alcuni nomi che hanno significato molto per la scena indipendente degli ultimi decenni, dall’altra dei nomi che stanno trovando un loro spazio nel contesto contemporaneo. È come se ci fosse un dialogo tra diverse generazioni musicali: quanto e come conta per voi questo rapporto?
Dario: Forse qui può dirti qualcosa di più specifico Saro, dato che lui si è occupato – in accordo con i relativi direttivi – della programmazione artistica. Quanto a noi del Fusolab, avevamo semplicemente l’esigenza di una programmazione aperta e variegata, una programmazione che potesse coinvolgere più livelli di pubblico e che riflettesse l’idea detta poco sopra di creazione di un momento di socialità condivisa.
Saro: Come diceva Dario, la programmazione è nata da diversi confronti avuti tra il direttivo del Poppyficio e quello del Fusolab. Ci sono stati diversi giorni e momenti di dibattito, anche per quel che riguardava la riorganizzazione logistica del posto: il cortile c’era, ma bisognava adattarlo al contesto della programmazione. Per far questo, le due squadre hanno lavorato con dedizione e sinergia e siamo riusciti ad organizzare uno spazio che fosse allo stesso tempo in linea con le disposizioni date per questo periodo d’emergenza, ma che non perdesse il suo spirito connaturato di luogo aggregativo. Per quanto riguarda la programmazione, invece, sono partito da un’idea molto semplice, ma per me fondamentale: la comunità, il pubblico, è composto da cittadini e ogni cittadino ha un suo orizzonte e un suo gusto. Quindi ho pensato di creare una programmazione che non fosse “chiusa” ad una sola tipologia di gusto o di orizzonte d’attesa: ho voluto proporre qualcosa che poteva essere largamente fruibile da tutti, senza che la qualità venisse meno. Ed è una qualità che si fa anche campione rappresentativo del nostro contesto musicale: da Benvegnù ad Edda – solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente – passando per gli Urbania, una band composta da ragazzi poco più che ventenni, cerchiamo di dare anche uno spaccato di ciò che ci suona intorno, di tastare la temperatura del fermento attuale e di quello che è stato “storico” (ma che a suo modo continua ancora ad alimentare quello strettamente contemporaneo). Ecco, nelle nostre intenzioni c’era quella di costruire un contesto e di animarlo facendo una proposta non rivolta al pubblico “selezionato”, bensì al cittadino. Questo è stato il filo conduttore che ci ha permesso di pensare una programmazione e una manifestazione che desse luogo principalmente ad un fattore: quello di stimolare e di mettere in moto la curiosità del quartiere e la curiosità sul quartiere. È stata una scommessa rischiosa (il Festival è autoprodotto e gli eventi sono completamente gratuiti), ma sentiamo – all’alba della seconda parte di Effimera – di averla già in larga parte vinta.
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- Parliamo un attimo di uno dei vostri media partner, Radio Rebel. È molto suggestivo che una radio segua in diretta le serate del Festival perché è come se quest’ultimo riuscisse ad arrivare un po’ ovunque scavalcando i confini stessi del luogo. Ma questa, se ci pensiamo bene, è la funzione primaria della radio, dalla sua nascita fino ad oggi: per quanto riguarda Radio Rebel, saremo curiosi di conoscere come è nata la collaborazione con Effimera. Inoltre, stando alla forte potenza comunicativa della radio, come si muove in un panorama dove molte espressioni (o diffusioni) musicali sembrano sottostare sempre di più ad una sorta di “impero dell’algoritmo”, il quale tende a proporre (se non ad imporre) delle selezioni musicali in maniera “asettica”, come se il filtro dello speaker o di chi prepara alcuni programmi radio non fosse più necessario?
Francisco (RadioRebel): È suggestivo il fatto che nel momento attuale una radio come la nostra (che viaggia sul web da ormai dieci anni) sia ritornata a solcare i palchi live: è uno dei motivi per i quali sono convinto che una radio debba funzionare se non altro perché stimola un confronto continuo tra la domanda di mercato e quella che è la proposta che viene fatta in diversi contesti, piccoli o grandi che siano. Relativamente ad Effimera, mi piace molto concretizzare quella che è una doppia possibilità, ovvero quella di stare sul web (con le dirette in streaming degli eventi in cartellone) e quella di una costante umanizzazione di un contesto che è reale.
Se penso all’attività di Radio Rebel, sin dalle sue origini ha sempre seguito una linea attraverso la quale potersi confrontare con le realtà territoriali, cercando di dare una mano alla vitalità di queste. Con Effimera, inoltre, si è trattato di un livello ulteriormente stratificato: vivere e promuovere la musica, veicolare un contenuto in tempo reale nel momento in cui nasce, accade e si sviluppa, ma anche – e forse anche come risultato di sintesi di questi due paradigmi – creare e far risuonare attraverso la radio un forte contesto di socialità. La diffusione radiofonica, così come la concretezza stessa degli eventi proposti nel cartellone, fanno sì che si esca da un contenitore di periferia: slargando alcuni confini si ha la possibilità di non essere chiusi in se stessi, sia mentalmente che fisicamente.
Inoltre, mi piace l’idea di poter dare, attraverso la diffusione radio, voce a diverse realtà: per questo per Radio Rebel è di primaria importanza essere qui ad Effimera.
Per quanto riguarda l’aspetto del rapporto tra umanizzazione e algoritmo, è chiaro che oggi esistono delle logiche alle quali difficilmente si può sfuggire, soprattutto se penso alla grande diffusione e al grande mercato. C’è una grande fetta che produce in modo standard (majors e affini) e poi c’è un resto che viaggia su numeri più bassi. Ma questo non implica che non sia degno di considerazione o che non abbia una forte qualità: a differenza dei prodotti da majors, questo resto ha bisogno di una voce e probabilmente riesce a dire molto di più rispetto ad un prodotto preconfezionato. Questo piccolo-grande resto ha una necessità comunicativa che rischierebbe di essere persa se nessuno la raccoglie e la canalizza. Ecco, questa soddisfazione e/o occasione di necessità comunicativa è un punto che accomuna fortemente Radio Rebel e Effimera.
Saro e Dario su Radio Rebel: La collaborazione con RadioRebel è nata da una grande empatia con Francisco e con tutto il suo progetto. Ci accomunano e condividiamo concretamente i valori di cui abbiamo parlato poco sopra: questo ci rende affini anche nell’essere un po’ degli outsider all’interno del sistema. Questo aspetto ha un suo senso molto forte per noi, perché significa che da una posizione “defilata” abbiamo comunque la possibilità di innescare un cambiamento che, pur sembrando “ristretto”, auspichiamo che possa arrivare ad agire su larga scala. Anche in ragione di questo, reputiamo una vera chicca produttiva riuscire a diffondere on line gli eventi e lo spirito di Effimera: siamo consapevoli che i canali comunicativi sono necessari per la diffusione culturale, anche perché permettono una sorta di “moltiplicazione” di ciò che succede in un dato momento e in un dato luogo. La radio diventa parte stessa dell’evento che si verifica al Fusolab, ma anche un risonatore che annulla ogni confine geografico: da un hic et nunc si passa ad un potenziale “dovunque e sempre” e questo ci rende molto felici di poter unire le nostre forze per creare e mantenere vivo un qualcosa che sta tentando di valorizzare un tessuto che non è solo artistico, ma anche – e soprattutto – cittadino e sociale: Francisco è un altro romantico puro, e con lui siamo almeno in tre.
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Per le ultime due domande a Saro e Dario, lascio la parola al nostro capitano Andrea Fatale.
- Ciao amici. Tornando alla periferia, se mi permettete vorrei provare a fare con voi un parallelismo con un concetto filosofico che a noi di Uki piace tanto e che, in un certo qual modo, ci ha reso particolarmente vicini anche alle visioni di Poppyficio e del Fusolab. In particolare voglio riferirmi al motto “Think globally, act locally” (Pensa globalmente, agisci localmente). Una tale idea si basa sulla consapevolezza di cercare un trait d’union tra filosofie globali e pratiche culturali locali; un’etica che vuole agire sul locale per portare effetti positivi anche al resto del mondo, e viceversa, pensare al bene del resto del mondo per influire sul benessere delle nostre azioni rispetto a ciò che ci circonda.
Innanzitutto vi chiedo se condividete questa prospettiva. E quindi secondo voi, in che modo questo concetto può divenire utile e funzionale, o in qualche modo esprimere un “valore”, anche nel mondo dell’arte o dell’organizzazione di eventi culturali?
Dario: Quel motto è il filo conduttore della nostra azione da sempre. Si tratta di una consapevolezza che maturò già dagli eventi di Genova, ormai vent’anni fa. In noi rimane sempre viva la sensazione di appartenere ad un movimento universale che ognuno declina nei propri spazi e nelle proprie idee. C’è la condivisione di una battaglia comune che va a favore di un cambiamento concreto, una battaglia che si prepara attraverso una riflessione ampia, ma che non bisogna mai dimenticare di calare nella concretezza delle cose, altrimenti il pensiero diventa soltanto un avviluppamento sterile su se stesso. L’agire localmente, oltre ad essere più gestibile, permette di constatare la giustezza dei risultati di un’azione mossa da un certo pensiero. Questo, però, non significa concludere l’azione in un contesto di chiusura o di “partigianeria di quartiere”: si tratta di contestualizzare l’azione su uno sfondo ideologico più ampio, globale, appunto.
Saro: Se guardo alla composizione della squadra del Fusolab e di quella del Poppyficio, si rende evidente il fatto che convoglino almeno due spaccati generazionali, con persone che arrivano appena ai vent’anni e persone che si approssimano o hanno superato i cinquanta. Quelli come me che appartengono alla generazione di Genova 2001, si sono trovati di fronte ad una forte responsabilità di premere per un cambiamento: lo avevamo fatto notare già vent’anni fa, chiedendolo in maniera pacifica e coscienziosa. Il risultato è che ci hanno menato, ignorando e spostando più in là quello che noi sentivamo come richiesta urgente, non solo per il nostro contesto, ma per un contesto globale. Nonostante tutto, ancora oggi siamo convinti che la nostra voce meriti ancora di dire qualcosa, pur in uno scenario profondamente cambiato. Abbiamo una certa responsabilità nel dimostrare quelle idee, nel renderle ancora attuali facendo sì che possano avere finalmente una loro concretizzazione per un beneficio comune. Anche per questa ragione il globale è nell’ideologia, negli approcci generali, nelle tematiche urgenti da affrontare (ecologia, politiche di genere, politiche del lavoro, ecc), ma l’azione deve essere sempre e comunque – almeno in un primo momento – locale: posso pensare di resistere nella mia zone per poi pensare che qualcosa orienti il corso di pensieri e politiche più ampie e grandi. Se vedo quanto stiamo facendo, sia con Effimera ma anche su una scala più generale, non mi è difficile constatare che siamo una realtà concreta e questo ci fa pensare che i nostri principi e le nostre visioni sono applicabili. È come se ci fosse una domanda latente ma urgente da parte di ciò che ci circonda: noi siamo pronti a rispondere.
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- Altra “visione” sociologica a cui noi di Uki crediamo è quella che vede il bisogno di educare la gente alla Identità, all’Alterità e alla Diversità: tre prospettive di marcia di un unico percorso che possano attuare finalmente una migliore “società civile del futuro”, in cui ci si può indirizzare non tanto dal diverso all’uguale, bensì dal diverso al nuovo!
Ebbene, se collochiamo questa riflessione sul mercato culturale, possiamo al contrario osservare che esso si basa solo sull’omogenizzazione dei gusti: su ciò che più tira al momento, sui grandi numeri dell’hype, dello streaming, ecc… Nel mercato musicale ad esempio, e senza fare generalizzazioni, oggi sembra funzionare solo la musica che ricalca quello che ha già successo, non certo quella che crea originalità. Inoltre si impone solo chi fa uno streaming esorbitante, ed è chiaro che nello streaming di oggi, fatto in parte da giovanissimi, non vengono contemplati ad esempio il rock benché meno quello emergente, indipendente o alternativo.
Allora, alla luce di questa situazione, pensiamo che sia sempre più essenziale offrire alla stregua di tutto una cultura “alternativa”, altrimenti il “gusto” stesso del pubblico rischierebbe di imbruttirsi sempre più! Si rischia addirittura che il pubblico non riesca più finanche a riconoscere la “qualità” o il linguaggio stesso dell’arte, o anche solo proposte diverse, innovative o provocatorie… non credete? Come si può penetrare secondo voi questa cortina indotta dalle attuali leggi di mercato?
Saro: Da parte nostra non c’è nessuna pretesa di “educazione”, ma solo pretesa di stimolare curiosità e consapevolezza. Potrebbe sembrare strano, ma non mi rivolgo al pubblico bensì alla comunità, perciò ho presenti alcuni discorsi e problemi, ma non li vedo estremamente vincolanti. Quello che cerco di fare è gettare dei semi, poi deve esserci una scintilla dall’altra parte, una scintilla che si muova sul filo della curiosità, senza – chiaramente – perdere di vista la qualità. La società ha bisogno di cose che accadano (siano essi momenti culturali o di socialità) quando servono: da parte mia può esserci una capacità di “intercettare” il circostante, mediarlo e proporlo affinché si attivi quel circuito di amalgama e di curiosità che dicevo prima. Si tratta anche di portare avanti dei valori di rappresentatività, ovvero avere presente un panorama qualitativamente buono e farlo andare incontro alle richieste dei cittadini: non è un esercizio di stile, bensì la voglia di creare stimoli sempre più vivaci, i quali – a loro volta – auspico che ne creino altri, mettendo così in moto un circolo virtuoso.
Quanto alla questione dell’appiattimento, sono sostanzialmente d’accordo con quello che dici. Però, senza entrare troppo nel merito delle dinamiche del mercato musicale, ribadisco quanto detto prima: a me interessa cercare dei processi culturali in atto, contaminandoli con altri che hanno avuto una loro effettività e una loro storia anche in un contesto diverso da questo (e anche per questa ragione si trovano appaiati nel cartellone dei nomi eterogenei di artisti, anche a livello generazionale). Nel nostro piccolo, nel nostro intercettare il processo culturale in atto, ci poniamo un po’ sulle spalle dei giganti: ma questo perché siamo sostanzialmente una squadra di visionari che crede che agire nell’oggi – intercettando la qualità che l’oggi ci offre – ci permette di rendere migliore il domani.
Dario: Alterità, diversità e innovazione sono sicuramente alcune corde che vengono pizzicate nel Festival: questo rientra nel discorso che faceva anche Saro riguardo la voglia e la convinzione di mettere in moto la curiosità del contesto circostante. Probabilmente, se avessimo optato per una scelta fortemente orientata, ci saremmo sentiti un po’ presuntuosi. Ci è parso più utile e più rispondente alle nostre visioni il fatto di offrire un panorama variegato: è una condivisione di interessi e uno scambio continuo. In questo modo nasce e si sviluppa anche la diversità, una parola che recentemente fa paura ai più perché spesso ci inducono a pensare che diverso significhi pericolo. Diverso è, invece, un’opportunità, la quale – però – non va perseguita o ricercata scientemente, altrimenti perde gran parte del suo significato. È un qualcosa che nasce fisiologicamente dall’incontro di più sinergie. Per questa ragione abbiamo deciso di gettare dei semi variegati all’interno della nostra programmazione (ma anche, al di là di Effimera, nel contesto più generale del Fusolab): nel nostro piccolo, è l’atto di resistenza più congeniale che ci viene da pensare e da praticare di fronte ad un panorama che livella il tutto verso l’omogeneità.
Saro e Dario: L’esperienza di Effimera è nata d’intuito e ha richiesto una notevole velocità di esecuzione, cosa che è stata possibile anche grazie al premuroso supporto di alcune agenzie musicali che hanno sostenuto fin da subito il progetto e la visione condividendone spirito e linea editoriale. Fra questi mi sento di menzionare Leonardo, Diego, Alessandro e tutta la squadra di Black Candy; Enrico, Leonardo e Luca de Locusta Booking, Giovanni Gigantino de La Fabbrica, Flavia Guarino per Otr, Matteo della Vertigo Concerti, Chiara Giorgi, la AlterErebus di N. Ciuferri & co – che tra l’altro ha pubblicato “Selenophilia“, l’Antologia di Racconti brevi selezionati da voi di Uki e che tanto sta girando qui nel nostro cortile, e poi Simone Zaccaron de La Tempesta Concerti e, ultimo ma non ultimo, Marco Colonna che ha curato la sezione live jazz del Festival.
Mario Cianfoni – (Andrea Fatale > Fb)
bellissimi ritrovarvi ancora qui su Uki. mi sono goduto un paio di serate.
splendida e interessantissima intervista.
state facendo una cosa grande <3
Quanta bellezza di contenuti. dalle periferie di Roma il profumo di resilienza ci invita in un oasi culturale fatta di grande persone. Non mancherò! Complimenti agli organizzatori. Intervista importante per il valore che acquista di questi tempi del sempre suggestivo Mario e del mitico Fatale!
Think globally, act locally!!!
Complimenti a Saro e Dario, con le loro realtà hanno dato prova che si puo’ resistere alla pandemica paura verso la cultura … vi cerchero’ anche sulla radio, altra encomiabile realta’ . un cartellone fantastico anche per agosto ,non vedo l ora di rispondere ai vostri stimoli artistici ….. ;)))
Poppyficio sempre sul pezzo! Le iniziative del Fusolab lodevoli sempre! Il cortile alessandrino come fucina di una nuova scena culturale che vuole resistere nonostante tutto!
Grazie per questa davvero interessante intervista!
SONO PASSATO PER UNA SERATA DOVE SONO STATO BENISSIMO. POI VI HO LETTO QUI SU UKI,E DEVO DIRE DI AVER VISSUTO LE STESSE SENSAZIONI DI UNIONE E IMPRINTING MUSICALE!
STRAORDINARIA L INTERVISTA,E’ CHIARO QUANTO LA COMPETENZA E IL CUORE DI CHI ORGANIZZA STIA EFFETTIVAMENTE CREANDO UN EVENTO IMPORTANTISSIMO IN GRADO DI FAR FRONTE A TUTTI GLI IMPEDIMENTI ATTUALI ALLA CULTURA, E NON SOLO …. L IDEA DI INTERCETTARE IL SENTIMENTO CULTURALE NELL ARIA E DI DEDICARLO AD UN OFFERTA VOLTA ALLA DIVERSITA’ ,A TUTTI I GENERI DEGNI DI BUONA MUSICA , UNIRE IL TUTTO SOTTO TEMATICHE SOCIALI IMPORTANTI E’ QUALCOSA DI PREZIOSO …
CONTINUATE COSI’ RAGAZZI!!!!!
un intervista da manuale del sempre bravissimo Mario, con lo zampino, dulcis in fundo, di Fatale! Wao!
Sono d’accordo con Saro e Dario su tutto. Il modo migliore per approcciare iniziative nel mondo della cultura, così deve essere!
Bravi tutti!
Passerò a trovarvi!
Uki sempre garanzia di qualità. Fantastica intervista..Se solo ci fosse qualcuno che ragiona davvero e agisce così nel mainstream oggi nel nostro paese non ci sarebbero queste sabbie mobili culturali
Complimenti a Saro e Dario e Francisco , c’è bisogno di voi.