«Dal 6 aprile 2009, giorno del disastroso sisma che ha colpito la città dell’Aquila e parte della sua provincia, il Museo Nazionale d’Abruzzo è chiuso, a causa degli ingenti danni subiti dal Castello Cinquecentesco». Per circa 6 anni la situazione del museo è stata quella descritta così sul sito del Ministero dei Beni Culturali.
Ma ora L’Aquila ha di nuovo il suo museo nazionale. Il “Munda” ha trovato casa in un edificio di archeologia industriale, l’ex Mattatoio comunale, danneggiato anch’esso e non usato da anni è stato assegnato dal Comune in comodato gratuito trentennale al Mibact.
Completamente ristrutturato con tecnologie antisismiche e ripensato per questa sua nuova funzione, è situato a Borgo Rivera, all’estrema periferia meridionale della città storica ma all’interno delle mura trecentesche, di fronte alla chiesa di San Vito e alla Fontana delle 99 Cannelle. Una zona di facile accesso e di grande interesse storico, legata alla fondazione della città e al fiume Aterno.
I lavori hanno interessato la demolizione dei corpi centrali dell’ex mattatoio e la ricostruzione di nuove strutture portanti, imbrigliando le murature grazie all’utilizzo di una maglia costituita da fasce in acciaio inossidabile.
Sei le sale, 2 mila metri quadrati destinati alle esposizioni, su un’area di 4 mila, circa 120 opere esposte, tre anni di lavori, più di 5 milioni di euro spesi.
La scelta dei pezzi esposti al Munda è di oltre cento opere, tra i più importanti lavori del Museo Nazionale d’Abruzzo: opere di diverse epoche e tipologie (reperti archeologici, sculture lignee e dipinti fino al XVIII secolo), rappresentative della varietà e qualità delle collezioni del museo e identitarie della storia e della cultura dell’intera regione. Il progetto, oltre ad adottare soluzioni allestitive innovative sul piano della prevenzione, si è ispirato a criteri museografici moderni. Oltre all’importanza dell’aver finalmente restituito agli aquilani e al pubblico numerose opere importanti, è da sottolineare il grande lavoro di restauro che è stato fatto sui pezzi esposti che, recuperati tra le macerie, hanno avuto nuova vita grazie ad attenti restauri avvenuti dopo i gravi danni del terremoto.
Il nuovo Museo si compone di cinque grandi ambienti in cui le opere sono disposte secondo uno sviluppo cronologico e tematico, dalla sezione archeologica delle antiche civiltà degli Abruzzi fino al Seicento con Ribera, Stanzione, Mattia Preti.
Tra tutte le opere restaurate una ha rappresentato una vera sfida, è “La Madonna in trono col Bambino, San Giuseppe, San Francesco d’Assisi, San Giovannino” di Giovanni Paolo Cardone.
Il dipinto è tra le opere del patrimonio museale abruzzese più gravemente danneggiate dal sisma del 6 aprile 2009.
Il dipinto, in particolare, aveva subito dei danni dovuti ad una lunghissima permanenza in acqua: il soffitto del Museo del Castello Spagnolo crollando lo aveva travolto, per mesi il dipinto è così rimasto esposto alla pioggia e ha trascorso molto tempo in una pozza d’acqua profonda almeno 2 cm.
Il dipinto venne recuperato il 7 maggio 2009 dai Vigili del Fuoco, ed in una scheda della protezione civile si leggeva: «Dipinto recuperato sotto le macerie, lacero, bucato e completamente bagnato. All’interno dell’imballo c’è una busta contenente frammenti della tela. Aprire subito e si consiglia un restauro d’urgenza». Successivamente anche l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro ha svolto delle attività di pronto intervento e ha concluso: «È bene non intervenire fino alla messa appunto di un metodo adeguato» proprio perché il dipinto presentava dei problemi molto diversi dal solito.
Il lavoro di recupero è stato affidato alla restauratrice Eugénie Hélène Knight.
La tela era deformata e presentava numerose zone in cui i colori si erano sovrapposti.
Il lavoro di restauro ha richiesto la messa a punto di una nuova metodologia, che la restauratrice ha, creativamente, chiamato dell’onda. «Per distendere le pieghe e le sovrapposizioni è stata messa a punto una nuova metodologia che abbiamo definito dell’onda. Occorreva tagliare e rimuovere meccanicamente a secco piccole porzioni della tela da rifodero, entrando così in diretto contatto con il supporto originale. A questo punto, applicando vapore acqueo caldo nei punti in corrispondenza di pieghe e sovrapposizioni , le pieghe sono state distese mediante l’apposizione di controforme in spugna e/o polistirolo,[…]. Ogni piccola porzione di tessuto ridisteso creava un rilievo in positivo della tela dipinta.[…]. La creazione di successivi rilievi allineati e combaciati si trasformava così in una larga “onda” in rilievo positivo. […] Così operando sono stati raggiunti due obiettivi fondamentali : il recupero delle dimensioni originali della superficie e l’esatto ricomporsi dell’immagine».
L’innovativo intervento di restauro, a cui la tela è stata sottoposta tra il 2011 e il 2012, ha permesso di ripristinare la pleneità della tela e di conseguire un sorprendente, anche se incompleto, recupero di leggibilità.
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Katia Valentini
della serie : quando l’ arte va avanti a dispetto delle forze della natura e della stupidita’ umana !!!
ottimo lavoro!
abbiamo un’ eccellente scuola e tradizione di restauratori in Italia , almeno quella, ci serve proprio nel nostro paese, vista l’incuria in cui lasciamo le nostre opere d’arte
qualcosa de l’aquila che si possa dire essere recuperata , c’è’ speranza ….
Onore a questi artistoni che hanno recuperato…dall’impossibile…un’opera ridotta in condizioni vicine alla disgregazione molecolare…!
Un grande lavoro…mi inchino…!