Quando si pensa al mito di Romolo e Remo si entra in una terra di mezzo tra storia e leggenda. Inevitabilmente ognuno di noi porta nel suo bagaglio le narrazioni bambine delle prime lezioni di storia. Pezzi e flash di scene immaginate dei due fratelli che hanno segnato il tempo divenendo, con la lupa, i simboli della città eterna.
Matteo Rovere con il film “Il Primo Re” ci catapulta in un’ambientazione animalesca e realistica, in un mondo primitivo e crudele lontano da qualsiasi enfatizzazione mitica o fantastica
Non si assiste alla rappresentazione della tradizione, ma ci si trova davanti a due ragazzi che cercano di sopravvivere oltre le avversità del loro tempo. Nessun ammiccamento alla spettacolarizzazione con effetti speciali o bicipiti lucidi, niente di tutto questo.
Si inizia tra le acque del Tevere esondato dove due giovani uomini mettono tutte le loro disperate energie per salvarsi reciprocamente e cercare un posto migliore dove esistere.
Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi) sono due fuggitivi contro la furia della natura. Due esseri che si ribellano ai violenti rituali delle tradizioni del popolo di Alba Longa. Rovere non accenna alle discendenze divine, ma ci pone davanti un ambiente dove si scappa dalla morte e insieme ad altri schiavi, si cerca una terra dove costruire una vita da vivere.
Una storia arcaica di una contemporaneità disarmante.
Due ragazzi contro, due giovani che non hanno nulla degli eroi della narrazione antica. Romolo e Remo sono immersi in un silenzio assordante tra carne pulsante, ricerca, sangue e fango.
Il coraggioso e meticoloso Rovere ci dona una pellicola di grande pregio e sicuramente unica nello scenario italiano.
Si respirano le positive ispirazioni di opere come “Noah”, di Darren Aronofsky, “The Passion” o “Apocalypto” di Gibson. Il film è perfettamente costruito rispettando l’aderenza storica dove elementi come violenza, malattia, superstizione e bestialità sono ovunque in un tempo che è all’alba della sua trasformazione.
Siamo in un mondo dove gli uomini non parlavano italiano, non parlano latino, ma si esprimono attraverso una lingua arcaica, proto-latina, che i ricercatori/semiologi dell’università della Sapienza, con grande accuratezza, hanno saputo costruire per il film.
Nell’epoca, dell’età del ferro, le scene si muovono tra fitti boschi, paludi, belve affamate, sabbie mobili e gli scontri sono, prima che fisici, negli occhi guizzanti dei personaggi dove il rosso del sangue e dello sgomento si mischia con la melma.
Il film non può lasciare indifferenti perché coinvolge e regala arte in tutte le sue forme in una miscela dove storia, psicologia, senso umano e dimensione epica si intrecciano magistralmente.
Alessio Borghi interpreta il personaggio di Remo con una capacità impressionante e magnetica che cattura nella forte espressività dei suoi sguardi. Già abituati a vederlo, in tutta la sua bravura, nei panni di Stefano Cucchi (“Sulla mia pelle”) in questo film Borghi, nei suoi silenzi, esprime tutta il suo potente talento che indiscutibilmente lo pone come uno dei più bravi attori italiani.
Il rapporto tra i due fratelli ci conduce verso una tragedia di Shakespeariana con un bravo Alessio Lapice che interpreta un Romolo introverso, delicato, pio che si contrappone al Remo incapace di soffrire e provare quell’empatia necessaria a condurre un gruppo di schiavi verso la costruzione di un popolo. La mancanza di empatia determina l’incapacità di provare la pietas necessaria per divenire un grande re.
Un’ottima sceneggiatura redatta da Rovere, Gravino e Manieri si mescola armonicamente con la colonna sonora di Andrea Farri e con la scenografia di Tonino Zera impreziosita da Daniele Ciprì che, con una direzione fotografica, ci regala intense luci naturali come nel film “The Revenant” di Alejandro Iñárritu,
La preparazione al film è stata accurata, Ludovico Micara, giovane e promettente attore, che nella pellicola interpreta Aulo, ci racconta dei suoi intensi allenamenti con la lancia e quanto Matteo Rovere abbia saputo cesellare i minimi dettagli seguendo con meticolosa attenzione ogni aspetto dell’opera e assumendosi sempre, con poche parole e gesti precisi, i rischi e le responsabilità di ogni scelta.
Il risultato del film è una dimostrazione che quando con tenacia si vuole uscire dai banali e scontati cliché si può giungere a risultati di grandissima qualità lontani anni luce dalla spazzatura insulsa e preconfezionata per i botteghini. Per questo penso che “Il Primo Re“, grazie ad una produzione coraggiosa ed ambiziosa, sia uno tra i rari film italiani, dell’ultimo decennio, dove bellezza, eccellenza e talento si amalgamano coerentemente dando vita ad un eccellente risultato artistico.
Un film/opera da vedere. Mi raccomando, sempre tenendo spento il cellulare. Buona visione.
PREMI E RICONOSCIMENTI
2019 – Nastro d’argento
Migliore Produttore | Groenlandia, Gapbusters e Rai Cinema
Migliore Fotografia | Daniele Ciprì
Miglior Sonoro in Presa Diretta | Angelo Bonanni
2019 – Bobbio Film Festival
Premio Migliore Regia | Matteo Rovere
2020 – David di Donatello
Migliore Produttore | Andrea Paris e Matteo Rovere per Groenlandia con Rai Cinema, Gapbusters e Roman Citizen
Migliore Autore della Fotografia | Daniele Ciprì
Migliore Suono | presa diretta Angelo Bonanni; microfonista Davide D’Onofrio; montaggio Mirko Perri; creazione suoni Mauro Eusepi; mix Michele Mazzucco
Stefano Pavan
Filmone!!!! Bella pure la serie!
Grazie Pavan, mi e’ tornata voglia di rivederlo
Ti ringrazio per il commento, buona visione
film crudissimo!!! girato magistralmente… in Italia si puo’ fareeeee!!!! :)))
bella recensione. grazie Stefano Pavan!
Grazie a Te per il fomento.