Il partito del botton down

Quando il monaco è scarso, è l’abito che fa il monaco

Nonostante viviamo una crisi senza precedenti, i politici italiani non se ne sono accorti, non accennano a fare autocritica e non rinunciano ai privilegi. Populistiche quanto volete, queste verità hanno fatto nascere in tutti la convinzione che i nostri rappresentanti siano impresentabili. Ma poiché questo non li ostacola, capire come si presentano gli impresentabili è stimolante. Non lo è scoprire in qual modo ci riescano nonostante i disastri che hanno provocato. La facile risposta è che tengono la faccia tosta, l’unica vera qualità che gli riconosciamo. Piuttosto, è stimolante analizzare il loro aspetto estetico, perché da esso si ricava la sola vera differenza tra destra e sinistra: il botton down della camicia.

Il botton down è il bottoncino che tiene attaccato il colletto alla camicia, nato dalla necessità di tenerlo fermo durante attività fisiche o sportive. La camicia col botton down è indice di manualità e di sudore, piuttosto che di salotti e raffinatezze, e questo lontanissimo riferimento alla working-class è l’unico ponticello rimasto tra la sinistra italiana e la gente che vorrebbe rappresentare.

Walter Veltroni lo adora perché il botton down fa molto partito democratico americano. “Uolter” ha sempre provato ad imprimere al Pd un’impronta a stelle e strisce, sensibile al cinema e ai Kennedy com’è. Non vi rinuncia certo Bersani, che quando è in crisi di consenso prova a riprendersi ricorrendo a un look più vicino agli elettori: toglie la giacca, arrotola le maniche, beve la birra, ma perde lo stesso i voti. Questi ponticelli ormai sono troppo fragili, hai voglia a metterti il botton down se sei il ministro del decreto Bersani. Il passaggio dalle molotov alla Nato di Massimo D’Alema è testimoniato, quando lo usa, proprio dal botton down, l’ultimo retaggio d’una vita pubblica nata a sinistra. Spesso questi ragazzotti rafforzano l’immagine popolare dei bottoncini mantenendo la giacca dietro la schiena con l’indice come nel celebre quadro “Il quarto stato“. Che inguaribili sognatori! Infatti mentre la barca va a fondo loro continuano a sognare, col risultato d’assomigliare più a Mary Poppins che al famoso dipinto.

Ma che il futuro del partito democratico si chiamerà Matteo Renzi è dimostrato proprio dal fatto che egli non abbia la religiosa abitudine del botton down. Io credo che il sindaco di Firenze abbia un accordo tacito con Berlusconi, che nel frattempo ha abbandonato il suo elettorato popolare e s’è iscritto al partito dei ricchi. Silvio non vuole nemmeno più fare il presidente del consiglio “nel tempo libero”, come si fece scappare lui stesso in un’intercettazione. Vuole solo passare tutte le ore delle sue giornate al quarto piano di palazzo Grazioli circondato da decine di donzelle.

Dal momento che Matteo Renzi non è fesso, ha pensato bene di convergere al centro stringendo un patto sotto banco col leader del centro destra. In base a questo patto lui non attacca il patrimonio del Cavaliere e il Cavaliere non gli fa la guerra, offrendogli un’alleanza che gli consentirà di governare non appena l’opinione pubblica si sarà scordata che Pd e Pdl un tempo erano divisi. Come vedete, il botton down ha un’importanza fondamentale nella politica italiana, consentendo d’individuare qual è la direzione verso la quale marcia. Anzi, marcisce. Il giovane politico fiorentino, provenendo da una famiglia molto ricca, non ha il sangue rosso nelle vene, ma è il perfetto esponente della nostra amata classe di governanti. È uno che con la cazzata giusta al momento giusto si garantisce l’ingresso nella stanza dei bottoni. Oggi cerca d’entrarvi dalla stanza del botton down vincendo le primarie, mentre la cazzata di turno è la storia che i dirigenti del partito sono vecchi. Sia chiaro, è la verità, ma a me non piacciono le persone poco chiare come quelli che stanno nel Pd ma che non usano il botton down. O come i ricchi che si mescolano coi poveri.

 

A destra la situazione è piatta in tutti i sensi. Per evitare di perdere il consenso moderato, gli onorevoli del Pdl sono da sempre inchiodati alla divisa d’ordinanza. Le camicie non c’è nemmeno bisogno di menzionarle, è scontato che qui non abbiano quella vera e propria tessera di partito che è il botton down. Le giacche sono tutte blu e le cravatte variano dall’azzurro Gasparri all’azzurro Storace, fino a scurirsi pian piano in colori più istituzionali e confortanti. Solo l’aspetto di Berlusconi suscita qualche interesse. Quando non sembrava troppo in là con l’età, il Cavaliere usava sempre il doppiopetto come ogni imprenditore milanese realizzatosi nel lavoro. Ma il doppiopetto aveva due difetti: da un lato lo rendeva ancora più basso, dall’altro lo rendeva ancora più vecchio. Per questo dalle ultime elezioni è corso ai ripari, iniziando ad usare normali giacche monopetto, sulle quali talvolta azzarda cravatte d’un viola giovanile.

 

A questo equilibrio si affiancano solo eccezioni che confermano la regola. Nichi Vendola sta a sinistra ma non usa il botton down perché lui se lo può permettere, essendo politicamente corretto ritenere che i gay abbiano buon gusto. Rutelli usa il botton down nonostante filoclericale perché proviene dal partito radicale di Marco Pannella. C’è stato qualche botton down anche nei vari partiti di Berlusconi. Uno è Marco Taradash, che ha la stessa provenienza di Rutelli, un altro è Cecchi Paone, che col botton down sottolineava la sua sensibilità verso il tema dei diritti. A Fini di destra è rimasta solo la camicia senza botton down, mentre Di Pietro prova invano ad assomigliare alla sinistra con improbabili cravatte modello autista di pullman.

Dal momento che mi piace sempre concludere con un segnale d’ottimismo, cito due personaggi che si vestono bene. Uno è Bertinotti, l’altro è Vittori Feltri. Sì, perché la regola del botton down si riflette anche sui giornalisti, assumendo il notevole pregio di smascherarne la collocazione politica. Per esempio, Mentana ha voglia di dire che non vota finché usa il botton down.

Svelato l’arcano che tiene divisi due gruppi di gente uguale, c’è da chiedersi quanto tempo perderemo ancora ad accapigliarci per due soli bottoncini. Se non avete sentito differenze tra gli anni in cui ha governato la destra e gli anni in cui lo ha fatto la sinistra, è perché due bottoni sono solo in grado di mantenere un colletto. La verità è che il botton down è una corrente, più che un partito. Una corrente dello stesso blocco politico che, come ho scritto in “Qui (non) succede un quarantotto“, si chiama partito dei ricchi. Questo partito del futuro dei giovani se ne fotte.

Giuseppe Pastore

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