.«Dall’attaccamento sorge il dolore, dal dolore sorge la paura. Per colui che è totalmente libero, non c’è attaccamento, non c’è dolore, non c’è paura».
(Siddharta Gautama -Buddha)
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Oggi lezione di pratiche da applicare nella vita quotidiana che possono farci sentire meglio. Perciò, se avete voglia di confidarvi insieme a noi, magari qualche riflessione interessante ne può nascere. Sicuramente sarete spinti, inconsapevolmente, a fare un po’ di autocritica, cercherete ciò che caratterizza la vostra personalità per decidere se queste pratiche fanno per voi. Potreste dire “Io sono fatto in questo modo e quindi non ne ho bisogno”, oppure il contrario. Ed ora.. veniamo a noi.
Non attaccamento
Il concetto su cui ci soffermeremo a ragionare è quello del “non attaccamento”, un concetto appartenente alle filosofie orientali, al Buddhismo e anche allo Yoga. Fondamentalmente, il concetto alla base è quello di considerare se stessi come attori, ma anche come spettatori delle nostre azioni e di ciò che facciamo. Secondo questo concetto, lo sguardo esterno alle nostre azioni ci consentirebbe di non vantarci per le buone azioni compiute per esempio, e di non aspettarci nulla in cambio, pur avendo agito in modo positivo. Questo concetto si lega a quello del “Karma“. Avete presente il concetto di Karma no? Potremmo definirlo come una sorta di macchia o spada di Damocle che pende sulla nostra vita ed è determinato dalle azioni compiute in questa vita e in quelle precedenti (dal momento che noi siamo fatti di energia, e poiché come sappiamo l’energia non muore mai ma si trasforma, allora anche la base vibrazionale della nostra coscienza, una volta perso il corpo fisico, non può fare altro che trasformarsi in nuove forme…): se il Karma è positivo, quindi ci comportiamo e ci siamo comportati bene (ossia la nostra coscienza ha “risuonato” di energie positive/costruttive), allora avremo una vita serena e ricca di gioie (o se non altro partiremo con delle “sincronicità” a nostro favore), altrimenti sono cavoli amari.. il Karma sarà una vera e propria spada di Damocle che scenderà inesorabile sulle nostre teste.
In ogni caso, il concetto fondamentale è che dovremmo considerare il passato come qualcosa che non c’è più: se permettiamo che i nostri pensieri passati, presenti e futuri, siano collegati in una serie infinita, non riusciremo mai a dominarli. In sostanza, anche se è cruciale sforzarsi di migliorare se stessi e le proprie potenzialità future, per vivere il momento è vitale l’ “accettazione del presente“, al fine di non illudersi che la felicità e la realizzazione nella vita dipendano da eventi che non si sono ancora verificati (cosa che l’attaccamento alla realtà ci porterebbe a fare). L’ossessione per il passato è un attaccamento così come l’ossessione per il futuro (allo stesso modo è sbagliato attaccarsi troppo ai sogni, giacché ci distrarrebbe dal risolvere i problemi del momento). Se abbiamo sempre la testa nel futuro, perdiamo l’attimo presente… vale a dire l’unico istante sincronico in cui si fondano le ‘prospettive’ della nostra Vita. Rimanendo sulla stessa linea possiamo affermare che l’attaccamento a un posto di lavoro, a delle persone in particolare, a degli oggetti o a una fede… ad esempio, può immobilizzarci nella paura di perdere questi punti fermi della nostra vita. Se le cose vanno male, come a volte può succedere, il dolore può bloccare la nostra crescita e farci rimanere a un punto morto. Niente accade per caso, dunque accettare il momento per quello che è, significa convincersi che tutto sta andando come deve andare -e che non dobbiamo aspettarci nulla. Ogni cosa è il frutto di cause precedenti. Nello stesso tempo, infatti, dobbiamo essere sempre propositivi, senza farci cogliere impreparati. Se le cose non funzionano, dobbiamo cercare di cambiare quello che dipende da noi!
A questo punto, la prima considerazione che mi sento di fare è: mica è facile agire senza aspettarsi nulla! O meglio, credo ci sia da fare una distinzione: se io mi confronto con una persona che si suppone provi gli stessi sentimenti che io provo per lei, allora certo che mi aspetto qualcosa! Esempio: A è fidanzato con B. Se A fa alcune cose perché prova affetto/amore per B, è ovvio che si aspetti da B alcune cose, se anche B professa affetto/amore. Se poi non si provano le stesse cose, forse è meglio lasciar perdere. Ci sono i casi in cui io mi comporto bene nei confronti di estranei: in quel caso è semplice gentilezza, cortesia ed educazione, o no? E a quel punto sì che do importanza al Karma: se mi comporto bene, poi torna tutto!
Ad ogni modo, il concetto di “non attaccamento” può essere applicato anche a chi e da chi non crede nel Karma, nella reincarnazione ecc… Infatti è un concetto che può essere anche di aiuto nella vita quotidiana, come abbiamo visto. Applicare nella propria vita questo concetto vorrebbe dire non essere distaccati dalla realtà, ma compiere azioni positive disinteressate. Questo renderebbe il mondo un posto migliore.
Insegnamento buddhista
Il Buddhsmo si rifà alle parole del Buddha. Secondo lui la causa principale di sofferenza è l’attaccamento. Quindi praticare il “non attaccamento” significherebbe meno sofferenza per tutti.. olè! Con un’immagine molto bella, dice che le catene, anche se di oro, sono pur sempre catene. Cioè anche se dipendiamo da cose belle, ne siamo pur sempre dipendenti. E se perdessimo tutto? Ecco allora che all’attaccamento a qualcosa segue anche la paura per la perdita di questo qualcosa. Ok va bene per i beni materiali, ma se siamo attaccati ad una persona?
La seconda considerazione è questa: noi amiamo una persona e abbiamo paura di perderla. Ma siamo sicuri che la paura sia dovuta al fatto che consideriamo questa persona come una nostra proprietà? Magari è solo affetto. E la paura è solo dispiacere. Non ci può essere una sfumatura? Dopotutto perfino con “Inside Out” (l’avete visto?) si può comprendere come le emozioni, che anche leggiamo come opposte, sono in realtà legate tra loro, come la gioia e la tristezza per esempio. Senza l’una non c’è l’altra. Quindi praticare il “non attaccamento” in una situazione in cui stiamo per perdere una persona cara, diventa un semplice esercizio di maturità: dobbiamo considerare il bene che quella persona può ricavarne dall’andarsene, ma questo non vuol dire che non dovremmo provare dispiacere. Siamo mica degli automi? Come sostiene la Nussbaum nel suo libro “L’intelligenza delle emozioni“, l’uomo è fatto di emozioni e quindi sentimenti; le emozioni ci portano ad agire in un certo modo e ad attribuire un valore alle cose: di conseguenza noi siamo bisognosi di quelle cose, esterne a noi e su cui non possiamo avere un pieno controllo. Ma quindi ne siamo dipendenti? Il Buddha diceva di cercare di distaccarsene, di evitare queste dipendenze. Ma come facciamo se siamo fatti di emozioni? Il Buddha non era stupido, io credo che avesse considerato la complessità dell’uomo e che gli insegnamenti tramandatici, così come sono presentati, siano un po’ troppo semplicistici. Ad esempio c’è ben differenza dal goderci le emozioni (i sentimenti costruttivi al di là degli eventi) rispetto invece agli impulsi, gli istinti più beceri per capirci..
Non attaccamento, ovvero empatia, altruismo, libertà e indipendenza
• “Non attaccamento” come empatia e altruismo: il “non attaccamento” ci insegna che, come dice Newton, ogni azione porta con sé una reazione uguale e contraria. Quindi se vi comportate con empatia e altruismo, otterrete empatia e altruismo. Forse non da quella persona specifica, ma da altre sì! E magari senza che ve lo aspettiate. Ecco perché non bisogna neanche sprecare tutta la nostra energia investendo la totalità delle nostre emozioni in una sola persona o in un nuovo credo: bisognerebbe sempre procedere lentamente e con cautela, per evitare delusioni.
• “Non attaccamento” come libertà ed indipendenza: la nostra felicità è legata a un punto presente dentro di noi e non dipende dagli altri, quindi noi siamo liberi di ritornarci ogni volta. La nostra autostima dovrebbe venire da dentro, non da quello che gli altri pensano di noi. L’attaccamento agli altri ad esempio diventa malsano nel momento in cui ci si circonda di persone dannose per noi. Tuttavia qui si pone il discorso che facevamo prima: se l’uomo è fatto di emozioni e queste sono legate a fattori esterni che non possiamo controllare, allora come facciamo a non essere, anche se in minima parte, dipendenti? Certo è che i sentimenti sono potenti, perciò se lasciamo che ci controllino ci ritroveremo sempre in balia del loro volubile potere.
Conclusioni
In sostanza, il nocciolo del discorso è questo: nel momento in cui contempliamo i desideri e li ascoltiamo, allora non ne siamo più attaccati: li lasciamo semplicemente essere ciò che sono. In questo modo sperimentiamo che il desiderio, origine della sofferenza, può essere messo da parte e lasciato andare. Quindi, per “lasciar andare le cose” dovremmo lasciarle essere quello che sono: ciò non vuol dire ignorarle o rimuoverle, ma piuttosto prenderne nota e lasciarle stare. Con la pratica del lasciare andare ci renderemo conto che vi è un’origine della sofferenza, cioè l’attaccamento al desiderio. Poi capiremo di averlo lasciato… e non ci sarà più alcun attaccamento ad esso. Il segreto sta nel non cercare di analizzare continuamente i nostri problemi personali o le nostre ossessioni, non dovremmo cioè renderli inevitabilmente più complicati, dovremmo appunto praticare l’atteggiamento di lasciare in pace le cose, di lasciarle andare e lasciarle essere ciò che sono. È anche vero che all’inizio, probabilmente, potremmo pure riuscire a lasciarle andare.. ma poi si finisce sempre per riprendere quei pensieri, perché l’abitudine all’attaccamento è ancora forte… Ci vorrà molta pratica ed impegno amici.
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Diciamo che il concetto di “non attaccamento”, a mio parere, costituisce un saggio insegnamento in particolare quando ci fa riflettere sul fatto che la sofferenza fa parte della vita e che dalla sofferenza può scaturire anche gioia. Voi cosa ne pensate?
Roberto Morra
senza desiderio ci puliremmo il culo ancora con una foglia se non peggio. Ovviamente per coloro, e sono molti, che desiderano cose in sulse direi fatti vostri…con tutte le conseguenze del caso.
no, non è così.
Senza desiderio, non ti pulivi per niente.
Col desiderio, usavi la mano, l’acqua, una foglia…
Oppure uno straccio di stoffa, che conseguentemente, lo pulivi anche esso.
Invece immaginiamo nel futuro, che sarà un raggio di laser a pulirci il culo.
Ho sempre pensato che l’anarchia sta alla politica come il nirvana ad un Buddha.
Il progresso razionale è una bestemmia per me.
È da tanto tempo che gli uomini, con le loro piccole invenzioni potevano vivere in pace tra di loro.
E invece no, approfondire ancora di più, fino a quando un laser, pulendo il culo…taglia pure la mente schizofrenica.
E buonanotte ai suonatori.
bisogna capire la vera natura e quali desideri stiamo provando
Sono pienamente d’accordo! Un’ottima analisi, l’attaccamento al desiderio degenera nella perdita del controllo, diventando così vittime delle emozioni. Comunque mi resta un dubbio, e cioè se questa possibilità di riuscire a non sviluppare attaccamento al desiderio sia possibile in una persona giovane che ancora non ha raggiunto una maturità sufficiente? Secondo te è sufficiente solo conoscere la causa per poter risolvere il problema o c’è bisogno della saggezza, frutto delle esperienze?
temo si tratti di una lunga pratica attraverso cui lavorare su se stessi
Ricordiamoci solo che quando molliamo la presa abbiamo entrambe le mani libere e possiamo accogliere ciò che arriva, possiamo vivere il qui e ora. Ma attenzione se ti ritrovi appeso su un dirupo e molli la presa “qui e ora” non vivi piú.
bellissimo e utilissimo post
grazie Roberto !!! <3
tutto questo e’ certamente una via per la crescita spirituale. ci vuole una importante presa di coscienza.
ed ora questo concetto mi è molto piu’ chiaro. bellissimo post di roberto morra
assolutamente vero, l’attaccamento porta e comporta sofferenza. E’ altrettanto vero però che una pratica letterale del non attaccamento non è possibile restando “nel mondo”… a meno che non si scelga una vita assolutamente ritirata, siamo comunque costretti a scendere a patti
Ho una domanda forse non troppo pertinente, ma un pensiero mi ossessiona e non conosco nessuno capace di ascoltarmi senza pregiudizi. Come fate ad accettare il dolore senza rimedio di qualcuno che amate senza farvene distruggere?
Spiego. Stavo frequentando un ragazzo molto problematico e depresso e per la prima volta nella vita ho provato un amore veramente incondizionato. Non so se il suo sentimento per me fosse ugualmente intenso, ma i miei gesti e le mie parole amorevoli lo sorprendevano in positivo, e io volevo solo vederlo felice. Non era mai stato amato, neanche dai genitori. Un giorno ho cercato di convincerlo a cercare un aiuto professionale, ma lui si è rifiutato dicendo che sarebbe stato assolutamente inutile. Poi mi ha pregato di non cercarlo più e di dimenticarlo perché stargli vicino mi avrebbe fatto solo male.
In genere sono perfettamente in grado di lasciare andare affetti non ricambiati, ma non dimentico nessuno, e soprattutto non riesco ad accettare che abbia scelto di rimanere solo con la sua malattia. Come posso smettere di pensarci ossessivamente?
Cara amica, non ho nulla da insegnarti, ci mancherebbe altro… Ho solo un po’ di esperienza da condividere, se potrà esserti d’aiuto.
Innanzitutto c’è ovviamente da sottolineare che l’affettività è l’aspetto più difficile da affrontare secondo l’approccio del non-attaccamento. E’ certamente una cosa molto complicata! Ma ci si arriva, piano piano, partendo però da una visione più ampia.
Insomma, non bisogna certo diventare inaffettivi, anzi, bisogna essere ancor più amorevoli… ma consapevoli che tutto passa, tutto si trasforma… Non è l’attaccamento il problema, ma la dipendenza!
I tuoi affetti, percorreranno il loro percorso, con o senza di te, è la loro vita, il loro viaggio. Noi siamo solo compagni di viaggio!
Invece quei pensieri ossessivi sono solo un problema tuo!
Ama senza dipendere… altrimenti potrebbe anche non essere amore, ma una tua “mancanza” che il tuo inconscio vuole riempire.
Spezza qui pensieri negativi (malattia, solitudine, la “sua inspiegabile scelta”, ecc…). Accetta, lascia andare e l’amore si espanderà! In fondo trova sempre vie per rinascere…
Il segreto sta’ nel godersi a debita distanza le emozioni… soprattutto quelle perturbanti; poiché in effetti, nella vita, ci vorrebbe meno emotività e più sensibilità!
Un abbraccio!
Grazie :’)
La mancanza da riempire in effetti c’è. Tutti prima o poi veniamo a contatto con il dolore, nostro o degli altri. Per accettarlo al meglio fa tanta differenza avere qualcuno con cui parlarne. È molto saggio non attaccarsi a nessuno in particolare, ma è un po’ troppo difficile affrontare una vita intera senza nessun affetto autentico. Allora anche il più breve fugace incontro con l’amore rischia di catalizzare tutti i pensieri e tutte le energie vitali. Ora devo affrontare la sfida più difficile: innamorarmi di questa solitudine. Tornerò a rileggere la tua risposta ogni volta che ne avrò bisogno.