«Vive a Roma è come na storia d’amore: la devi conosce, la devi accettà, devi imparà ad ammalla. E nun è mica facile! Certo c’è il Colosseo, Fontana di Trevi, Villa Borghese; viene facile innamorasse di una città che c’ha tutta sta bellezza. Ma poi pe camparci devi fare i conti col traffico, coi mezzi che non passano, coi topi che camminano lungo ‘r Tevere e pure pe strada. È facile vive a Roma da turista, ma mica noi viviamo in centro! Roma vera sta in periferia; devi ama’ le cose belle e pure le cose più brutte, devi amà le borgate, devi amà i mercati in piazza, devi accettà il traffico, devi rispettà le scritte sui muri. Mò, mettite il casco e vie’ co me che te porto a magna un supplì che aiutame a dì quant’è bono!».
Così un mio amico romano de Roma mi apriva gli occhi in una giornata di primavera quando mi sentivo triste e sola in questa città così grande che sembra fare di tutto per metterti alla prova e per farti capire che per viverci, a Roma, un po’ te lo devi meritare.
Che c’entra tutto questo con “Fiore de Niente“, il nuovo lavoro de Il Muro del Canto? Forse niente, forse tutto; la verità è che Il Muro del Canto m’ha sempre fatto tanta compagnia nella vita, mi ha sempre insegnato a guardare Roma – e la realtà – senza filtri, senza lo splendore dei palazzi, senza l’entusiasmo tipico del turista.
«In tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario» scriveva George Orwell ed è proprio quello che sembra dire Il Muro del Canto con “Fiore de Niente” che è un disco (un discone!) proprio così: è vero, schietto, tratta temi difficili senza indorare la pillola con lo zucchero.
Racconta una vita fatta di lavoro, rinunce, compromessi al ribasso, padroni (“Ciao Core” ma anche “Venerdì“); l’educazione cattolica bigotta fatta di crocifissi, processioni e cantilene tetre, ginocchia sui ceci (“Ginocchi Rossi“); la morte che rende tutti uguali (“L’anima de li Mejo“); l’infamità subìta (“Madonna delle Lame“); la vita di chi ar paradiso nun c’ha santi fatta di lavoro e di fatica di cui non si possono cogliere i frutti (“Fiore de Niente“); un amore a singhiozzo, che va e poi torna all’improvviso come “La Neve su Roma“; i soprusi della polizia carogna ed assassina che non sarà punita per aver spento i sorrisi di ragazzi, “Figli come Noi“.
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A questo punto mi prendo dello spazio per una digressione importante (se non avete voglia di leggerla, saltate direttamente tutto il paragrafo, ma se la leggete è meglio): “Figli come Noi” è un brano rilasciato ad Aprile 2015 e realizzato a sostegno di ACAD, “Associazione Contro gli Abusi in Divisa“, una onlus che «Nasce dalla volontà di dare sostegno alle famiglie delle vittime e a coloro che hanno subito abusi ma che non si sono dati per vinti e non hanno accettato una verità giudiziaria che già troppe volte si è dimostrata a favore di chi tenta in tutti i modi di nascondere la propria impunità dietro una divisa». Da questa collaborazione sono nati il brano e il video (presentato in anteprima al “Festival del Giornalismo di Perugia“, qui trovate sia il video che una bella spiegazione dell’iniziativa – #soffiamoviagliabusi) cui hanno partecipato le famiglie delle vittime – Magherini, Brunetti, Budroni, Cucchi, Serra (nipote di Francesco Mastrogiovanni), Bianzino, Sandri, Zotti (moglie di Vito Daniele), Antignano (mammo di Daniele Franceschi), Bifolco, Ferulli, De Michiel, Casalnuovo e l’avvocato Anselmo (che cura tutte le cause di quasi tutte le famiglie di Acad) – ma anche personalità dal mondo del cinema, dello spettacolo, dei fumetti, della radio.
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“Fiore de Niente” continua, poi, con “Quando Scende la Notte” che credo sia l’unica canzone de Il Muro del Canto in cui l’amore è corrisposto, sebbene sia un amore difficile e vissuto come una sfida continua; Se “I lupi Verranno a Bottega” ricorda come, spesso, gli avvenimenti siano ciclici; la società, il padrone, la vita che abituano a dire sempre sì e avviliscono (“Come Tre“).
Ma il disco, e questa secondo me, è una grande forza per i testi di Daniele Coccia, non è una raccolta di pianti e lamenti ma, anzi, traccia dopo traccia, indica la strada per liberarsi dalle oppressioni e dalle privazioni cui la vita costringe: la lotta di classe (“Fiore de Niente“); godere delle ore libere del fine settimana (“Venerdì“); correre liberi in bicicletta con la spensieratezza dell’infanzia (“Ginocchi Rossi“); la denuncia di quanto successo e poi i conseguenti ricordo e ricerca di verità da parte di chi resta (“Figli Come Noi“); la preghiera ad una madre che vendicherà l’infamia subìta (“Madonna delle Lame“); vivere godendo al massimo di ogni momento che la vita regala (“L’anima de li Mejo“); stare attenti e resistere (“Se i Lupi Verranno a Bottega“) perché le difficoltà, sebbene ti pieghino, non fanno altro che darti la forza necessaria ad affrontarne altre con ancora più forza (“Come Tre“).
Il nuovo lavoro del gruppo romano, inoltre, contiene due racconti scritti ed interpretati da Alessandro Pieravanti: “Domenica a pranzo da tu madre” e “Vivere alla grande“; che, forse, ascoltati da casa, in cuffia, perdono un po’ di personalità rispetto all’ascolto dal vivo.
Le sonorità sono quelle tipiche de Il Muro del Canto: un folk antico ma innovativo, una fisarmonica che sta lì costante ad accompagnare e ad innalzare i brani, temi western, veloci, chitarre elettriche ma anche archi sublimi e inaspettati (penso, soprattutto, a quelli che chiudono “Domenica a pranzo da tu madre” che esaltano in modo magnifico il clima di appartenenza alle proprie radici e di sublime nostalgia che si respira nel pezzo).
Sebbene faccia musica in romano, Il Muro del Canto tratta temi universali e, per questo, non relegabili alla sola zona di Roma e dintorni, ma sono apprezzabili anche molto al di fuori dell’anello del Grande Raccordo Anulare.
“Fiore de Niente” è un disco indubbiamente politico, un disco da ascoltare quando tutto pare andare male, quando non ci ricordiamo bene da che parte della barricata stare, quando il lavoro, la vita e gli accolli sembrano volerci spremere fino all’ultima goccia di sudore.
«La vita è bella pure se fa male».
Giorgia Molinari
Foto: Gianni Coccia
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“… senza indorare la pillola con lo zucchero.” Mi piace che si canti senza sproloqui per giustificare l’ingiustificabile. Una grande suggestione. Grazie.
li seguo a sprazzi, ma non mi faccio mancare mai le occasioni. mi piacciono molto
bellissima recensione
io non li sopporto. mi faccio due palle cosi’ ! questa bella recensione mi ha spinto a riprovarci con questo video. ma niente o…. e’ piu’ forte di me
..co sta scusa del romanesco…. ma?!
comunque la Giorgia ci piace piu’ della sambuca …
inscenano il dramma liturgico romano come nessuno…. sono fortissimi! questo disco preannuncia meglio !!!
ero all’atlantico,vi ho detto tutto.
amore vero ………..
questo blog lo adoro. ogni post è un occasione unica e irripetibile di parole pensieri e sensazioni
bravissima Molinari , su un gruppo che è tra i miei preferiti da sempre ..
è che su queste pagine sembra tutto più bello!
a me invece mi piacciono un casino! li trovo un gruppo totale nella loro pur ristretta assonanza cittadina. e questo non è per niente da poco!
anche questo disco sembra essere spettacolare! grandi ragazzi!!!!
che bella recensione per una band ormai indispensabile alla musica indipendente nostrana
bel singolo
Nella citazione c’è un “sempre” di troppo… 😉
Wops! Grazie mille Luca, correggiamo subito!
🙂
L’articolo e “l’Articolante”…meritano…uno d’esse letto e l’artra d’esse premiata per core che c’ha messo…!
Quelli der Muro so grandi…tanto quanto pò esse grande chi scrive davero quello che sente…! Me piaciono li testi…che pesano su le teste (capocce)…e la sonorità che me va a sangue…la voce forte e chiara…quasi “calma de rabbia”…!
Grazie Ja, davvero. Daje! 🙂