Il labirinto

Il labirinto evoca sempre misteri iniziatici, le vie devianti che portano all'illuminazione (cit.)

Scrivere di labirinti può sembrare una facezia ma, talvolta, è la nostra stessa vita ad esserlo, con le sue costrizioni e percorsi obbligati. Metaforiche strade che si restringono, cunicoli che finiscono contro un muro. Chiunque varchi le soglie dell’intricatissimo viluppo ha una sola speranza, quella di imboccare la strada giusta per l’unica via d’uscita. Il labirinto è una grande metafora della nostra esistenza.

 

Labirinto deriva dal greco “labirinthos” che nella mitologia greca designa un edificio dalla pianta molto complessa, il cui intricatissimo viluppo di ambienti e passaggi rende difficile l’uscita a chi si trova all’interno. Il mito greco narra che nel labirinto costruito a Creta dall’architetto Dedalo per il re Minosse era rinchiuso il Minotauro, mostro umano con testa taurina, nato dall’unione della moglie del re con un toro, condanna sancita da Poseidone per il mancato sacrificio di un toro da lui stesso inviato alla corte di Minosse. Il mito narra le gesta di Teseo, eroe ateniese, che aiutato dalla figlia di Minosse, Arianna, penetrò nel labirinto, uccise il mostro, liberò i fanciulli da Atene a Minosse come tributo e riuscì infine a uscire dall’edificio guidato dal filo che Arianna gli aveva procurato per non perdersi.

Questa versione greca del mito, mentre tende a sovrapporre la vicenda mitica a quella storica dell’abbattimento della potenza cretese e della distruzione del palazzo di Cnosso, interpreta molto probabilmente antiche dottrine esoteriche, in cui il labirinto simboleggia un rituale di iniziazione che implica l’ingresso in un aldilà dal quale si può ritornare solo se si posseggono determinate prerogative o conoscenze.

Il labirinto cretese fu identificato da alcuni archeologi col palazzo di Cnosso, altri ritengono che il termine indicasse una serie di grotte sacre al culto di divinità infere esistenti a Creta.

La letteratura antica ricorda anche altri labirinti : Erodoto, con Tucidide padre della storia, narra di aver visitato in Egitto un labirinto costituito da tremila stanze, di cui la metà sotterranee. Le prime strutture labirintiche furono rinvenute nel bacino del Mediterraneo legate a diverse civiltà, ad esempio presso la civiltà Babilonese: la forma circolare della spirale pare fosse una elaborazione delle viscere degli animali, che una volta immolati agli dei venivano poi usati a scopi divinatori (dagli aruspici nella tradizione etrusco-romana). In Egitto esisteva il labirinto celeste nel quale venivano accolte le anime dei morti in ossequio ad una tradizione postmortem.

 

Il labirinto nel corso dei secoli ha mutato il suo significato, plasmato di volta in volta dalle culture dominanti e dagli ambiti di applicazione. Un accelerazione alla evoluzione semantica si ebbe nell’età barocca, unitamente alla conoscenza tragica dell’uomo imprigionata in un sistema di cammini intricati e fuorvianti dove non sussiste più un centro come in origine a cui si era ineluttabilmente destinati, bensì erranza senza direzione.

 

In architettura il labirinto è una struttura concepita in modo tale che risulti difficile per chi vi entra trovare l’uscita.

Nel linguaggio comune è divenuto sinonimo di rompicapo.

Nell’antichità fu anche la metafora tramite la quale Platone, nel dialogo socratico “Eutidemo“, descrive la struttura del dialogo medesimo come sovrapponibile a un labirinto unicursale in cui le uniche due possibilità sono di giungere alla meta o di ritrovarsi al punto di partenza.

 

Dopo la grande diffusione del simbolo che ebbe luogo nel XVII e XVIII secolo, si assistette ad un rapido decadimento dovuto all’avvento della civiltà industriale ottocentesca, che riteneva elucubrazioni prive di senso quelle relative alla mistica del labirinto nella sua tradizione archetipica.

La resurrezione del labirinto nell’orizzonte artistico avvenne nel XX secolo e coinvolse anche la letteratura, questo fu reso possibile dalla scoperta di un inopinato mondo interiore a cui l’opera di Sigmund Freud contribuì in misura determinante. Celeberrima la metafora mediante la quale rese nota la portata della sua scoperta, là dove paragonò la realtà esteriore, il conscio degli uomini alla punta di un iceberg, mentre l’inconscio fu assimilato all’immensa colonna ghiacciata che si estende sotto la superficie dell’acqua.

Nella letteratura del novecento la dimensione labirintica dell’umano è rappresentata da Luigi Pirandello, che con il suo teatro e i suoi romanzi ha voluto dimostrare come la verità sia solo un punto di vista cangiante, legato alle visioni individuali dei soggetti.

 

La struttura enigmatica del labirinto ha suscitato l’interesse di numerosi artisti, le sue volute, la simbologia dell’imperscrutabilità del disegno divino, ha ispirato Jorge Luis Borges in alcune novelle come “La biblioteca di Babele” o Umberto Eco in “Nel nome della rosa” (1980).

Giuseppe Berto, nel suo capolavoro “Il male oscuro“, descrive il nevrotico mondo interiore, il suo labirinto interiore, immateriale, invisibile, ma presente in tutta la sua sconfortante grandezza, ponendo il lettore di fronte a uno specchio che riflette le sofferenze di ognuno, le fobie, le gabbie del passato che si nascondono al nostro sguardo come giustappunto in un dedalo interiore.

 

Un notevole interesse lo ha riscosso nelle arti figurative dove la tradizione antica lo identifica con il motivo decorativo del meandro, nel medioevo, in certe chiese italiane e francesi, l’intarsio marmoreo del pavimento configurava un labirinto o un meandro; si pensa che avesse un significato legato a riti iniziatici o penitenziali.

 

L’ immagine del labirinto ebbe poi particolare rilievo nella iconografia del manierismo, fungendo da efficace risposta all’horror vacui e traducendo le esigenze di astrazione che caratterizzavano l’arte fortemente intellettualizzata di quell’ epoca.

 

Nelle Avanguardie novecentesche ossia il Futurismo, il Dadaismo, l’Astrattismo, il Surrealismo, l’elemento di rottura con l’opera classica, con il passato porta con se un ispirazione labirintica della vita nell’accezione più estesa.

Pablo Picasso, il più grande pittore del ventesimo secolo, ne fece il soggetto di un’opera che intitolò “Minotauromachia” (1935), dove è pacifica l’adesione alla mitologia greca.

Giuseppe Cetorelli

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7 Comments

  • si,ci sono opere che rimandano a millenni di mitologie antiche,un manto iniziatico che si perde nella notte dei tempi…..secondo la bestia che abbiamo dentro il labirinto del nostro cuore.
    bel post!

  • “….conoscenza tragica dell’uomo imprigionata in un sistema di cammini intricati e fuorvianti dove non sussiste più un centro come in origine a cui si era ineluttabilmente destinati, bensì erranza senza direzione….”
    ……io sono un minotauro, cazz…
    complimenti a Giuseppe Cetorelli e sempre magico Uki!

  • uno degli archetipi più importanti dell’esistenza cosmica…….dentro risiede la bestia che è in noi……la mitologia del demone, e quindi poi del Diavolo, come insegna Uki, eh eh eh eh….ho studiato.
    sempre interessante Cetorelli

  • condivido tanti dei posti che scrivete, è spero che ne aggiungerete altri.
    il labirinto è stato associato al pericolo dello smarrimento, del disorientamento; chi vi entra rischia di rimanerci intrappolato. Occorre coraggio e intelligenza nel percorrere quella via sinuosa dall’inizio fino alla fine. Già il mito del Minotauro, Da sempre, anche se enfatizzato in modi diversi, il labirinto parla della rischiosa complessità del mondo, di vita e morte, di bene e male.

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