Il diritto mafioso..

Il cancro mafioso visto nell’aspetto giuridico

Ovunque ci sia una società, lì nasce un’organizzazione giuridica, e la mafia non fa certo eccezione.

L’organizzazione dell’onorata società è così pervicace che si può quasi parlare di uno “stato“. Per essere uno stato necessiterebbe d’una sovranità esclusiva sul territorio, cioè gli mancano due cose:

– il riconoscimento dentro e fuori i confini da parte di chicchessia..

– e l’indipendenza da qualsivoglia autorità interna.

Se non è impossibile imbattersi in chi riconosce solo l’autorità mafiosa, come può capitare in alcune zone dimenticate da dio e dal mondo, una mafia senza uno stato è impensabile. Questa circostanza, a tutto concedere, contiene il fenomeno a livello d’uno stato sui generis. Uno stato sui generis all’interno d’un altro stato, col quale talvolta entra in conflitto, che talvolta sfrutta come un parassita e di cui talvolta ne compensa le mancanze.

 

L’imposta statale rende bene l’idea della drammatica presenza di una doppia autorità su un unico territorio. Imposta significa prestazione imposta, cioè è una prestazione che dobbiamo pagare senza averla altrimenti contratta, se non per il solo fatto che siamo residenti in un territorio. Tuttavia, ne giustifichiamo il pagamento non perché siamo meri succubi d’una autorità, ma per ricevere dei servizi.

Sullo stesso territorio, la mafia fa lo stesso, cioè pretende un’imposta che si chiama pizzo, perché ritiene anch’essa d’essere sovrana. Pizzo significa angolo, e questa espressione si usa perché si presume che i risparmi siano stipati all’interno di uno spazio nascosto della casa che potremmo chiamare posticino: sotto una mattonella, dentro il materasso, quei posti, insomma. La differenza dall’imposta statale è questa. In cambio, la mafia eroga il servizio della tranquillità non già direttamente verso i pericoli che provengono dall’esterno, ma verso le reazioni scomposte di sé stessa, cioè se la canta e se la suona. Questo impedisce che chi paga il pizzo si senta sovrano come il cittadino che paga le tasse, bensì lo frustra al livello di suddito.

 

Questo rapporto di convivenza con lo Stato non è di sola incompatibilità, perché la mafia sfrutta le debolezze statali per ricavarne profitto: usa le strade, s’infiltra nei centri di potere, vince le gare d’appalti.

Infatti i mafiosi sono stati ostacolati dal fascismo, quando lo stato era molto più intollerante verso autorità diverse dalla sua, e lo stesso si dica nell’Unione Sovietica, laddove la mafia russa è riemersa soltanto con la caduta del muro di Berlino. Poiché qui e lì la mafia è riemersa non appena si sono disgregate le dittature, si può credere che una causa importante della sua nascita sia uno stato debole che induce i più solerti di un territorio ad organizzarsi spontaneamente e rozzamente per darsi un ordine, che la latitanza dello Stato legittima anche moralmente. Donde, la problematica presenza di elementi culturali nel fenomeno, sui quali molto spesso fanno perno i registi cinematografici, e la necessità d’un approccio altrettanto culturale al suo contrasto.

 

Le regole di questo stato sui generis sono interessantissime. Sono tutte regole consuetudinarie, cioè stabilite dalla ripetitività dei comportamenti, e questo si spiega con la pericolosità della forma scritta, dato che non stiamo parlando del regolamento del Subbuteo. La struttura è verticistica come quella della Chiesa, caratteristica che la rafforza e la irrobustisce come tutte le organizzazioni verticali: non è un caso che la Chiesa esista addirittura da molto tempo prima della nascita di gente come i lord inglesi.

A monte c’è una cupola che assomma sia poteri legislativi che giurisdizionali. I primi vengono esercitati con interpretazioni e lasciapassare, i secondi per dirimere i conflitti di competenza tra le famiglie, riconoscendo all’una piuttosto che all’altra il potere di condannare qualcuno. A valle ci sono le famiglie, che operano sul territorio spartendoselo, nell’osservanza della normativa mafiosa vigente.

Le regole mafiose hanno tutte le caratteristiche di una norma giuridica vera e propria:

– sono valide, cioè provengono da una fonte “legittimata” a produrle,

– e sono efficaci, cioè sono applicate e rispettate con rigore.

Quest’ultimo è l’aspetto più interessante del fenomeno. L’efficacia delle regole mafiose è la maggiore possibile, tanto da far impallidire quella di moltissime regole statuali. Per dare il senso della gravità d’un ordinamento incerto, basti pensare che, negli ultimi anni, in Italia ci siamo sorpresi dell’efficacia di due leggi, non certamente tra le più importanti: quella sul divieto di fumo nei locali pubblici, e quella sulla patente a punti. Nell’ordinamento mafioso, invece, s’aderisce con piena osservanza a tutte le regole che lo compongono, a causa dell’intransigenza dell’organizzazione. Il mafioso o il malcapitato che vi ha a che fare le rispetta perché teme la certezza della pena. Infatti, nell’ipotesi di illecito, che nell’ordinamento mafioso non si chiamerà civile, penale o amministrativo, bensì illecito mafioso, la reazione non è garantista. Una reazione è garantista quando scattano tutte quelle altissime misure che uno stato civile fornisce: su tutte, un giudice terzo e imparziale, che decide dopo aver sentito l’una e l’altra campana, poste in condizione di perfetta parità. Nel diritto dell’onorata società, chi ritiene di aver subito un torto non ricorre ad un’autorità terza, ma vi provvede da solo, come nel diritto internazionale. E infatti non esiste il giudice mafioso, mentre esiste la ritorsione mafiosa come esiste la ritorsione internazionale, cosa che corrobora la tesi della statualità della mafia.

Altra cosa niente affatto garantista è che l’illecito mafioso viene accertato con cognizione sommaria e con metodo inquisitorio: si subisce un torto, si sospettano le cause, ce ne si fa un’idea e se ne cerca qualche riscontro. L’obiettivo è il convincimento di sé stessi, non di qualcun altro, peraltro senza che nessuno abbia il diritto di persuadere del contrario. In questo pericoloso diritto processuale la prova, cioè il convincimento sull’accadimento di un fatto, non è il prodotto di un lungo e ponderato giudizio, ma di una tesi personale, che, data l’irreparabilità delle conseguenze, induce mille volte a non commettere un errore, che per la sua gravità cambia il nome e diventa sgarro. Infatti, il grado d’appello non esiste e le condanne sono immediatamente esecutive: condanno, sparo, boom, ammazzo, e non posso tornare indietro. Cesare Beccaria diceva siano inflessibili i giudici e siano miti le leggi: qui è tutto inflessibile. Quindi si capisce l’elevatissima certezza della pena che questo sistema presenta, a tutto detrimento di garanzie e di giustizia. A tanta certezza, s’accosta una sanzione sproporzionata e irreparabile, nella quale non è presente il fine rieducativo, ma un’esemplarità seminatrice di terrore.

 

La circostanza che la mancanza dello stato in molte parti d’Italia e del mondo faccia proliferare una mafia sociale e assistenziale non è nemmeno un’attenuante. Come le cellule tumorali viaggiano in una direzione opposta rispetto a quelle sane dello stesso corpo, così lo stato mafioso viaggia in una direzione opposta rispetto allo Stato, senza il quale non verrebbe neppure ad esistenza: dunque, la mafia è un cancro. Non lo sostengo per aspirare ad essere testimonial della pubblicità progresso, piuttosto per questa considerazione: le cellule mafiose non esistono per il benessere generale come quelle statuali. Uno stato potrà pure funzionare male, ma esiste per erogare servizi, dunque per diffondere il benessere generale. La mafia, invece, esiste per garantire monopoli sui servizi che lo stato vieta, mantenendoli con il sangue.

 

Tralasciando quanto è più scontato, cioè la ripetuta commissione di delitti efferati nella quale si sostanzia l’attività mafiosa, dico questo. È vero che nell’organizzazione di questi monopoli ci sono effetti benefici come la manovalanza da retribuire, ma è vero pure che questo è solo l’effetto incidentale di una struttura che, viceversa, persegue il profitto, finalità che, alla lunga, entra in conflitto con la finalità statuale. Anche il profitto d’una impresa può venire in conflitto con lo scopo dello Stato, per esempio è frequente che un’impresa debba ridimensionarsi perché inquina, ma tra impresa e Stato prevale sempre quest’ultimo. Con la mafia non è così, perché i mafiosi non riconoscono l’autorità superiore dello stato, bensì la subordinano al perseguimento dei propri scopi, senza con questo cercare di demolirla, dal momento che ne sfruttano i beni che fornisce. Dunque, la mafia è una malattia tumorale all’interno dello stesso territorio, cioè dello stesso corpo. Un corpo che è malato un po’ per fattori endemici e un po’ per mancanza di cure.

Giuseppe Pastore

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