Aprile il mese più crudele, i ragazzi del Naviglio trasudano dai portoni scheggiati di legno ammuffito dei palazzi di ringhiera fluiscono confondendosi con i palazzi slavati spintonando la gente vanno veloci a svoltare i loro affari inutili e maestosi, i minuti scorrono veloci – aprile già il tramonto infiamma buon umore, tutti danno un occhio poi gli occhi si sbarrano la notte – gli infissi delle finestre li scorgono sorseggiare liquore sospesi al bordo del canale l’acqua stagnante li accoglie – una vecchia nonna, mette in tavola piatti saporiti e abbondanti poi li rimbocca le coperte coi piumoni come quando fuori piove.
Train è un treno nella notte gelatina sui capelli sfreccia sulla 90 sul 24 sul 3 sul 9 fino al capolinea dove si perde il naviglio ha un pacco da infilarsi nelle mutande e un altro treno da prendere poi dentro un palazzo occupato smercia e trambusta banconote che sembra un ragioniere arriva Danny trafelato gli hanno fatto il portafoglio ma niente sbirri i soldi ci sono e la notte è fresca scovano Charlie Walter e Jamie berranno tutta la questua fino a quando il cinese li sbatterà fuori , torneranno a casa a piedi per smaltire il carico come chiatte nel porto si trascinano lenti controcorrente risalgono il fiume qualcuno in silenzio scarica la mercanzia sporgendosi lungo gli argini nella palude mentre la luna è ormai scomparsa da un po’ l’asfalto luccica sotto le luci rossastre e la notte muore dentro.
Sgocciola la nebbia sulla pietra la mattina, quando la stagione sta per cambiare, le ragazze del naviglio sciolgono i capelli sui cappotti aperti e sfilano tra i canali lasciando in giro scie di profumi familiari quasi sorvolano le vie umide desolate del mattino, svicolano lente con le biciclette arrugginite nei loro cesti frutta fresca e giornali e pane caldo fanno ritorno in silenzio assaporano le prime luci velate piombano nella stanze strette e oscure che il giorno è pericoloso da affrontare a muso scoperto c’è qualcuno che dorme nel letto, le ragazze si muovono piano senza far rumore bisbigliano un motivetto , preparano il caffè l’odore riempie la stanza gelata – fuori il sole carbura lento – mezzogiorno di domenica per uscire quando l’aria si scalda e la città è deserta , le ragazze dei navigli siedono dentro un bistrò ordinano qualcosa mentre stendono la loro serie di sogni come lenzuola appena lavate di fronte qualcuno le osserva e le guarda passare ogni tanto per caso c’è qualcosa che ricorda l’odore di lenzuola fresche ci si emoziona poi chiedono il conto e pagano sempre – pomeriggio senza parlare per il mercatino delle pulci comprano libri incartapecoriti che non leggeranno mai – orologi di latta , scatole di thè.
Giugno in palude – le ragazze del naviglio scalze bevono peroni tiepida in lattina poggiate sul cofano scassato di vecchie fiat uno , a volte la pioggia leggera le sfiora sulla fronte , parlano di tutti i loro trucchi e tarocchi con lo sguardo immobile mentre il sole va giù.
L’Umbè ha deposto l’eskimo foderato in lana di ratto di Vercelli e si insacca nel giubbino nero di jeans sfilacciato , poi sfilaccia anche lui nella notte per il canale diluendo negroni nel sangue grigio delle vene senza una meta, Teos rimugina i pensieri grattandoli via dai suoi i ricci neri e secchi, acchiappa il 3 direzione incupire dentro un canalone di acqua piovana accanto una chiesa di mattoni rossi torre di guardia si stende sulle rive lento osserva sopra l’orizzonte la città muoversi che fa sera- i palazzi si accendono, il rumore si attenua , l’umidità si sperde- poi si perde anche lui sotto l’orizzonte segue le scie delle trote sbandare nella corrente piatta – torna che è già sera a piedi accanto al guardrail le auto gli sfrecciano veloci, divora due tranci di pizza cartonata egiziana poi sotto casa di Vanny, aspettarla davanti al citofono fissando il suo cognome in times new roman, sentirla scendere le scale- la porterà sottobraccio come quella foto di Dylan&Suze sull’album the “Freewheelin’…” dentro qualche seminterrato in penombra dove si proiettano film svedesi anni ’20- solo dopo la Vanny si incontrerà con le altre – chiacchierano come oche- , tra i ricci di Teos l’unico pensiero sarà la fuga, una scusa che regga, per tuffarsi nella sua strettoia fuori dal caos.
Mezzanotte – i ragazzi del naviglio sono tutti belli e colorati di vino smerigliato cherosene – scelgono il club meno distante si infilano tra gli altri senza mischiarsi mai per piombare nel gioco del sesso, testosterone e feromoni lievitano al caldo poi si spargono nell’aria mischiandosi all’alcool e al sudore – le ore sfrecciano , ora le casse passano roba che sa di vecchio di LaMonteYoung forse un disco rassegnato- le ragazze dei navigli con gli zigomi pallidi, occhi lucidi e grandi , gironzalono in canotta con enormi tatuaggi sulle spalle qualcuna litiga con il tipo urlano come pazzi nella notte calda fuori gli insulti graffiano le persiane chiuse, le altre solo aspettano che la notte trascorra senza fare del male l’alba sgorga lenta e irremovibile i drink diventano caldi le sigarette finiscono poi come una corte funebre una parata macabra marciano lenti verso un letto da allagare.
Estate. I ragazzi del naviglio sono un big bang, si espandono e si raffreddano lontano dal canale che li ha nutriti e cullati tutti ritornano alle loro famiglie dentro case che non sanno più, quelli che possono battono le vie del nord, sacco a pelo e pantaloncini, si accampano nei parchi di Berlino Gotemborg Varsavia Reykiavic, fanno gruppo si riconoscono dall’odore, gli altri si sperdono in mille rivoli si sciolgono al sole come un ghiacciaio annerito- hanno tutti la faccia di vecchi trattori dal radiatore rovente, solo si fermano a raffreddare all’ombra di stazioni di servizio abbandonate – si scrutano intorno nell’aria calda sotto il sole, le loro carni bianche diventano rosse poi scure, si perdono nelle nuvole spazzate dal vento in cieli diversi.
Tutti fanno ritorno entro la fine di agosto, pochi non torneranno mai più.
Tommy fu così che un agosto decise prolungare il suo interrail greco per la turchia – missed. Silvia la rimpiangono ancora i bagni del Tropical, cassiera dentro un grosso centro commerciale di Vimercate/Novendrate/Gallarate. Poi succede che qualcuno passa per Londra o Liverpool si innamora di una irlandese lentigginosa e ci resta per due/tre anni e al rientro nessuno lo riconosce più non ha lo stesso odore la palude l’ha vomitato.
Novembre i ragazzi del naviglio si stendono su divani di quarto ordine fumando le poche riserve di foglie di tabacco rinsecchito, nel cielo si ammassano nuvole di gas liquido provenienti da Plutonio l’acqua marcisce fanghiglia gelata ansia e depressione si spandono per le strade desolate, loro la seguono e la esaminano al riparo delle loro stanze oscurate tanto sesso dietro i vetri.
Escono tra la nebbia e il nevischio, nessun rumore dal mattino presto, si muovono come cacciatori nelle lande sferzate dal ghiaccio fanno provviste per tornare presto orsi in letargo – Pomeriggio il grigio prende coscienza e ingurgita le anime dei rivoltosi sedandoli –nelle stanze fumo d’oppio su tappeti persiani- la stagione dei morti è un orizzonte vago indefinito – Buio pesto i ragazzi scarponi consumati e cappotti infeltriti sono ninja assetati che scivolano su sentieri invisibili, sono chiatte merci scariche che rollano risalendo la palude stagnante alla ricerca di una tana calda.
La notte violentata da voci basse – i ragazzi si scontrano, soldatini sperduti nelle trincee – poi un urlo fende la bruma dalla lama ritirata sgocciola sangue e rugiada, Jack ricurvo con le mani tenta di ricucire la linea tra il fianco e l’ombelico come quando d’agosto dalla finestra in penombra spiava i muratori sudati spalmare il cemento tra i mattoni arancioni, ora il suo respiro divampa in fumo.
Poi tutto ritorna nebbia e scompare e niente è fino a quando il profumo di Wendy misto al fumo e rossetto e maglione di lana grossa gli inzuppa le narici – riattiva la circolazione le vene dei polsi sente il caldo del sangue scorrete – Jack riapre gli occhi stretti come grate sulla strada luci soffuse coperte indurite di ospedale flebo – Wendy sonnecchia su una sedia il mento sulla spalla respira male la sciarpa fende il pavimento Jack si tasta il fianco coperto di garze – per ora tutto bene – vorrebbe alzare la guancia in un ghigno invece torna a sonnecchiare.
Dicembre l’aria è tagliente e raschia gli zigomi, i ragazzi del naviglio si addensano in bui locali – Il y a une femme dans toute les affaires chercez la femme!- fanno baldoria ruspanti – lanciano grida da gallo da combattimento tenuto alla catena a Puerto Escondido- scalciano le loro zampette strette in jeans e scarponi da combattimento– Johnny alla seconda birra nella caverna tenta l’evasione ma lungo il sottoscala lo bracca una pantera – cherchez la femme –, lei alza la manica ha la sua data di nascita tatuata sul polso e una finta pelliccia , le offre una birra lei ci mischia qualcosa poi lenti si stringono nella tana sempre più in fondo lei glorifica le labbra umide sul suo collo, notte fonda nella tana regna la fiesta tutti cercano qualcosa, i due svaniscono nella notte lui entra dentro forte – tira spallate alla porta di casa –lei lo imprigiona nel suo cosmic sesso freddo e spigoloso – lui sente la un accordo dolce di La minore vibrare dal caldo legno di una chitarra acustica quando esplode soffocando tra i suoi capelli e la pelliccia fumé.
Stagioni su stagioni, i ragazzi del naviglio bimbi perduti dentro la palude che non c’è odiati da tutti dal circo arrivato in città – cullati dalle acque immobili galleggiano dentro un’allucinazione.
Giancarlo Pitaro
molto molto bello. complimenti a Pitaro!
un vortice ineluttabile.. bella scrittura.
una lettura convulsa che neache d.f.wallace , eheheheh
in fondo si galleggia dentro un allucinazione 🙂
complimenti a Pitaro
forse pesante, tosto quasi… pero’ wao!
Mi è piaciuto un sacco
Grande esploso senza punteggiatura…esploso del posto che amo a Milano…un’altro Mondo nel Mondo…alieni ci abitano e se non ci abitano ci sono di giorno e di notte ci sono come fossero lì da sempre…non li conosci ma li conosci…strana gente…che bella gente…!
Un racconto che avvolge tra spire di vita…vivente vissuta patita goduta…!
Bello bello bello…complimenti…!
C’è un pezzo di Kerouac in chi scrive…lo sento e ne sono convinto…!