I Pugilatori – Round II

Racconto in 4 Round...

II Round

Certo che lo conosco il quartiere, ci ho svolto la pratica “Infanzia” qui.
So tutto, di ogni strada, vicolo e pertugio.
È roba mia.
Conosco tutte le entrate del parco pubblico, e ne so anche di segrete. Il bar, quello grande, fa angolo sulla strada principale che si srotola poi in una serie infinita di negozi: uno di abbigliamento, un’officina, uno di lampadari che conta tre vetrine e si collega direttamente al barbiere, le carte da parati, gli HI- FI ed un salumiere.
Potrei farci la guida, qui.
Alla vostra destra la ferramenta dove comprare gli attrezzi per i lavori in casa di vostro padre.
Sulla sinistra il lattaio, dove ricordarsi di acquistare Lt.1 di latte per la colazione di vostra madre.
Là in fondo, la bisca dove giocarsi tutti i resti.
Se volete fumare senza essere visti da occhi indiscreti vi consiglio quel muretto lì, quello con la frasca di fianco… lì non vi vede proprio nessuno.
E guardate su, prego, quella è la finestra della camera da letto di una ragazzina che circa vent’anni fa prometteva molto bene.
Se la incontrate, consiglio di nuovo la frasca.
Scendo dal tram come un reduce farebbe dall’aereo che lo riporta a casa.
Assumo un passo marziale.
Sono tornato gente.
Io, il Figliuol Prodigo.
Volto l’angolo quasi correndo, inebriato dai profumi delle carni cotte che già mi pare di sentire.
Vitelli grassi sulle braci, per il mio ritorno.
In onore di me.
E appena volto, batto il muso e sono a terra, ai piedi di un muro.
Un muro di almeno 3 mt.
Un muro giallo.
Ho le ginocchia sbucciate.

.

Il muro giallo corre da angolo ad angolo ed ostruisce completamente l’entrata sulla via principale. Al centro del muro una specie di porta, due metri scarsi.
È tutto.
L’unico vero accesso.
La Porta del Quartiere.
…Queste parole di colore oscuro vid’io scritte al sommo di una porta…
SOLO PEDONALE
E forte del mio diritto bipede, uccido ogni viltà ed entro.

.
Due larghe assi di legno, discretamente transennate, corrono verso i marciapiede laterali.
Una verso destra ed una verso sinistra.
Il resto della strada non esiste più.
Sventrata.
C’è solo terra divelta, un cumulo di qui, un fosso di là. Tre bulldozer e una scavatrice dormono tranquillamente in parcheggi fangosi.
Sarà ora di pausa, per loro.
Il cantiere si estende per tutta la totalità della strada, quella principale, li dove tutto converge e succede.
Un taglio nella gola del Quartiere.
Un intervento a cuore aperto di chirurgia urbanistica.
Pochissime chance di sopravvivenza.
I palazzi sui lati sono coperti fino al I piano da reti arancioni in plastica.
Tutti i negozi, da qui, sono invisibili, completamente nascosti all’occhio.
Per fortuna io li so tutti.
Per fortuna è roba mia.
Seguo l’asse di sinistra e mi fiondo sicuro nel Barbiere.
E una volta dentro al Barbiere, mi ritrovo in una Cartoleria.
No, no, saranno dieci anni che il barbiere ha venduto l’attività, dice il cartolaio mentre già torna a discutere con un paio di clienti.
Esco deluso sulle parole «…qui devono rimborsare le attività, mica cazzi!».

.
Appena fuori mi ritrovo in un nugolo di vecchiette svociate.
«…’che qui mica si può fare ‘sta storia…»
Permesso…
«…che tutte le volte ci rimettiamo noi…»
Scusate, signore, prego…
«…tira di qua, tira di là, e poi succede…»
«…ma è successo allora? E’ successo davvero?…»
«…è successo?? Facciamo vertenza allora…»
Signore!!
«..si si, io si, devono rimborsare le case…»
Ok.
Sguscio sgomitando con forza.
E che cazzo.
Allungo il passo verso il Bar.

.
L’agente immobiliare non è simpatico.
Il suo sorriso benevolo cade senza peso a terra non appena sentito che no, non cerco una casa, cerco una palestra.
“Qui non c’è nessuna palestra” fa riattaccandosi subito al telefono.
“Infatti qui c’era un Bar” dico, ma è già troppo intento a chiedere alla cornetta dov’è che è successo? per prestarmi ascolto.
Passa un ragazzo fuori dalla vetrina e gli sono dietro.
Scusa, da dietro.
E lo conosco, e che fine avevamo fatto, ma dimmi tu. E quanti anni saranno passati e che fai ora. Ma dai, non dirmelo. L’officina si è trasferita e tu hai affittato il locale…e che hai aperto? Ah, un Coiffeur… ti vedo un po’ frocio, difatti.
«Ah ah ah ah»
«Ah ah ah ah»
Conta che già sono in causa, il mio negozio è proprio dove è successo.
Ah, già «Ma che è successo?» chiedo.
Un lato del palazzo è sprofondato, di 4 mm.
«Quel cazzo di lato ha ceduto, è pieno di crepe. Vengo ora dal commissariato, il processo deve iniziare il prima possibile. Questi hanno scavato dove non dovevano».
Lui ci rischia l’attività, dice, ed anche chi non ha avuto danni lo fa.
È vero.
Tutti i negozi affacciano su quello che è, ormai, il cadavere vivisezionato di una strada.
Altri ci rischiano l’appartamento.
«Io rischio di non trovare una palestra, è tutto cambiato».
Si si, palestra, sono un atleta.
Pugilatore.
«Palestra palestra… si… quella sulla parallela, ricordi?» fa.. «ancora c’è mi pare…»
Ah, già. La Palestra di Kung- Fu.
«Ma è di kung- fu quella» gli faccio notare.
«Può darsi che ci facciano la boxe ora, non so».
Lo saluto, mi infilo in un vicolo e parto in direzione palestra.

.
Doveva essere più facile di così.
La serranda è chiusa.
Doveva essere molto più facile di così.
E’ colpa del tizio, quelle cazzo di indicazioni sommarie del cazzo.
Che stronzo.
Alzo lo sguardo sull’orologio della Farmacia.
L’orologio segna le 17:57.
L’insegna sottostante segna Elettrodomestici però, non più Farmacia.
Neanche faccio in tempo ad andare a pizzicarlo all’ospedale, a quello stronzo.
Perché stavolta glielo faccio sputare, il civico…
E invece è un portone dorato a sputare fuori quattro facce, delle quali due conosciute.
Tra le quali una femminile.
Si avvicinano alla serranda della palestra e l’aprono.
E la serranda si apre su un Pub.
Ma come stai, da quanto tempo. Che si dice? Pugilatore.
«Dai entra, facciamoci un paio di birre».
E la strada è in fin di vita, il quartiere in fin di vita e anche il giorno è in fin di vita e “beh, perché no?».
Giusto un paio.

.
«E il Coiffeur è un gran frocio!!» dico e cado a sedere sopra una sedia.
«Ah ah ah ah»
«Ah ah ah ah»
Stappo un’altra birra e la schiuma è una detonazione lieve, che fa appena strizzare gli occhi.

.
Le voci diventano boccate di fumo che strisciano direttamente nelle orecchie.
«Avete sentito cosa è successo?» si interrogano.
Si.
«Beh, non è che abbia capito bene, però»
Io si, io lo so.
«Interrompono i lavori dicono, ma perché non lo so»
Lo so io, ragazzi. Il Reduce lo sa.
Alzo la testa dal tavolo, apro una birra e dico:
«È crollato il palazzo».

.
«È tutto vero, 4 mm».
Stappo. «Hanno aperto lo stomaco della strada, e adesso ci digerisce a tutti».
Accendo una sigaretta e bevo.
Mi porto al bancone e m’appollaio. Gli altri allora si avvicinano come avvoltoi curiosi in discesa spiralica nei pressi di me.
E mentre bevo racconto, e mentre racconto mi portano da bere.
Dicci dicci, ma dove lo hai saputo? Tieni, bevi.
Forza venite, venite tutti bambini, ecco la vostra storiella di Natale.
Io e Babbo.

.
Più tardi uno dice:
«Ma non starete mica a sentire quelle cazzate?»
Lo dice, e parla di me.
Mi alzo da sotto il tavolo e faccio segno di averlo sentito.
Stappo.
«Perché dici cosi?»
«Sei fradicio, spari puttanate»
«Guarda, vedi di non fare lo stronzo»
Sono calmo.
Poi è tutto un vaffanculo, occhi serrati e bocche ringhiose.
Al primo schiaffone ci saltano addosso gli altri per dividerci, ed io vengo travolto da mille spintoni in direzione USCITA. Cerco di aggrapparmi ad una sedia, ma riesco solo a portarla con me, in semi- volo sul marciapiede duro.
Che si riaprano di nuovo le sbucciature delle mie ginocchia.
Proprio nessuna chance di trovare la palestra.
ELETTRODOMESTICI, 20:45.

.
ELETTRODOMESTICI, 20:46.
Mi alzo da terra.
Il marciapiede ondeggia pericolosamente e rischia più volte di mandarmi a sbattere contro il muro, o peggio, di precipitarmi nella riva fangosa della strada.
Sembra ubriaco ‘sto marciapiede.
Io ancora urlo. Sono ancora incazzato.
Continuo a scendere a passo veloce, e vicoli e vicoletti mi si affollano tra i piedi come code di gatti affettuosi.
Giro qui, passo lì.
Incontro un tale, ci scontriamo, volano due parole.
Lo colpisco con la sedia che ho in mano.
Cado dall’altra parte.
Non è un tale.
È un lampione.
«In questo quartiere non ci si capisce più un cazzo!».

.
Arrivo fin dove il quartiere finisce. Una specie di zona industriale.
Poi c’è solo il parco.
Sotto l’ultimo lampione prima del nulla, tiro su la sedia e mi accomodo, come se la notte non fosse nient’altro che un cupo salotto.
Quattro ombre risalgono il marciapiede saltellando.
Tre passano, una si ferma.
Sembra un uomo, ma è un Cubo.
«Tutto bene?» dice.
Certo.
«Me la puoi regalare la tua sedia amico? Le raccatto dove posso io, mi servono per la palestra».
Una palestra di boxe?
«Non è proprio una palestra» fa.
«È più un capanno, con noi che ci alleniamo».

di Danilo Pette

(Copertina: Bato)

 

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