Fuga dalla guerra civile… e dalla “censura”.

Report esistenziale dai confini del Nero Califfato..

Siamo sull’altra riva del fiume. Aspettiamo il cadavere trasportato dalle correnti. I flash delle macchine fotografiche sono pronti. La marmellata ha bisogno della semplicità per comprendere un mondo complesso, di cui in fin dei conti non gli importa un cazzo. Ed ecco che per magia l’Isis appare in Libia, in Nigeria ed in Somalia. La fata turchina sono i Media che sintetizzano e omettono importanti parti della storia pur di rendere il pappone mediorientale più digeribile. Il taglio che quotidianamente applicano alle notizie è un mix tra scelte d’autore e scarsezza di risorse, la cui conseguenza inevitabile è: affidarsi sempre di più ad agenzie esterne. Il reportage sta morendo. Non lo rianimate, tranquilli, tanto c’è internet… .

Le mattine a Gaziantep sono decisamente momenti tristi, momenti in cui potresti rimpiangere casa. Il cielo è velato da una sottile nebbia di smog ed il traffico presuppone una mezz’ora di follia per uscire dalla città. Il clima ed i paesaggi dell’altopiano anatolico sono malinconici. Alberi radi, rocce e strade che conciliano il sonno. Oggi la bussola punta verso Kilis, un’altra porta d’entrata per la Siria. I confini sono importanti. I confini sono zone d’ombra: all’interno storie e notizie si uniscono. Ti avvicini ed i check-point aumentano, la polizia turca non va sul leggero. Mezzi blindati e barili di cemento per evitare autobombe sono la norma. Semaforo, giri a sinistra ed ecco la strada che porta in Siria. Cinque chilometri di camion parcheggiati sulla strada. Merci che non verranno mai consegnate, soste lunghe settimane prima di capire se c’è la possibilità di attraversare la frontiera. Il serpente è infinito, normale conseguenza della guerra. Molti ordini salteranno, molte aziende sono ormai chiuse e di questi tempi attraversare il confine vuol dire farsi assaltare il Tir da bande armate che controllano porzioni di territorio. Finalmente la barriera. Taxi e macchine parcheggiate ai lati dello spiazzo. La polizia di dogana controlla il normale iter. Il traffico verso la Siria è quasi completamente chiuso, ma i disperati entrano a decine. Fagotti sulle spalle e la “casa” dentro la macchina. I siriani si stanno spostando in massa, il dramma è iniziato. Tutti i paesi limitrofi sono investiti da questa onda che sembra essere inarrestabile. Il freddo inverno nella valle della Bekka (Libano) sta mietendo vittime nei campi profughi e dalla parte turca la situazione non è più rosea. .

Qualche giorno prima ho incontrato a Gaziantep uno dei tanti ragazzi fuggiti dalla Siria per rifugiarsi in Turchia. 19 anni è un’età troppo in vista per sfuggire al controllo e all’arruolamento in uno dei tanti gruppi che combattono nel suo Paese, così i genitori ed i parenti hanno deciso di mandare Muhabbet al di là del confine. Il giovanissimo profugo mi racconta in Arabo del suo viaggio fino in Turchia: il cassone del camion, i controlli, il rischio di finire in mani Jihadiste; la vita, in alcune parti del mondo, vale molto poco. Il 19enne è un fiume e le parole scorrono: «Arrivato alla barriera di Kilis ho subito capito che non sarei entrato in modo ufficiale, così ho scelto, con un altro gruppo di siriani, di attraversare in un punto morto del confine». Era una notte d’estate del 2013, la notte in cui un colpo di fucile lo ha colpito alla coscia. I militari turchi avevano aperto il fuoco sui profughi che tentavano di attraversare illegalmente il filo spinato. Storie di ordinaria follia, storie che non passeranno la stretta maglia della censura del Governo di Ankara. Muhabbet adesso è felice, ha trovato lavoro in un ristorante, riuscendo talvolta anche a mandare qualche soldo ai parenti rimasti in Siria, il futuro ha ripreso i contorni di una strana normalità. Ma gli occhi di un ragazzo di 19 anni non potranno mai dimenticare le violenze ed i soprusi vissuti nei lunghi mesi di guerra civile. L’ansia e l’incertezza per chi è rimasto sono sentimenti troppo vividi per essere spinti in fondo.

Davide Lemmi

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 . . > Medio Oriente: un popolo di profughi..

 

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9 Comments

  • ebbene,chi è stato in quei luoghi e l’ ha vissuti puo’ vedere come stanno le cose…… l’isis è una bufala venduta dai media………… e’ chiaro!
    bel report! complimenti a Lemmi

  • Abbiamo bisogno di vedere per capire, altrimenti ci sfugge ogni realtà, una realtà che è fatta di pericolo, umiliazioni, emigrazioni forzate. Una realtà che può girare in odio o in speranza. Noi leggiamo, ci facciamo un’opinione, “decidiamo” da “quale parte stare”. Non è un gioco. Le parole di Lemmi ce lo confermano. Uno sforzo in più è il minimo che dobbiamo fare.

    • Si è vero… concordo. Il problema è anche questo. Siamo lontani da quella realtà ….. possiamo solo vedere i fake dei video di decapitazioni, o notizie faziose …. e l’opinione pubblica decide da che parte stare , ma chi sono i cattivi? Quelli che ci presentano come cattivi! Ovvio!
      Serve uno sforzo per informarsi…

      • Lo sforzo è appunto la Jihad , solo che tutti lo fanno o per prevaricare o per vendetta ……. Siamo sempre da capo a dodici!

  • deve essere difficile spiegare ciò che nemmeno tu riesci a capire.Comunque da qualche parte è scritto che tutti siamo stupidi solo che a qualcuno bisogna chiarirlo.

  • Un “raccontage”…come se ne potrebbero raccontare tanti…raccontati da gente di quella parte del mondo…che sembra non essere il nostro…un altro mondo…per noi…noi che viviamo in questo mondo…il nostro…e ancora non capiamo che il Mondo è uno solo…per tutti…!
    Il dramma del fuggire lo vediamo solo come un dramma che ci colpisce solo perché ci “scoccia” nella tranquillità meschina del mondo che consideriamo nostro…!

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