Freezing

Cosa c’è di peggio di perdere una partita? Semplice: perdere una partita che non avresti mai dovuto giocare [Racconto breve]

«L’eziologia è l’anticamera della soluzione, diceva il terapeuta con l’aria di chi avesse solcato, con questa formula, centinaia di menti.
Ed io lo ascoltavo. Con crescente disagio, ma lo ascoltavo.
Conoscere le cause, capirle… per trascenderle. Ed io le trascesi, a modo mio».

Mentre leggeva queste parole, l’Ispettore Capo, un ordinario omaccione vedovo sulla cinquantina, pensava stranamente alla cena. Nessuno potrà stabilire se la fitta che avvertì fosse dovuta a quello strano e decontestualizzato pensiero, o a quanto leggeva sul taccuino impregnato delle sue mani sudate.

«Il periodo era straziante, ma io mi applicavo con metodo alla ricerca delle cause. Sapete, molte cose vengono ereditate sotto forma di cluster. Così, da analitico nel capire l’origine dei miei mali, ero diventato altrettanto riflessivo nel prendere banali decisioni: quale marca di cereali? Partita a scacchi (che poi, vai a capire se giocare una partita di Re o una partita di Donna) o film (che poi, vai a capire se buttarsi su un’americanata o sul cinema d’Essai)? Un romanzo o un qualcosa di più finalizzato, come un saggio? Ma, cari amici, nemmeno questo mi bastava. Non mi limitavo semplicemente ad analizzare le scelte migliori. Volevo anche capire (ancora capire) perché mi si palesassero queste e non altre. Dopo estenuanti riflessioni, avvertivo una strana rigidità. La mente si faceva stanca e, in maniera molto sinistra, mi immobilizzavo. Capitava, il più delle volte, che mi svegliassi dopo un paio d’ore, intorpidito e pieno di rimpianti per aver buttato nel cesso l’ennesima giornata».

Come poteva un corpo mozzato avere a che fare con la cena dell’ispettore? Eppure, una strana sintonia, quasi palpabile, correva tra il giovane ormai cadavere ed i pensieri di chi, almeno in teoria, avrebbe dovuto avviare le indagini.

«Ero affetto da un disturbo ossessivo, per così dire, “di contrasto”. In sostanza, cercavo di scacciare con pensieri, preghiere e vari rituali delle azioni che ritenevo perverse, lontane da me. Accoltellare qualcuno di caro, molestare un animale, avere rapporti sessuali con familiari. Ma, badate bene, non farei mai nulla di tutto ciò. È proprio questo il punto. Sono come il prete che ha paura di bestemmiare. Quando siamo tanto distanti da qualcosa, finiamo per temerla. E, se la temiamo, vuol dire che in qualche modo si è infiltrata dentro di noi, come un germe. Così, il suddetto prete verrà calamitato verso la blasfemia. Allo stesso modo Io, più volte, sono stato attratto (nel senso fisico del termine) dalla mia più grande paura: la morte stessa. Ma no, non una morte qualunque. Non mi butterei mai sotto un treno, mettiamola così. Proprio per questo, complice il mio disturbo e la mia vicinanza ad una stazione, mi sono ritrovato spesso vicino ai binari, salvo poi correre via in lacrime».

«E così, come ti capitava in altri contesti, ti sei congelato nel posto sbagliato», pensò ad alta voce l’ispettore, ormai madido di sudore. «Oggi muori da schiavo. Pace all’anima tua». L’obiettività scritta dirà che l’ispettore aveva ragione. Eppure nulla… nulla di tutto ciò era più lontano verità.

«Proprio ora mi trovo qui, sui binari, mentre scrivo questa lettera sul mio inseparabile taccuino. Immagino vi sarà utile ma, se siete d’accordo, ve ne facilito la lettura: dopo averlo decifrato scriverete qua e là, vestendo i panni del clinico meticoloso, il termine “nevrotico”. Sì, c’è ancora qualcuno che parla di nevrosi, ma io preferisco che parliate di me come di uno che non sa cosa mangiare a cena. È più calzante. Anche adesso sto facendo i miei ragionamenti, una vera e propria partita a ping pong col mio cervello. E se ve lo state chiedendo sì, ho paura: paura di congelarmi qui per poi scongelarmi su un tavolo di anatomia patologica. Ecco, in lontananza si intravedono le luci di un treno in corsa. Deve essere un regionale. Riesco a sentire l’odore del disagio di chi ha smesso di giocare a ping pong, preso da preoccupazioni ben più pratiche come risparmiare qualcosa sul biglietto. Ma, in fondo, quale partita è degna di essere giocata?».

Si dice che il tempo sia galantuomo, ma così probabilmente non è stato per il nostro malato psichiatrico. Con la sua ultima considerazione aveva finalmente avuto l’epifania tanto cercata: «il gioco perverso della mente umana è capire prima di morire e scoprire che non vi è nessuna partita da giocare». Mentre questo pensiero, mai trascritto, faceva breccia nella sua mente “congelata”, ebbe il tempo per capire un’ultima cosa: sarebbe morto, questo è certo, ma lo avrebbe fatto da uomo libero.

Ci sono partite che non “vogliamo” giocare, e partite che non “possiamo” giocare. Pensiamo all’ispettore: è stata una brutta giornata, e non ha certamente tempo e forze di pensare a cosa mangiare per cena.

Anche l’ispettore, oggi, è un uomo libero.

di Lorenzo Filippo
Copertina: Luca Lauricella

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