Forse

(Rogo, prigione; fiamme, catene; carbone, recinti; vivere, “vivere”)

Darsi alle fiamme o cullarsi in una maglia di ferro che lacera. Convenzione o anarchia. Forse sanguinare, forse bruciare, forse non scegliere: vegetare in un ibrido di sofferenze dell’una e dell’altra natura. È l’“equilibrio”: il più crudele tra i predatori

Finalmente si era deciso; la solida roccia che gli aveva offerto sostegno era ormai sempre più lontana; il baratro che aveva scelto di abbracciare era finalmente amico e sul suo fondo, abbagliante, vi era un cuore di fuoco che pulsava come fosse vivo; come fosse in festa nell’attesa di accoglierlo.

“È così lontano; quasi non lo vedo più. Quello scoglio. Quel dannato e sicuro scoglio”.

“Sicuro”? Aveva forse qualche dubbio adesso? Proprio adesso che sembrava aver scelto? Le lacrime non riuscivano a raccogliersi sugli zigomi, il vento della corsa alla mortale discesa le asciugava via come a voler ricordare che lì non ci sarebbe stato più tempo né modo per rimorsi né ripensamenti.

“Lo sento; sento il suo calore, cazzo quanto brucia! Dovrò abituarmi all’odore della mia carne bruciata per vivere tra le fiamme. E Dio solo sa quanto voglia farlo”.

Subito, un lampo, argenteo, lo affiancò velocissimo; fissato per un capo su quello stesso scoglio, un robusto filo d’acciaio dapprima lo superò, dirigendosi più velocemente di lui verso quel luminoso abisso, iniziò poi a circondarlo e prima una, poi una seconda, poi innumerevoli catene spinate si intrecciarono in una rete poco al di sopra del mare di magma. Le grinfie di quell’acciaio dissiparono tutta la violenza con cui veniva trascinato giù e adesso accoglievano l’impotente e lacerato corpo a pochi centimetri dal fuoco.

“Non di nuovo. NON DI NUOVO!”

Il grido disperato che riecheggiava in quella gola sembrava non essere mosso dal dolore fisico; sembrava non essere mosso da quegli artigli che spremevano a sangue ogni vaso incontrato sul loro percorso; sembrava provenire da viscere ben più profonde dei solchi scavati dal metallo che si faceva strada fino a graffiare le ossa. Fiumi di sangue originavano dagli squarci che martoriavano la tela dei suoi tessuti e le rosse lacrime di ogni ferita cadevano inesorabili verso il fuoco così come un fiume scorre verso il suo mare; eppure non facevano in tempo a staccarsi dal loro letto che già venivano trasformate in vapore dall’eccessiva temperatura: lì non ci sarebbe stato tempo per la pietà né per la compassione.

“Forse non sono ancora pronto. Forse ancora non posso bruciare. Forse preferisco rimanere vivo. Forse, forse, FORSE! Queste catene sono fatte di forse! Aah!”

Ad ogni tentativo di liberarsi, le grigie spine si affondavano sempre più nella carne. La schiena ormai carbonizzata rendeva il morso di quei lacci ancor più feroce. Ormai arso e dissanguato si ritrovò privo di sensi a galleggiare, a vegetare sospeso a mezz’aria; come aveva sempre fatto.

Era la posizione più sadica di tutte: l’equilibrio fra un’immobilizzante, crudele ma sicura rete, sopra una viva, ribelle ma mortale fiamma.

di Simone Fossella

Copertina: Fabio Caramia

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