FLAMENCO ECSTASY

Un racconto breve: una diva... inarrivabile, per un finale palpabile

.Capitolo 1

Scendendo due rampe di scale potevi trovare appoggiata al muro la diva: Sofia Blue, in un vestito di seta, che succhia dalla cannuccia il suo long drink rosso scarlatto.
Lo beve con i denti e con la lingua.
Si guarda intorno, la diva.
Le calze a rete, uno schizzo di profumo, le gambe dure come il marmo e in mezzo ad esse la luce perpetua dell’avvenire, il prodigio divino, l’organo femmineo preposto alla riproduzione.
Campionessa giovanile di nuoto sincronizzato, aveva levigato il suo corpo nelle acque pesanti della piscina comunale, adesso, alla veneranda età di ventitre anni, Sofia Blue possedeva glutei e cosce di granitica sostanza.
Tutti quelli che frequentavano quel giro l’avevano pensata almeno una volta, quando al tardo pomeriggio si erano chiusi a chiave in bagno o in cameretta, per darsi piacere da soli.
Figlia di uno squalo dell’industria, che l’aveva lasciata per troppi anni sola in casa, Sofia Blue era cresciuta male, avvezza al vizio, concubina del lusso, amante degli incroci più pericolosi.
Sulla diva gravitavano leggende buie. Si racconta che i siciliani la infilarono in sei o sette, al tramonto, un anno e mezzo fa, sugli scogli lamati della baia.
Un tizio raccontava di averla vista nel giardino pensile della sua villa mentre si univa carnalmente al suo cane, il pastore maremmano Santiago.
Cazzate, cazzate su cazzate.
Non era importante nessun particolare: era importante e sacrosanto guardarla, lì, poggiata sul muro del Klub, a degustare anfetamine, con il pizzo delle calze in prima visione assoluta sui miei occhi esterrefatti.

 

Capitolo 2

Mi avvicino verso la diva, al mio fianco destro la paura, al sinistro la libidine.
«Sofia Blue».
«Ciao» risponde
Nel momento stesso in cui lei chiude le labbra sento un colpo da battaglia vincermi da dietro e fracassarmi un rene.
Cado come un frutto fradicio per terra. Nemmeno ho aperto gli occhi che una scarpa di cuoio duro sbatte contro i miei incisivi e li riduce in semi di girasole.
Sono botte da orbi per tutta la colonna vertebrale, l’autostrada ossea e cartilaginea viene ristrutturata dalle bastonate scintillanti, dalle mazzate, volano leggeri e farfallini grumi di catarro e saliva, si adagiano sul mio viso giovane dal quale scorre via un po’ di emoglobina.

 

Capitolo 3

Il sottoscritto si risveglia solo all’alba di parecchi giorni dopo.
Immobilizzato in un letto d’ospedale, dalla finestra penetra un sottile raggio di sole che lo acceca, provvidenzialmente.
Entra con fare missionario l’infermiera.
«Signora mi aiuti, il sole mi sta accecando».
Vengo spostato di un paio di metri più in basso.
«Signora, perché sono legato qui?».
«È stato in coma cinque giorni».
«Cosa è successo esattamente, signora?».
«È stato vittima di un’aggressione da parte di ignoti».

 

Capitolo 4

Dopo due settimane di convalescenza, nutrito a forza con radici, tuberi y frutta bollita, il sottoscritto ha recuperato le energie perdute ed è pronto per mettersi sulle tracce dei suoi aguzzini.
Un grosso ematoma dipinge con colori pastello il suo viso bruno.
Adesso il solo imperativo è trovare l’unico testimone oculare del mio pestaggio: Sofia Blue, farle qualche domanda, magari baciarle la schiena ripida.
Faccio un paio di giri notturni per i luoghi che la diva è solita bazzicare.
Nada, Sofia Blue non si trova.
La notte seguente mi posiziono al bancone del Klub ed aspetto.
Faccio un paio di drink con il Colosso, organizzatore di eventi y personaggio molto conosciuto tra noi giovani in città.
«Te la conosci Sofia Blue|?|» domando a un certo punto.
«La diva dici?».
«Esatto, fratello, la diva».
«Non si vede da un po’ in giro, da quella notte che ti hanno pestato a sangue», «Merda».
«Y comunque, stai alla larga dai guai, tira una aria torbida per ora».
Prima di salutarmi, il Colosso, schiavo degli schiaffi del liquore freddo, mi dà una dritta: «In fondo a via del Salvatore c’è un bar, una rossa lavora lì, si chiama Magnolia, è un’amica della diva…».

 

Capitolo 5

Torno a casa che la mattina è già giunta da due ore e tre quarti. Non riesco a prendere sonno, i muscoli sono tesi, il cuore pompa sangue a fiumi.
Mi rivesto e ricomincio le mie ricerche. Percorro le curve alberate di via del Salvatore.
Entro dentro il bar.
Eccola lì, dietro il bancone, la rossa che stavo cercando.
Ha la faccia stanca, le lentiggini adagiate sul naso come coriandoli a carnevale.
Do uno sguardo ai croissants: tra la crema gialla sbuca fuori una grossa blatta ballerina che mi fissa intensamente come a dirmi “Cosa c’è, ti ho spezzato il cuore, piccolo?”.
La rossa si gira e spacca in due il silenzio: «Mangi qualcosa?».
«No grazie, prenderò solo un caffè schiumato».
Consumo rapidamente la mia colazione e poi parto: «Dove è finita Sofia Blue?».
Le si ghiaccia il sangue e indugia qualche secondo di troppo, poi tira fuori gli artigli.
«Sei uno sbirro? Chi cazzo sei?».
Non è collaborativa la ragazza, c’era da aspettarselo.
«Voglio solo sapere dov’è Sofia Blue, le devo parlare».
«Dimmi, cos’è, un’indagine di mercato?» mi ringhia.
Mi sporgo sul bancone e con gesto felino le metto la mano destra intorno al collo, otturo la giugulare e sento il suo battito cardiaco divenire flebile e cucciolo.
«Sì tesoro, esta es un’indagine de mercado, cerca di essere gentile».
Si dimena e starnazza, ma il sottoscritto non molla la presa.
Lei riesce a prendere la zuccheriera e a sbattermela tre o quattro volte sulla tempia. Niente da fare, non la lascio andare questa stronzetta.
Sento un filo di sangue caldo scendere giù dalla testa e intanto continuo a stringere e a toglierle il fiato.
«Allora, ascoltami bene, devo trovare la diva, questione di vita o di morte».
Appena prima di svenire, la bambola rossa, riesce a sussurrare: «Ha una casa sul mare, vive lì adesso».
Non basta, continuo a stritolare come un dio costrittore e insisto: «Al mare dove, ragazza? Al mare dove?».
Con il celeste sussurro soffocato riesce a dire tre parole: «Stabilimento la Pineta».
Mi può bastare, la libero dalla morsa demoniaca, lei si tira indietro, scivola per terra e riprende il respiro goffamente, boccheggiando, paonazza sul volto.
Mi rimetto in marcia: è arrivato il momento di fare una gita al mare.

 

Capitolo 6

Munito di costume a fiori, costume di ricambio, asciugamano, maschera e boccaglio mi dirigo verso l’azzurro marino, dove c’è odore di lavanda e rosmarino, dove la sabbia gialla brucia come l’inferno che mi ha rapinato l’anima.
Ecco lo stabilimento La Pineta.
Prendo una sdraio, aspetterò che si muova qualcosa.
Ordino una Pina Colada e la trangugio.
Bevanda fresca y dissetante, ne ordino un’altra e poi un’altra ancora e così via, fino all’imbrunire.
Il sottoscritto sta così bene che dimentica per qualche ora della propria missione: è placido e dormiente sulla sdraio, anestetizzato da una mezza dozzina di drink, si concentra soltanto sul volo lunare dei gabbiani che a duecento all’ora bucano il pallore delle nubi, senza mai scontrarsi, parlando la loro secca favella sconosciuta, simile al linguaggio dell’ipnosi.

 

Capitolo 7

Ma puerco y malo kristo.

 

Capitolo 8

Viene giù una leggera pioggia fredda e mi sveglio bagnato dai dolci sogni tropicali.
Ma la fortuna vuole aiutarmi, tendermi le opportune mani d’oro: destato dal torpore vedo finalmente, in lontananza, la diva Sofia Blue.
E pensare che l’ho creduta inafferrabile ed invece ce l’ho lì, sottotiro, a cinquanta metri, in mutande e reggiseno.
La seguo con lo sguardo.
È scortata da due energumeni, due facce balorde dell’est, polacchi forse.
Che fossero loro i miei aguzzini? Che fossero queste le due bestie che mi hanno ridotto una poltiglia?
Stanno percorrendo la pedana di legno che porta fuori dalla spiaggia ed io continuo segugio a spiarli.
Non appena sono più lontani, a distanza di sicurezza, mi alzo in piedi e barcollo fino ad una aiuola dove posso acquattarmi.
L’aria pullula di zanzare e altri insetti succhia sangue: le punture esotiche mi infilzano le braccia, ma l’autocontrollo mi immobilizza e resto in silenzio nascosto, non ho altre soluzioni, non ci sono per nessuno, adesso più che mai.

 

Capitolo 9

È un pomeriggio di pioggia bagnata, a due passi dal mare color dell’inquietudine, sono imboscato dentro un’aiuola pulsante e osservo i movimenti della diva Sofia Blue e dei suoi accompagnatori infernali.
Passo dopo passo si avvicinano ad un villetta con giardino. Credo sia la casa della diva.
Ed infatti non sbaglio.
Sofia Blue infila la chiave e penetrano in casa.
Il sottoscritto ha un fulmine bianco dentro gli occhi, lo sguardo elettrico fisso immobile puntato sulla porta di quella villetta marina.
Comincia a diluviare, i tuoni rombano, si schiantano sul cielo funesto.
Plic, plic, plic, plic: spilli di pioggia sulla faccia piena d’acqua, sotto di me uno strato misto di melma e gelsomini.
Nell’arco di mezz’ora vedo avvicendarsi alla porta almeno tre uomini. Posteggiano la macchina sulla strada e bussano alla diva. Qualcuno gli apre ed entrano.
Rimango nascosto nel fango un’altra ora.
È un via vai continuo di maschi, uno sciame porco y malandrino.
Dunque la diva lavora in un bordello adesso.

 

Capitolo 10

È arrivato il momento di agire.
Mi smuovo dal fango che mi ha ricoperto fino alla vita.
Un lampo mi entra nella bocca e scende per l’esofago alla velocità della luce.
Il temporale suona il blues dell’inferno: scoppi incessanti, nacchere impazzite, il tamburo del diavolo scandisce il tempo, da sottoterra sale il coro delle anime perdute.
Suono il campanello.

 

Capitolo 11

La porta si spalanca, ad aprirla è una donna sui trent’anni, con la carnagione scura come i capelli che le cingono il cranio ed i pensieri.
Indossa soltanto una vestaglia di seta e delle mutande di pizzo nero, dalle quali si vede fuoriuscire la punta rotonda di una rivoltella carnivora.
Questi bastardi fanno sul serio, una mossa falsa e la negra mi incolla al muro col suo ferro che fuma.
Si accorge che fisso titubante la pistola.
Ride e dice: «Niente paura chico, mi serve solo per tenermi la fica al fresco».
Sorrido, non dico nulla, mi fa accomodare nella sala d’attesa.
Dopo un po’ la negra ritorna, spalanca il ghigno e mi fa: «Tocca a te chico, come ti piacciono?».
Il sottoscritto non ha dubbi, arrivato a questo punto non potrebbe averne: «La voglio bionda, con le gambe che siano dure come il marmo».
Lei ride, mi prende per la mano e mi dice di seguirla.
Percorro con lei fino in fondo il lungo corridoio.
Passo a fianco alle camere chiuse a chiave, ascolto il sovrapporsi dei gemiti, di mille sussurri, delle grida, della soddisfazione, della finzione lancinante.
Fuori continua a diluviare, sento il frastuono della pioggia che si getta sul mare nero e vedo i lampi illuminare il mondo.

 

Capitolo 12

Adesso ci siamo.
Giro la maniglia, apro lentamente la porta e sento venir fuori il suo schizzo di profumo.
Stesa sul letto c’è la diva, Sofia Blue.
Fuma lentamente, nuda e onnipotente, con degli occhiali da sole scuri.
Puerco y malo kristo, è la cosa più bella che abbia mai visto in vita mia.
In fondo alla stanza, speculare di fronte al letto, c’è una vetrata che dà dritto in faccia al mare.
Siamo dentro la tempesta e ad i suoi mille rovi elettrici.
Non riesco a staccarle gli occhi di dosso.
Spegne la cicca e dice: «Mi sembra di averti già visto».
Succede che forse non ho più voglia di sapere nulla, succede che forse non mi importa più sapere cosa sia successo quella notte al klub, succede che forse il sottoscritto adesso desidera soltanto unirsi a quella strana creatura che guarda il temporale, da dietro la vetrata, avvolta nelle lenti scure dei suoi occhiali.

 

Capitolo 13

«No, non ci siamo mai visti» dico io, poi continuo: «Como te llami?».
«Morgana» risponde lei e accende un’altra sigaretta bianca.

 

Capitolo 14

Tiene la cicca fra i denti, la diva, e mentre mi spoglia.
Mi bacia all’altezza del cuore.
Scivoliamo sotto il lenzuolo, occhi negli occhi, siamo la preda e il predatore, il coltello e la ferita, siamo la genesi, Adamo ed Eva che si toccano e si annusano, sotto il diluvio universale.
Quando entro dentro Sofia Blue penso di svenire: è calore naturale, una laguna, il soffio delicato di un vento sconosciuto.
Avanti così, verso l’etereo, lei finge ma a me non interessa.
Avanti così, guidando il veliero nella tempesta, verso una baia sicura.
Dritto per di qua, dove c’è il paradiso, giù in fondo, per sempre, dentro la diva Sofia Blue, menade danzante sul sottoscritto ragazzo stordito, inebetito.

 

Capitolo 15

Non appena il fuoco si è spento e l’urto si è placato, stendo la testa sul cuscino, riprendo il mio respiro.
Guardo fuori dalla vetrata.
La pioggia è dirompente, i muri rimbombano per via di tuoni prodigiosi.
La diva è stanca, in silenzio, guarda la pioggia anche lei.
E poi, veloce come una magia, la luce della stanza si spegne, un boato squarcia il cielo, il vetro si frantuma e il letto scivola al centro della stanza e comincia a rimbalzare.
Il mare si ingiallisce e sembra unirsi al divino.
Sì, non sbaglio, il mare sta venendo, tremante e urlante, verso di noi.
La diva grida impazzita «Che succede? Che cazzo succede?».
Le prendo la mano e la stringo più forte che posso: «È il maremoto, Sofia».

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Giuseppe Catanzaro

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