Così se ne va la primavera senza nemmeno essersi fatta vedere, sperando che l’estate permetta alle ragazze di scoprire un po’ di grazie e renderci tutti più felici e meno nervosi. Ed ecco che, con l’apparizione di short e magliettine scollate (per lei) e pantaloncini e canottiere che facciano risaltare muscoli e panza (per lui), iniziano a far capolino tatuaggi di varia natura e dimensione.
A scanso di equivoci io sono tatuato, e nemmeno poco. Non c’è nulla di male nella meravigliosa pratica di spingersi l’inchiostro sotto pelle. Proprio questo amore viscerale mi ha portato ad andare a fondo nella materia, a studiare e informarmi. Perché?
Perché il desiderio di tatuarsi è cosa antica e come tale andrebbe rispettato e conosciuto meglio, invece di venir digerito e risputato da percorsi culturali che svuotano di significato anche le cose più intime.
Guardiamoci in faccia, un tatuaggio è un segno, e come tale serve a comunicare qualcosa. È un mezzo estremamente potente, indelebile. Può farci apparire più attraenti, più minacciosi, o dire qualcosa di noi a chi ci sta di fronte. In certi casi può identificarci come appartenenti a un gruppo piuttosto che a un altro, o addirittura urlare al mondo la nostra colpevolezza, come nel caso dei tatuaggi carcerari.
Quando mi dicono che il tatuaggio è moda, mi arrabbio. Il tatuaggio non è moda, viene fatto diventare moda. Il problema è che tante volte si finisce nello studio di un tatuatore non per un bisogno interno, per la necessità di comunicare qualcosa, quanto per eseguire una trasgressione socialmente accettabile. Non è il tatuaggio ad avere un significato proprio, ma è il semplice fatto di iscriversi la pelle che diventa un’affermazione di esistenza. In sostanza siamo allo stravolgimento della comunicazione: non più per dire qualcosa di più su di sé, ma per mimetizzarsi nella società.
È questa la bestialità insita al proliferare di stelline, delfini e kanji sulla pelle esposta al sole in spiaggia, come merce. Non per dire qualcosa, ma per sentirsiparte di qualcosa, per cementare l’appartenenza alla società ed esorcizzare la paura di essere dimenticati.
Un bell’esempio può essere quello di “Educazione siberiana”, il libro di Nicolai Lilin, dal quale Salvatores ha tratto un film. Nella storia di Kolima viene descritto bene cosa significa avere un tatuaggio per cultura –non troverete mai un criminale russo (o un galeotto americano, o un maori, potrei andare avanti con decine di esempi) con un tatuaggio del quale non sente il peso.
Anzi, potrebbe passare dei guai seri: le fosse sono piene di agenti che per infiltrarsi nella mala si facevano tatuare. Se non conosci il linguaggio, il significato, allora la storia non regge più.
Persino in quelle culture che lo usavano come abbellimento il rispetto per la pratica era tangibile, non fosse altro che per il dolore che la pratica comportava. Prendiamo ad esempio le popolazioni della Papua Nuova Guinea: le donne erano letteralmente coperte di tatuaggi, e questo, agli occhi dei papuani, le rendeva ancora più belle.
Erano finalmente pronte a prendere marito, in un passaggio segnato con feste e celebrazioni.
Ricordo un amico col quale suonavo, anni orsono. Arrivò in sala prove col suo primo tatuaggio: un serpente che entrava e usciva dal braccio, con tanto di pelle squarciata. Davvero fatto bene. Ingenuo, pensai che, con un simbolo così forte (il serpente) e un atto così intimo (fuoriuscire dalla carne, mettere a nudo una parte profonda e nascosta), il significato non potesse che essere profondo. Lui mi rispose che se l’era fatto perché “spaccava”. Forse ero troppo perso io nelle mie elucubrazioni antropologiche, ma ci rimasi davvero male.
Ora, non fraintendetemi. Ognuno è libero di fare ciò che desidera col proprio corpo, è un diritto sacrosanto e inalienabile. Forse sono un idealista (altri mi chiamano integralista) ma io credo di essere solo innamorato del significato delle cose. Penso che i tatuaggi siano le lettere di una lingua meravigliosa scritta sui nostri corpi. Se noi per primi non conosciamo la grammatica, non potremo che balbettare messaggi sconnessi e senza significato. È la consapevolezza, che rende un gesto importante. Senza quella non possiamo che essere scimmie che imitano gli altri.
Alberto Della Rossa