«Ci sarà in una delle prossime generazioni un metodo farmacologico per far amare alle persone la loro condizione di servi e quindi produrre dittature, come dire, senza lacrime; una sorta di campo di concentramento indolore per intere società in cui le persone saranno private di fatto delle loro libertà, ma ne saranno piuttosto felici». Aldous Huxley
Esiste il mondo perfetto? Esiste la felicità universale? Agli inizi del ‘900, quando i totalitarismi cominciavano a costruirsi e a dispiegare gli strumenti che stravolgeranno l’intero secolo, si diffonde un nuovo genere letterario: la distopia. In antitesi alla sua più vecchia progenitrice, l’utopia, il genere distopico si configura come la descrizione di una realtà in cui le tendenze sociali sono portati agli estremi peggiori, fino all’apocalisse.
Benché questo genere si sviluppi nel XX secolo, già nel 1726, Jonathan Swift scrive “I Viaggi di Gulliver” per sostenere la tesi che le società ideali sono grottesche almeno quanto quelle reali: giustizia, virtù, bellezza sono irrimediabilmente al di sopra della condizione umana, ferocemente messa a nudo –e alla berlina– nella finzione delle forme di vita “altre” (in realtà tutte varianti caricaturali dell’umano) incontrate e descritte dal viaggiatore .
Fra le più celebri antiutopie, non solo scettiche nei confronti della realizzazione dei sogni, ma impaurite dall’utopia stessa, c’è “Brave New World”.
“Brave New World” è il titolo di un romanzo scritto nel 1932 da Aldous Huxley, nipote di Thomas Huxley (il “mastino di Darwin”) e fratello di Julian Huxley (autore della “Sintesi moderna del darwinismo” e primo presidente dell’Unesco). Il romanzo prende spunto da un breve saggio dal titolo “Daedalus” del biologo J.B. Sanderson Haldane, in cui si descrive lo sviluppo della società in seguito all’affermarsi della visione darwiniana del mondo.
Mi è passato per le mani “Brave New World” di Aldous Huxley e ho pensato di rileggerlo.
Il romanzo fu scritto nel 1932, ma ha in se una forza profetica e una lungimiranza da non sottovalutare.
Huxley descrive un futuro distopico (un utopia negativa) iperclassista dalla nascita, assopita e drogata dalla libertà (sessuale) e dalla felicità (artificiale), alla quale contrappone un mondo selvaggio in estinzione, un Selvaggio shakespeariano destinato alla sconfitta, portatore di un linguaggio morto e incomprensibile.
L’azione si apre nell’anno 632 di N.F., Nostro Ford, nuova era meccanica, caratterizzata dal trionfo della scienza e della tecnologia. Esse hanno costruito una società perfetta, popolata da una razza assolutamente sana ed abitante in città asettiche, una società perfettamente razionale, funzionale e felice. Ogni individuo è fabbricato in provetta, secondo processi particolari che lo rendono per natura idoneo alle funzioni sociali che lo attendono. Queste ultime sono prestabilite in base al quoziente intellettivo, che vede gli individui Alfa, al vertice della gerarchia sociale, dedicati a mansioni intellettuali e gli Epsilon, al grado più basso, preposti ai lavori meccanici più usuranti. Alfa ed Epsilon differiscono anche per il diverso grado di individualizzazione, che lascia ai primi un certo margine di iniziativa, sconosciuto ai secondi, che sono gemelli clonati in serie. Tutti sono condizionati in modo mirabile e, quindi felici, della sola felicità possibile: quella collettiva, in cui ciascuno sta esattamente dove deve stare. Del resto nel 632 N.F. le altre civiltà sono scomparse dalla faccia della Terra, e non è dunque possibile alcun confronto. La vita individuale è pavlovianamente condizionata, fin dallo stadio embrionale, a reagire con orrore alla solitudine: tutto avviene in comune e in pubblico. Naturalmente amore e famiglia non esistono più: la libertà sessuale è obbligatoria. Perfino l’attività onirica è controllata chimicamente, mediante l’ingestione di compresse speciali. Nessuna divisione politica attraversa la società; il nuovo mondo sembra aver superato le vecchie dispute, eppure qualcosa nel meccanismo perfetto si inceppa…
Dopo questa piccola descrizione del romanzo, analizziamo l’uomo del Mondo Nuovo.
Nel Mondo Nuovo di Huxley gli individui vivono in un eterno benessere materiale e mentale, cullati in una dimensione di perpetua felicità, dove qualsiasi ostacolo è stato eliminato e appianato dalla dirigenza governativa. È proprio questa la forza del potere dominante: produrre artificialmente la felicità agli individui, offrirgliela già confezionata in una pillola di soma («Mezzo grammo per un riposo di mezza giornata, un grammo per una giornata di vacanza, due grammi per un’escursione nel fantasmagorico Oriente, tre per una oscura eternità nella luna»), costruire per loro uno stato all’apice dell’efficienza economica e della ricchezza. Nello stesso tempo la dimensione interiore del singolo è dominata attraverso l’assuefazione ai valori di un capitalismo tirannico impersonato dal culto di Ford.
Assecondato nei suoi istinti primari e più bassi, come la fame, il desiderio sessuale privo di sentimento, la diffidenza verso ogni elemento non omologato all’ordine costituito, l’uomo è narcotizzato, la sua linfa vitale è risucchiata da una martellante attività pubblicitaria, da una reiterata campagna di comunicazione che gli instilla e incorpora un’irrefrenabile e irrazionale tendenza al consumismo.
Nel Mondo Nuovo il benessere e l’equilibrio della collettività, nella sfera economica e in quella intima, sono ottenuti e mantenuti sopprimendo ogni forma di pensiero indipendente, cancellando i presupposti per il sentimento critico e analitico. L’annichilimento dell’individuo è dunque raggiunto immergendolo in una dimensione sociale in cui la fatica non esiste e dove il tempo libero dei cittadini è perennemente occupato con distrazioni pianificate dal governo e veicolanti messaggi di omologazione al sistema e incitamento al consumo. La felicità nel Mondo Nuovo è identificata con lo stato di assenza di dolore, turbamento e disordine, nell’eterna salute e bellezza del corpo, nella stabilità della ricchezza economica. Ogni ingranaggio esiste teleologicamente per questo modello di felicità. Gli opposti sono stati livellati, le differenze annullate, non esiste più un principio “negativo” la cui presenza è necessaria per il germogliare del suo opposto; la dialettica dolore-piacere, fatica-soddisfazione, scoraggiamento-entusiasmo è stata mutilata a favore di un unico termine di confronto. Solo uno stato di monotona, piatta e ripetitiva falsa felicità.
È in questa parvenza di felicità universale che risiede il carattere distopico di Brave New World.
La felicità paventata da Huxley è ciò che l’uomo libero rifugge. Per essere veramente liberi è necessaria la possibilità di scelta tra diverse alternative, a seconda che poi il risultato della scelta sia buono o cattivo. La dialettica tra buono/cattivo, ordine/disordine, essere/ non-essere è ciò che rende l’uomo costruttore del proprio destino. Attraverso le sue scelte l’uomo si scopre faber sue fortune.
Cartesio con il suo “cogito ergo sum” ci avverte che è attraverso le nostre opinioni, i nostri pensieri, liberamente formulati, che esistiamo e agiamo in questo mondo. Gli uomini del Mondo Nuovo di Huxley sono alienati, non hanno la possibilità di criticare, perché in realtà non conoscono qualcosa di diverso, è stato loto tolta ogni forma di scelta, non pensano realmente perché è lo Stato che pensa per loro, sono geneticamente programmati per essere acquiescenti nei confronti del potere istituzionalizzato.
Ma l’animo dell’uomo non è perfezione e tranquillità, l’animo dell’uomo è caos, è conflitto. Ci sentiamo vivi quando dentro di noi infuria una tempesta di sentimenti, che sia amore, odio, rabbia o felicità; sentimenti che derivano dal vivere in un mondo che non è perfetto.
L’uomo non vuole la perfezione, l’uomo vuole poter scegliere liberamente, anche se sembra, che a oggi, il “mondo nuovo” sia alle porte. E non solo perché ormai il consumismo imperante la fa da padrone (tanto che anche il corpo umano e l’esistenza di un essere vivente ormai sono diventati oggetti commerciali), ma perché il razzismo che si cela dietro l’eugenetica non tarderà a farsi sentire.
Katia Valentini
non c'è mai fine al peggio…
utopia… si parte da li e si rimane li
tante cose sembravano utopiche tempo fa..
grande libro, dovrebbero leggerlo tutti
complimenti per l'articolo
sempre d'accordo con la valentini. un altro bell'articolo su un tema che sta diventando più attuale di quanto possiamo ancora immaginare
vabbè, ma perché pensate che siamo così distanti dalla realtà raccontata nel libro?
sui legami di huxley e la massoneria ce ne sarebbe da parlare…
la felicità su un piatto d'argento… io starei all'erta da questa cosa diabolica
bellissimo articolo. grande katia
il caos,il conflitto,la contrapposizione degli opposti è l'essenza della vita umana. sono d'accordo con k.valentini, anche perché solo tramite quel conflitto si può giungere all'equilibrio!
huxley era un fantasista della realtà!
leggerò questo libro. grazie uki
complimenti per il bell'articolo