Eva Rubinstein -Le Grandi fotografE del Novecento

SPECIALE: LE GRANDI PROTAGONISTE FEMMINILI DELLA FOTOGRAFIA DEL NOVECENTO

La pace e l’armonia che abbracciano i soggetti,  persone o spazi vuoti, sono permeati da un delicato silenzio visivo.

Immagini che colpiscono subito lo spettatore creando un velo di mistero, una tensione interiore, una malinconia romantica.

La luce diffusa, il disegno dai contorni morbidi, i grigi senza tensioni contrastanti sono rappresentazioni di se stessa filtrate da una lente che la distanziano dalla realtà, ma che riesce in maniera ottimale a scavare la superficie arrivando all’essenza.

Tutto questo era quello che Eva Rubinstein sapeva condensare su pochi centimetri quadrati.

Nata il 18 agosto 1933 a Buenos Aires, figlia del pianista Arthur Rubinstein e della ballerina Aniela Mlynarska, emigra con la famiglia nel 1939 a New York. Nel 1941 va in California per coltivare la sua passione: la danza. Dal 1951 al 1952 studia recitazione a Los Angeles. Fino agli anni Sessanta si dedica esclusivamente alla danza. Dopo il divorzio con William Sloane Coffin Jr, un pastore attivista per i diritti umani e movimenti di pace, inizia a studiare fotografia al “New York Institute“, lavora inizialmente per alcune riviste ma il suo tempo lo dedica principalmente a reportage, nudi, ritratti ed interni rigorosamente in bianco e nero. Insieme alla sua insegnate Lisette Model e Diane Arbus partecipa ad alcuni workshop e decide di viaggiare per ampliare la sua visione del mondo, nel 1973 fotografa la guerra nel canale di Suez e sulle alture del Golan.

Nel 1974 inizia a insegnare fotografia in diverse università europee e negli Stati Uniti.

 

Nei suoi scatti ha con il soggetto lo stesso rapporto che il padre aveva con la musica, una riproduzione carica di rispetto, semplicità ed onestà.

Nonostante la tecnica ed il controllo della macchina fotografica Eva si sente aperta ed al contempo vulnerabile. Identificarsi in qualcuno non significa per lei solo rispecchiarsi nell’altro, ma uscire da se stessa, venire incontro al soggetto ed aiutarlo ad esprimere la sua essenza. Proprio per questo, a differenza di Lisette Model e Diane Arbus, la Rubinsein utilizza la macchina fotografica non come strumento di potere che le dà il diritto di fare qualsiasi cosa per amore dell’arte, ma come mezzo necessario per immortalare un istante rispettando fino in fondo i soggetti, trattandoli non come “soggetti” fotografici, ma come “persone”, che per lei sono più importanti dell’arte stessa. Nei suoi scatti si percepisce tutto il suo sentimento, il pieno coinvolgimento ed il rispetto.

Tanto amava la fotografia quanto “odiava” la macchina fotografica. Era un mezzo che si frapponeva tra lei e la realtà, castrando il suo stato d’animo; lei stessa ricorda il viaggio in Irlanda del Nord dove si trovò in situazioni molto pericolose tra lacrimogeni e proiettili e nel momento in cui guardava attraverso l’obiettivo le sembrava di vedere lo schermo televisivo ed aveva meno paura malgrado questo limitasse troppo il suo giusto stato di tensione per uno scatto genuino.

Scatti silenziosi a mostrare il suo reverenziale rispetto nei confronti del soggetto. Genuina, pronta a vivere le emozioni così come sono, senza filtri; avesse potuto avrebbe fotografato solo con gli occhi.

 

«La semplicità è la cosa più difficile, per arrivarci occorre lottare, soffrire, rinunciare» (E. R.)

 Micol del Pozzo

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