Quando mi è stato chiesto di andare alla serata di Effimera a incontrare Matteo Madafferi, Daniele Parisi e la Banda Anonima Romana, il primo pensiero che ho avuto è stato: “No!”.
Non perché non volessi, tutto il contrario! Il mio no era dovuto a un iniziale panico da novità. Non ho mai scritto un report prima di adesso, sebbene da sempre, la scrittura in molte altre forme, sia proprio la mia casa.
Una cosa su cui sono stata subito messa a mio agio è proprio questa: sarei stata libera di utilizzare il mio stile e di esprimermi come meglio desideravo sugli avvenimenti della serata. Il mio continuo desiderio di sfida mi ha portato brevemente a decidere che la risposta doveva per forza essere “sì”.
Così in poco tempo, mi sono organizzata per andare al Fusolab, dove è stato organizzato questo Festival insieme a Poppyficio, la Fucina Alessandrina e che noi di Uki vi stiamo raccontando insieme a RadioRebel. C’è da dire però, che quel giorno io, per ricavarmi quello spazio, avevo dovuto incastrare un po’ di impegni. Mi trovavo da tutt’altra parte, piena zeppa di bagagli e cose da riportare a casa e ho dovuto accertarmi di avere tutto il tempo di arrivare lì in orario. Ed io non sono certo molto tagliata per gli orari! Il caos è mio amico e spesso mi ritrovo a dover gestire una serie di imprevisti, più o meno piacevoli, che mi portano puntualmente a ritardare. Così, alla fine, mi sono ritrovata a guidare da San Giovanni verso la zona Ardeatina, in dei tempi che, solo con un po’ di fortuna ed eventuali coincidenze magiche, mi avrebbero portata a destinazione perfettamente in orario.
Le coincidenze magiche sono avvenute davvero, poiché lungo la strada, tutti i semafori erano verdi ed ho avuto la fortuna di trovare un parcheggio gratuito giusto a pochi metri dall’ingresso del posto.
Il primo pensiero che ho avuto scendendo dalla macchina, dunque, è stato proprio questo: non mi capita spesso tanta fortuna e deve sicuramente indicare che non sarà una di quelle serate in cui tutto va storto.
In effetti, la serata è partita magnificamente. Sono stata accolta da Francisco, il responsabile di Radio Rebel, che attendeva il mio arrivo e si è premurato di mettermi subito a mio agio, consapevole che per me, quella cosa, era del tutto nuova, accertandosi che mi sentissi a casa.
E così è stato sin da subito: lo spazio dedicato a questo splendido Festival letterario e musicale, sebbene fosse nuovo per me, era perfettamente consono a quelle che sono le mie abitudini preferite. Aria aperta, clima favorevole e piacevolmente ventilato, tavoli all’aperto e panche dove seguire l’evento, incorniciati da gradevoli lucine gialle, appena sopra le nostre teste. Il perfetto luogo dove dedicarsi ai piaceri artistici e al contempo, sorseggiare una birra fresca e conversare con le persone intorno a noi.
Così, mi sono seduta timidamente al mio posto, aspettando che iniziasse l’evento e consapevole del fatto che avrei dovuto di lì a poco, incontrare l’autore e tutto il gruppo, per fare delle domande.
Io, che alle domande sono solitamente poco avvezza, che spesso mi limito a osservare e trarre da sola le conclusioni di quello che vedo. È proprio questo il bello, dovevo fare una cosa completamente nuova e le sfide, malgrado un po’ di timidezza, mi piacciono molto.
Avevo già adocchiato i ragazzi nel momento in cui avevo preso posto, in attesa. Nel timore di disturbare però, avevo deciso di aspettare al tavolo che terminassero la cena appena iniziata. Ma è proprio lì che è cominciato il bello: è stato lo stesso Matteo a venire da me, con il sorriso ed estrema gentilezza, per presentarsi e invitarmi, insieme alla mia accompagnatrice, a sedere con loro al tavolo. Non ci ho messo molto ad accettare con entusiasmo l’invito, perché avevo deciso che mi sarei sentita a mio agio e quella mi sembrava l’occasione migliore per cominciare a farlo. Ed è stato tutto molto piacevole e spontaneo: ciascuno di noi a turno ha parlato un po’ di sé e il mio imbarazzo iniziale si è gradualmente sciolto tra chiacchiere e risate che hanno reso quella serata, proprio una delle tipiche cose in cui mi sento a casa.
Si è parlato di scrittura, di musica, di conoscenze e passioni comuni e di molte altre cose che hanno reso quella che doveva essere la mia prima intervista, una bella serata tra amici. Ho deciso di lasciare le domande più specifiche a dopo la presentazione, perché non ero ancora sicura di quello che realmente volessi sapere. Avevo delle idee in mente, ma come sempre anche il bisogno di elaborarle con i miei tempi.
Così, ho passato un po’ di tempo insieme a Matteo Madafferi, autore del libro “L’incoscienza di Zeman”, insieme all’attore Daniele Parisi (tra l’altro vincitore nel 2016 del premio come miglior attore italiano esordiente al Nuovo Imaie Talent Award e miglior attore alla 14esima edizione del Montecarlo Film Festival), il quale quella sera avrebbe letto alcuni capitoli presenti nel libro stesso e in compagnia di Giuliano Chiaramonte e Matteo Senese, due dei tre componenti della Banda Anonima Romana. Ho gradualmente dimenticato quel senso di timidezza che inevitabilmente mi aveva accompagnato durante il tragitto di andata. Proprio in quel momento, è stato annunciato l’inizio della presentazione e, con l’accordo di rivederci dopo, per parlare meglio, siamo tornati ognuno al proprio posto per prendere parte all’inizio della serata.
“L’incoscienza di Zeman“, racconta di Furio, un ragazzo romano e tifoso appassionato della Roma, il quale cresce come molti bambini, con un amico immaginario. Ma la caratteristica speciale di questo amico e che non si tratta di un personaggio qualunque, bensì di Zdenek Zeman, famoso allenatore di calcio. Grazie a quella voce interiore che accompagna la quotidianità di Furio, egli è in grado di superare la giornata e di gestire momenti e decisioni più o meno importanti, incluse alcune difficoltà.
Proprio come il suo protagonista, questo libro ha indubbiamente dovuto superare i suoi ostacoli che, principalmente a causa della pandemia dovuta al Covid, lo hanno portato a uscire in ritardo rispetto ai tempi previsti. Anche solo questo dettaglio rimane perfettamente coerente con lo stesso protagonista di cui la storia ci parla. Non a caso, racconta di un episodio in cui Furio, si ritrova a fare un tremendo ritardo a un importante pranzo a casa della ragazza e della sua famiglia, a causa dell’esplosione di una delle ruote della sua macchina in un punto piuttosto isolato della strada, dove l’unico passaggio significativo di qualcuno, è proprio quello dei carabinieri che lo scambiano per un ladro di ruote.
È già molto semplice sin da subito empatizzare con lui, perché le parole, le azioni e tutto l’ambiente circostante a Furio, sono così tremendamente familiari, così vicini a chiunque di noi, che non si fa molta difficoltà a vedere perfettamente nella propria testa l’immagine di quelle scene narrate.
A quanti di noi è capitato almeno una volta di bucare la ruota e della macchina, in una zona isolata o in circostanze avverse che hanno rallentato e o addirittura mandato in fumo degli importanti progetti che avevamo fatto per quella giornata? Quanti di noi si sono ritrovati quasi a impazzire, magari alle poste o in qualche ufficio in cui siamo stati costretti ad andare e utilizzare il nostro prezioso tempo libero, magari per ritirare una multa o una cartella esattoriale, cadendo vittime dell’orrifico sistema burocratico italiano?
La frustrazione che questi sfortunati eventi causano all’umore di Furio, sono facilmente comprensibili e immaginabili da chiunque legga queste parole e che senza ombra di dubbio si troverà a pensare: “Quanto lo capisco! Quante volte mi è successa questa cosa!”
Io stessa, sono la prima a fare un ragionamento del genere, io che con imprevisti e ritardi ho a che fare ogni giorno, come ognuno di noi. Ma l’empatia non fa che aumentare grazie all’intervento di Daniele Parisi, che ha letto questi brani tratti dal libro, con un’interpretazione talmente calzante che risulta impossibile non starlo a sentire e non ridere anche un po’ di tutta la situazione.
Sì, perché in realtà quello che questa storia fa, è prendere degli spezzoni di vita quotidiana che di norma ci dovrebbero frustrare enormemente, ma allo stesso tempo renderli comici, ironici al punto da portarci a ridere un po’ di Furio, di noi stessi e di questo genere di sventure. In entrambi i capitoli, l’intervento di Zeman è fondamentale a far mantenere l’autocontrollo a Furio, che diversamente rischierebbe sul serio di perdere la testa a causa della tragicomicità e dell’assurdità delle sue sfortune. In questo libro in sostanza, Zeman è la parte irrazionale, il subconscio con il quale il protagonista è in grado di gestire al meglio i suoi pensieri e di uscire fuori dagli schemi.
E mentre Francisco chiacchiera insieme a Matteo e Daniele, è proprio questa una delle cose che emerge sul suo libro: Matteo cerca di raccontare che nel quotidiano non riesce e fallisce, a meno di utilizzare un po’ di follia. In questo siamo in perfetta sintonia, poiché le persone come me e probabilmente come Matteo, trovano nella follia la perfetta valvola di sfogo per vivere serenamente la normalità. Non è forse questa l’arte stessa? Non rappresenta proprio questo lo stesso Zeman, che nella sua vita professionale ha mostrato che uscire fuori dagli schemi e sorprendere, è la maniera vincente per ottenere i risultati? Infatti, durante la conversazione emergono altri nomi come Schillaci, che negli anni 90 ha fatto la storia del calcio. Uno di quelli che mi rimane impresso è proprio Roberto Baggio, calciatore mitico che tutti conosciamo, che una volta ho avuto il piacere di incontrare e che è stato in grado di far sognare moltissimi amanti di questo sport e appassionare persino coloro che di calcio non ne sapevano granché.
Tutte le parole dette fino a quel momento mi facevano sentire perfettamente capace di comprendere sia il protagonista, che lo stesso autore. La mia passione per le sfide può essere in un certo senso paragonata alle sfide quotidiane dello stesso Furio e quindi automaticamente, anche di Matteo. Perché per quanto il libro a detta sua non sia propriamente autobiografico, è innegabile che nella sua creazione, vada a darci delle tracce della personalità del suo autore.
Di sfide infatti, Matteo ne conosce. Oltre a essere l’autore di un libro come questo infatti, è anche l’editor della giovane casa editrice che lo ha pubblicato: Alter Erebus Press & Label – che i nostri aficionados ricorderanno in quanto editrice della nostra Antologia di Racconti brevi “Selenophilia“, una raccolta che ospita anche due esilaranti storie scritte proprio dagli stessi Matteo e Daniele.
Avviare una casa editrice è già di per sé una sfida notevole. Se si pensa poi al particolare momento storico in cui tutto questo sta avvenendo, è inevitabile comprendere che si tratti di una scelta molto coraggiosa. Oltre alla momentanea difficoltà che lo stesso Covid sta causando a tutti noi, l’ostacolo forse maggiore è quello di convincere i ragazzi e gli adulti di oggi a scegliere un libro piuttosto che accendere la TV e guardare qualcosa su una delle mille piattaforme streaming disponibili oggi.
«Le persone preferiscono Netflix», sono le parole che lo stesso Matteo pronuncia nel momento in cui gli viene chiesto di dare il suo punto di vista su quella che è oggi la realtà dell’intrattenimento.
Ci troviamo in un sistema che ci porta a stressarci molto durante le nostre giornate, specialmente in ambito lavorativo. Le persone quando rientrano a casa sentono il bisogno di rilassarsi e molto spesso per non pensare a niente e riposare, preferiscono accendere la TV, al fare lo sforzo di mettersi a leggere. Proprio per questo è importante non mollare e credere davvero che sia ancora possibile appassionare le persone alla lettura, che è uno dei beni più preziosi che la cultura ci possa regalare. Per questo la sua casa editrice cerca autori sia giovani che non, e non si preclude di accettare qualunque tipo di stile e di genere che gli si presenti. A patto che non gli si porti una raccolta di poesie che è in realtà un insieme di post scritti su Facebook e successivamente raccolti, che poi magari non hanno così tanto di poetico. Insomma, Matteo è uno che crede davvero al valore artistico che un autore può avere.
Mentre si parla di tutte queste cose insieme, continuo a ragionare su tutto quello che ho sentito e finalmente la mia curiosità inizia a farsi spazio e le domande nascono spontanee. Subito dopo la presentazione infatti, sia Matteo che Daniele vengono a sedersi un po’ con me, mentre sorseggio un succo di mirtillo, e con il mio quadernino scrivo freneticamente alcuni appunti sulle domande che mi si affollano nella testa.
Ripeto a Matteo quello che è stato il mio pensiero iniziale, ovvero, che benché Zeman rappresenti il lato folle e irrazionale di Furio, è anche l’elemento fondamentale che lo mantiene con i piedi per terra e gli permette di mantenere la calma in determinati momenti.
Aldilà del fatto che Furio non rappresenta appieno un personaggio autobiografico, quanto c’è di personale in quello che racconti? Quanto, per te, c’è di autobiografico, nel raccontare l’esistenza di un lato folle che permette in qualche modo, di sopravvivere? Possiamo considerare la scrittura, un po’ come il tuo Zeman?
Matteo ridendo mi racconta di non avere mai realmente avuto un amico immaginario, ma di aver indubbiamente avuto spesso in testa l’idea di cosa avrebbe potuto dire qualcuno in particolare, in determinate circostanze. Si è divertito a fare proprio questo: a cercare di immaginare per filo per segno cosa penserebbe Zeman nella semplice vita quotidiana, anziché occuparsi di calcio. In che maniera una figura come Zeman gestirebbe delle normali vicende, come non perdere la calma davanti a uno svogliato impiegato di un ufficio postale?
Chiaramente, aldilà di queste domande, e benché Furio non rappresenti Matteo, è chiaro che all’interno del racconto sono presenti dei reali spunti di vita personale, successivamente romanzati. La stessa cartella esattoriale ne è un esempio.
Mi conferma che il suo Zeman è proprio la scrittura. Scrivere e farlo in questi termini, è un modo di esorcizzare, sdrammatizzare, imparare dai fallimenti e andare avanti.
Il tentativo è proprio quello di ricreare una sorta di flusso di coscienza giovanile in cui i pensieri che si alternano, sono tutti quelli che un qualunque ragazzo farebbe.
In questo, entra in gioco la parte autobiografica e, proprio per questo motivo, Matteo crede che questo libro, sebbene sia adatto alla lettura di chiunque, forse sia maggiormente comprensibile da un pubblico maschile.
Gli domando perché e mi spiega che all’interno della storia, Furio rappresenta la vita come lui vorrebbe che fosse. È in sostanza quel pensiero, forse ingenuo e un po’ immaturo, che vede la vita in un certo modo, ma che forse manca di esperienza per comprendere realmente come stanno le cose e come si sta al mondo. A controbilanciare la presenza di Furio infatti, abbiamo la sua fidanzata, la quale rappresenta invece la vita per quella che è realmente. Matteo ha sempre un po’ immaginato nella figura femminile una capacità concreta di affrontare la quotidianità e che lui ha dovuto imparare e che ha potuto apprendere proprio dalle donne. Questo passaggio da onirico a reale, rappresenta per Matteo la crescita e l’equilibrio tra le due cose che inevitabilmente continuano a coesistere fino alla fine in ciascuno di noi.
Anche Daniele Parisi è presente durante la conversazione e condivide molto il pensiero di Matteo. Gli domando quanto si sia ritrovato nelle cose che fino a poco prima ha recitato durante la presentazione e mi conferma di comprendere appieno e di sentirsi molto vicino al personaggio per tante ragioni. Mi spiega come dal suo punto di vista, quello sia anche un racconto sul calcio nostalgico di un tempo, che oggi non esiste più. Il calcio infatti ha subito negli anni un cambiamento tale per cui oggi, è impensabile poter fare due chiacchiere con un calciatore in tranquillità. Una volta i calciatori erano delle persone normali, dei semplici sportivi che realizzavano grandi cose. Oggi invece sono inarrivabili quasi quanto le Pop Star, delle vere e proprie celebrità.
Qui si riaggancia Matteo, il quale è perfettamente consapevole che questo racconto del calcio degli anni 90, è un racconto che va oltre alla semplice passione per questo sport, racconta una nostalgia più profonda non solo del calcio, ma proprio di quella decade che precede il nuovo millennio in cui molte cose erano piuttosto diverse da oggi.
A quei tempi era molto più semplice scegliere un libro nel proprio tempo libero, in mancanza di passatempi come Netflix di cui durante intervista con Francisco aveva già accennato.
Sia Matteo che Daniele, sono convinti che il racconto di questa storia sia fondamentalmente incentrato sulla nostalgia degli anni 90 e su quello che rappresentavano, ovvero adolescenza e scoperta. All’epoca, per corteggiare una ragazza, non era possibile parlarle tutto il giorno su WhatsApp. Esistevano solo gli SMS, ed ognuno aveva un prezzo. Quello che le compagnie telefoniche facevano all’epoca era al massimo offrire delle tariffe che non regalavano più di tre o quattro messaggi al giorno. Il valore di un messaggio pertanto, aveva un significato totalmente diverso da quello di oggi. La scelta delle parole, la scelta del momento e persino la scelta della persona a cui inviarlo, era qualcosa di mirato e diretto. Ogni SMS aveva un limite di caratteri da poter utilizzare. Tutto era più ragionato, tutto era una sfida e tutto era un gioco di conquista.
Molte di quelle cose hanno oggi perso valore. Per fare un esempio calcistico, cambiare bandiera, cambiare squadra come fece ad un certo punto Baggio durante la sua carriera, era un fatto eccezionale, eclatante e che i tifosi potevano prendere anche molto male. A partire dagli anni 2000, tutto questo ha man mano cominciato a cambiare. Oggi, se un giocatore cambia squadra quasi nessuno ci fa caso. Non c’è più quel senso patriottico che si poteva avere prima, quel senso di fedeltà.
Mi viene automatico fare un parallelismo con quelli che sono anche i rapporti umani oggi. Sebbene io sia un po’ più giovane di Matteo e di Daniele, anche se di poco, appartengo a mia volta all’era degli anni 90 e capisco appieno quella nostalgia per tante cose che avevano un sapore che col tempo si è andato a perdere. Nel fare questo ragionamento, mi rendo conto che con loro e in quel contesto, sto benissimo e comprendo con estrema familiarità ogni parola.
Entrambi i miei interlocutori sono dei sognatori nostalgici proprio come me. Ciascuno di loro porta attraverso una differente forma artistica, quella nostalgia, quei sogni e quell’animo un po’ romantico, all’interno del mondo concreto. Per questo motivo faccio a Matteo un’altra domanda.
Sebbene tu abbia le idee molto chiare su quello che non desideri per la tua casa editrice, quanto sei disposto a scommettere e ad aprirti nei confronti di scrittori che magari hanno uno stile e un modo di concepire la scrittura che si distanzia molto dal tuo? Scommetteresti su uno di questi?
Naturalmente Matteo mi risponde di sì. La cosa importante non è tanto quale sia lo stile e neanche il genere di un libro. Per lui l’importante è che l’autore abbia un’idea forte. Un’idea così forte che tutto il resto diventa secondario. D’altra parte come lui stesso mi ha fatto notare, la casa editrice serve spesso a dare un indirizzo migliore a degli artisti con una buona idea e magari un po’ di confusione in testa. La prima persona che mi viene in mente sono proprio io, che il caos lo mangio a colazione ma che sono continuamente piena di nuove idee. La sua risposta mi rassicura.
A quel punto però, voglio togliermi un’ultima curiosità. Chiedo a entrambi quali siano i prossimi progetti in cantiere e scopro che stanno lavorando insieme a un libro. Una sorta di guida ironica (e forse un po’ becera, aggiunge Daniele) sulla vita. È ancora in fase di progettazione, quindi non è possibile saperne troppo di più, ma sembrano entrambi molto contenti ed entusiasti di questo prossimo lavoro.
Oltre a questo, Matteo sta lavorando a un suo romanzo distopico diviso in tre racconti, che parla in sostanza, del cambiamento dei tempi. Tenendo a mente tutti i discorsi fatti sugli anni 90, sul secolo precedente e su quella nostalgia di cui parlavamo fino a pochi minuti prima, mi viene inevitabile chiedergli se per lui questo cambiamento dei tempi non sia proprio un tema fondamentale. Ed è proprio così. Questo romanzo non è nostalgico e, l’importanza di questo cambiamento, non va vista solo in questi termini. Matteo ritiene necessario semplicemente doverne parlare di più, perché forse non se ne parla abbastanza. Ha perfettamente ragione.
Ho esaurito le mie domande e ringrazio Matteo di tutta la gentilezza e disponibilità. Più che averle esaurite a dire il vero, sento che la mia mente ha già cominciato a ragionare talmente forte su tutto quello che ho appena sentito, che probabilmente adesso è arrivato il momento di elaborare il tutto.
È il turno del concerto della Banda Anonima Romana, che come dicevo all’inizio di questo mio racconto, quel giorno vede solamente due, dei tre componenti che ne fanno parte. Giuliano Chiaramonte è la voce del gruppo, Matteo Senese la chitarra. Per ragioni di spazio, manca all’appello Andrea Vettor, batterista della band e mio amico da molto tempo, che però è presente alla serata come spettatore. Ho avuto occasione di ascoltare questo gruppo su Spotify, ma mai di sentirlo in versione live. La serata dal vivo, rende le loro sonorità molto più blues che rock, ovvero diverse da come le avevo conosciute. Sebbene le avessi già apprezzate anche in quel modo, è stato piacevole per me, sorprendermi a gradirli anche in quel modo. E per chi non li conoscesse, possiamo dire anche di loro che siano dei nostalgici. I loro testi, tutti in romanaccio, non si abbandonano a terminologie ed espressioni tipicamente usate in questo momento storico, ma rimangono molto all’antica, e in tutto questo, mi sembrano perfetti in questa serata un po’ malinconica, piena però di risate e di bei momenti.
Purtroppo per me, un imprevisto sopraggiunto mi ha costretta ad abbandonare la serata un po’ prima della fine del concerto. Ma riflettendoci in un secondo momento, mi ha fatto sorridere la perfetta analogia tra la mia giornata piena di imprevisti e novità, messa a confronto con il libro, con il gruppo e con tutta la chiacchierata fatta insieme ai ragazzi. E quindi sulle note di questo pensiero, mi sono allontanata da Fusolab e sono tornata a casa, lasciando che il ricordo appena creato, maturasse in una bolla per diventare oggi, l’articolo che state leggendo.
Gilda Fabiano
amo sempre di più questo portale. adoro chi ci scrive. splendido report. compimenti a Fabiano per il modo in cui parlando di se, ha toccato me e infine la curiosità di leggere questo libro..
spassosa anche la banda anonima romana
grazie per la bella lettura
<3
rispetto la follia e la coerenza intellettuale di Zeman. sarebbe una cosa esilarante averlo come grillo parlante..ah ah ah interessante libro…
grandissima la Banda Anonima Romana, troppo forti!
Bravissima Gilda Fabiano, adorabile…. bellissimo report per un festival sempre sul pezzo e interessante
grazie Gilda per questo racconto, per un report di una serata che sembra essere stata davvero interessante, come il libro! mi ricordo di Matteo Madaferi qui su Uki e soprattutto ho preso e letto d un fiato Selenofilia…. fantastico. C’e’ anche un racconto di Matteo e di Parisi.
mi piace qusta casa editrice
la Banda Anonima Romana non li conoscevo bene… pero’ mi piacciono molto , devo dire…
complimenti a tutti
Un vero viaggio filtrato dall anima di G Fabiano , profondo e familiare. Il libro non poteva essere raccontato meglio. Sono molto incuriosito anche se non seguo molto il calcio… Sempre bello leggervi e sapere di queste splendide iniziative, di questi tempi poi…
passero’ sicuramente molto molto presto
La Banda so’ una bomba! Grandiiiii!!!
Ma che meraviglia di report. Bravissima Gilda! E’ stato bello leggere di te e degli artisti…
Sempre eccezionale Uki!