– «The times they are a changin’…» (Bob Dylan, 1964)
Tutto parte dallo “Spazio Profondo”: è solo dall’eterno, dalla profondità, che è possibile riscoprire se stessi. È così che Dylan rinasce e si rigenera dalle ceneri di un incubo che non ha mai smesso di perseguitarlo
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Il 27 settembre ha visto la luce il numero 337 della saga di Dylan Dog, “Spazio Profondo”, albo che imprime una svolta epocale nell’esistenza del londinese indagatore dell’incubo.
Dylan è sempre stato un simbolo, un punto di riferimento per i più giovani ma anche per i più maturi, ed ha invitato –non sempre con le buone– a riflettere sui grandi temi della vita, addentrandosi nei meandri oscuri, sconosciuti e irrazionali della mete umana. Si può quindi considerare Dylan Dog come una di quelle certezze assolute, inviolabili, che ci consentono di addormentarci soddisfatti e con la pancia piena la notte, fiduciosi che domani l’old boy sarà sempre lo stesso, pronto a sconfiggere uno dei tanti spettri sumeri del frigorifero. E invece no.
Con la distribuzione del 337 Dylan prende ufficialmente una nuova piega, una nuova forma, si introduce in un sistema rinnovato ed attualizzato, più vicino alla nostra quotidianità satura di tecnologia. Sono in tanti, tra le schiere di vecchi fan, che hanno gridato alla soppressione di questa modernizzazione del personaggio, appigliandosi agli scontri virtuali sui social network, e condnnando, talvolta, il curatore del fumetto Roberto Recchioni, erede di Tiziano Sclavi. Sostenitori o meno di questa ondata di cambiamenti dobbiamo assolutamente vedere come andrà a finire. Intanto, “Spazio Profondo”, ha eseguito magistralmente la funzione di preludio alla nuova fase, all’evoluzione. Adesso aspettiamo il seguito.
L’universo di Dylan Dog è come un mondo parallelo: se vi si accede, è molto difficile uscirne. Io mi sento parte di questo rego dell’incubo.
Cominciamo dall’inizio. Il mio approccio con Dylan non è stato proprio dei migliori. Ci è voluto del tempo affinché sbocciasse un amore viscerale e senza fine. Avevo su per giù dodici anni quando mi capitò fra le mani, per la prima volta, questo giornaletto del tutto singolare. Non somigliava affatto ai “Cioè” che spesso circolavano in classe. No, questo fumetto aveva qualcosa di meravigliosamente diverso. E come i preromantici applicavano il concetto di “Sublime” dinanzi a oggetti o paesaggi suscitatori di paura ed emozione –l’orrendo che affascina– , così io posso descrivere il turbamento che ho provato trovandomi faccia a faccia con Dylan Dog. Angoscia, perplessità e timore. Eppure ne ero terribilmente attratta.
Da qui è iniziata la mia piccola, anonima avventura in uno spazio profondo. Perché le pagine di Dylan Dog non hanno solo rappresentato un diversivo dalla realtà, un angolo circoscritto e invalicabile in cui solo io potevo rifugiarmi, felicemente alienata dalla routine schiacciante, ma sono state fonte di ispirazione e linee guida di una sensibilità nuova. Mi hanno permesso di scavare nel mio animo e di trovarvi, ben nascosta, la mia più intima essenza. Ringraziare la Bonelli (e Tiziano Sclavi) per la creazione dell’indagatore dell’incubo non sarà mai abbastanza.
La (prima) nascita di Dylan.
Circa 28 anni fa compariva nelle edicole d’Italia un neo-nato bonelliano, ossia il nostro Dylan Dog, con il memorabile “L’alba dei Morti Viventi”. Due i personaggi principali: un giovanotto in giacca e camicia (rossa), bluejeans e Clarks, con le fattezze di un delicato e fosco Rupert Everett, e il suo fedele –quanto martellante– assistente, una specie di surrogato dell’amatissimo Groucho Marx. In una Londra retrò e un po’ gotica, l’indagatore dell’incubo, nonché ex poliziotto, analizza con avvedutezza e qualche sprazzo di scetticismo i casi più bizzarri e misteriosi che gli vengono commissionati, accompagnato spesso e volentieri dal padre ideologico di Dylan, l’ispettore Bloch. E non di rado l’old boy mette in pratica la teoria di unire l’utile al dilettevole: non mancano infatti episodi di intese amorose con le clienti più intriganti. Ma Dylan è un romantico di vecchia scuola, e subisce regolarmente, puntuale come un orologio, quel processo incontrollabile che è l’innamoramento lampo. La realtà di Dylan Dog è un nugolo di presenze oscure, diaboliche, di mostri o di alieni di altre galassie, ma anche di diseguaglianze sociali, di ingiustizie, di omicidi e di follie di massa.
Oggi, ci si aspetta una seconda nascita del personaggio che parte da un futuro lontano, il 2427, anno in cui si svolge il già citato “Spazio Profondo”.
L’albo propone, con un’eccezionale illustrazione (a colori) di Nicola Mari, sceneggiato dallo stesso Recchioni, un Dylan futuristico, anzi, ben cinque. Questa squadra di Dylan -replicanti – sono cloni che racchiudono, in modo accentuato, diverse peculiarità dell’old boy –ha il compito di recuperare il cargo da trasporto UK–Thatcher, cercando di risolvere il fitto mistero che aleggia sui vascelli. Il Dylan del futuro è dunque costretto a lanciarsi in questo incubo senza ritorno: saranno suspense, terrore (e anche un po’ di splatter!) a farla da padrone.
Non spaventatevi, però: Dylan non diventerà certo il paladino delle galassie. La sua realtà d’azione sarà sempre Londra, ma insediata da nuovi personaggi, con o contro di lui. Si tratta dell’ispettore Carpenter, che subentrerà a Bloch, della detective Rania e di uno spietato nemico che sostituirà –per chi lo ricordasse– il malvagio Xabaras: John Ghost.
Considerazioni finali. Ammetto che ho seguito poco le nuove uscite in edicola del bonelliano indagatore. Sarà che alcune storie non mi avevano entusiasmato, sarà che avevo cieca fiducia nell’operato di Sclavi –che, a quanto ne so, stava trascurando da un pezzo la sua creatura- ma il mio amico di incubi lo avevo un po’ accantonato. Non appena ho sentito che il fumetto avrebbe subìto un restyling, ho dato una sbirciatina qua e là nel web. Quando ho letto che Bloch avrebbe ottenuto l’agognata pensione mi è crollato un macigno sulla testa, il vecchio se ne va?! Non potevo crederci. Ma con pazienza e buonsenso ci ho ragionato su, e ho capito che questo, insieme agli altri cambiamenti, poteva davvero migliorare la qualità dell’ultimo, monotono Dylan.
Ora il nostro amato antieroe ha nuovamente un carattere, una solidità, una storia, tutti elementi che confluiscono in quel senso di certezza di cui parlavamo all’inizio. Insomma, state sicuri che Dylan continuerà a vegliare orribilmente sui vostri incubi: sarà solo un po’ meno arretrato del solito.
Francesca Cordaro
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tremo….oddio come tremo….
speriamo che sia solo questione di arretratezza
il problema è che Recchioni è troppo strutturato rispetto alle sceneggiature oniriche di Sclavi… ma?
a me non è dispiaciuto..
Trovare delle svolte per “prodotti” di grande successo che hanno segnato il pubblico è sempre un’impresa che trova detrattori o nuovi sostenitori…..tutto è soggettivo e la formula vincente spesso è un insieme di variabili fattori difficili da calcolare….
Quasi mai si riesce a ripetere quello che è stato…. forse anche DD sarà trasferito semplicemente alle nuove generazioni, colpite solo dalla plastica facciata, tra la nostalgia dunque di quelle vecchie……
Ai posteri l’ardua sentenza
Io sono fiducioso , mi accodo a questo bel post della Cordaro…
LOL
a me dylan dog piace,non ho letto moltissimo ma piace. ringrazio Uki e F.Cordaro per questo avvincente post perché mi è tornato voglia di leggerlo..questa nuova veste colorata mi stuzzica.
mio fratello legge orfani….credo sia lo stesso sceneggiatore…nuove generazioni crescono 😉
questa autrice e` sempre piu` in gamba allora
Insomma, se non ho capito male hanno adottato lo stesso sistema che alcuni decenni fa adottò Sidney Jordan con il suo Jeff Hawkee: spazio profondo, rinascita in un tempo futuro, completo restyling del personaggio…