.“Indiana” è il folk del nord America che incontra la canzone d’autore, dove i suoni valgono come le parole e parole come i suoni. La canzone è il centro, la parola è viva.
“Indiana” gioca come un calembour con molteplici significati; non c’entrano l’India, non c’entra lo stato americano e nemmeno gli indiani d’America.
Forse è idealmente un filo blu teso fra le cime fredde del nord e le terre bollenti del sud America.
Anche se scritto in differenti città, spesso dentro Motel di passaggio, suona di corde sporche e stridenti che scintillano dentro ritmi tribali, a tratti sciamamici, a volte danzanti come dentro a rituali di popoli figli della terra.
La sfida era di portare la canzone d’autore vicino alla canzone folk americana e la scelta nel cercare di dare uguale importanza a musica e parole è stata ostica e ha preteso più di due anni di lavoro continuo.
Un omaggio a M.Ward e i suoi Monster of Folk con la rivisitazione della canzone “Map Of the World” (ora “Ladum”) è un esempio di come si possa essere così vicini a quel suono, pur non cantando in lingua inglese, pur non respirando a quelle latitudini.
Gli immaginari interstellari raggiunti attraverso “Labirinti Immaginari” di Borges, trovano dimora in un disco che non batte i suoi accordi sopra nostalgie desuete, ma piuttosto luccica in un suo presente autonomo “come una moneta persa in una pista d’atterraggio” di qualche Messico ipotetico, di qualche fine capitolo del “Livro do Desassossego” di Fernando Pessoa, o più semplicemente tra le pieghe sottili del folk americano, di quel suono lì, di quel sudore lì.
È necessario farsi trascinare dalla corrente di un fiume in piena in primavera dopo lo scioglimento dei ghiacci, per arrivare alla foce di “Indiana”.
L’album verrà presentato dal vivo il prossimo 2 dicembre durante il tour cha avrà inizio dal Bronson di Madonna dell’Albero (RA), uno dei club più blasonati dello Stivale.