Dennis Lehane: “L’Isola della Paura”

Un romanzo sul dubbio dell’inganno, quel qualcosa che ha a che vedere con l’idea che noi sappiamo già tutto, ma non sappiamo di sapere: per un finale schok

«Esatto. Il fine è quello di offuscare. Di confondere chi ascolta affinché quest’ultimo, stremato, si convinca della loro verità. Ora immaginate di raccontare a voi stessi queste bugie».

 

 

Queste parole sembrano descrivere bene il sentimento che si prova a leggere “L’Isola della Paura“, di  Dennis Lehane.

L’autore, uno dei miei preferiti, è dotato di una grande capacità: riesce asorprendere il lettore, a trascinarlo nelle sue pagine e a rapirlo, fino all’ultima riga.

Se guardiamo la produzione letteraria di Lehane ci rendiamo conto che da buon artista non ha mai seguito la corrente del facile guadagno cercando, con coraggio, di mettersi sempre in discussione: dal capolavoro “Mystic River“(considerato uno dei migliori romanzi di genere thriller mai creati), alla frizzante saga hard boiled della indimenticabile coppia Mckenzie-Gennaro fino al mega tomo storico-avventuroso di oltre 700 pagine “The Given Day“, e appunto, L’Isola della paura, di cui qui voglio parlare.

 

Ho avvertito durante la lettura una una componente suspense tipicamente hitchcockiana.

L’isola è la protagonista assoluta della storia, una cosa che cattura nelle sue spire chi vi approda e non sa che è un viaggio senza ritorno. Sull’isola tutto è ambiguo, nessuno e niente sembra quello che è, solo gli incubi depredano il cervello umano.

I temi di fondo sottesi alla storia sono la guerra che fabbrica eroi mediante omicidi legalizzati e devasta il cervello e il fisico fino a, volte, all’annientamento, le pratiche psichiatriche da camicia di forza e pene detentive, spacciate per cure per le malattie mentali, la società americana con i suoi perversi meccanismi di supposta autodifesa che annega i suoi fantasmi nell’alcool e in un rigido moralismo patriottico.

 

Anno 1954: due agenti federali vengono inviati sull’isola di Shutter per ritrovare una pericolosa psicopatica fuggita apparentemente dal manicomio criminale. Infatti, la trama è, per gran parte del romanzo, giocata sulla ricerca della detenuta scomparsa in modo inspiegabile dalla sua cella. Una donna bellissima, Rachel Solando che aveva ucciso i suoi tre figli e che, nella sua follia, continuava a crederli vivi. Ma qualcosa non quadra, sembra che in quell’ospedale ci sia qualcosa di sospetto. Ci si mette pure un terribile uragano a complicare ulteriormente le cose… Ed è nell’oscurità, nella pioggia e nell’angoscia che si muovono quasi sempre i due agenti.

 

Difficile infatti non subire l’angoscia claustrofobica che provoca ogni parola che descrive quell’isola maledetta, popolata da pazzi e da topi, da cui sembra impossibile allontanarsi e non condividere il disagio sempre più drammatico di Teddy (uno degli agenti protagonista) che si fa malessere fisico reso evidente dagli attacchi di emicrania più forti, sempre più forti. Teddy porta i suoi fantasmi interni sull’isola: soffriamo con lui, sappiamo che l’amore per Dolores, la moglie morta, gli provoca un dolore insopportabile, quasi ingestibile, e rimane come sottofondo a ogni sua parola, a ogni gesto, a ogni contatto.

 

Durante l’indagine arriviamo a conoscere in tanti dettagli l’isola e i locali in cui si svolgono le terapie… almeno quelle che i medici accettano che siano rese pubbliche. Le altre, le sperimentazioni che usano esseri umani come cavie (è davvero così o è una mente malata a pensarlo?) resteranno sempre segrete.

Durante la lettura il lettore condivide le emozioni, e si immedesima sempre di più in Teddy, parteggia e teme per lui, sente che è in pericolo, sente crescere l’angoscia… Il protagonista ci entra nella mente, in quel suo continuo arrovellarsi; le visioni, i sogni, sono così fisici da frantumare l’interezza dell’io. Le sue sofferenze così tangibili dilaniano ogni fibra del suo corpo che sembra quasi di sentire e percepire, attraverso le pagine, tutte le sensazioni più intime.

I traumi passati di Teddy diventano un’arma che si ritorce su stesso, ci sono esperienze, quali la guerra, la morte violenta che segnano inesorabilmente l’animo sconvolgendo la psiche. In questa narrazione l’amore del protagonista per la moglie è totalizzante, terribile…. «..Lei era stato tutto l’amore che avesse mai provato» e questo amore è descritto come gioia, esaltazione prima, dopo sofferto, tormentato ..e senza tregua consuma il suo spirito.

Lehane coglie ogni dettaglio dei sentimenti che vivono nella mente di Teddy, esplora l’animo umano con grande psicologia. E come se svegliasse la memoria intorpidita dal troppo dolore e scavando in profondità facesse affiorare tutto l’indicibile non altrimenti sopportabile. La verità non sempre è il bene, l’apparenza di essa è eticamente accettabile quando la pretesa di possedere una verità assoluta è relativa all’individuo.

 

E poi la rivelazione finale, il dubbio dell’inganno (o è quella la verità?), la scelta di chiudere il romanzo con un capitolo che mette in discussione le sconvolgenti pagine precedenti. Ma che cosa sta succedendo nella mente del lettore? A chi può credere? Qual è la verità? Chiudere il romanzo senza rivelarlo completamente è la tecnica di chi vuole lasciare un’impronta profonda. Esattamente quello che Lehane sa e vuole fare.

Un finale aperto sorprende e le ultime pagine e le ultime righe sono un colpo mancino da parte dell’autore assestato con astuzia e con una buona dose di perfidia. Lambiccarsi il cervello e indurre alla riflessione sono i messaggi sublimali che Dennis Lehane lancia al lettore. Come rimanerne? Delusi? No, perché con uno stile deciso, si arriva al finale che, come nella tradizione, contiene la «rivelazione». È il momento del «segreto», ma questa volta non si tratta di una sorpresa, la rivelazione è un’entità astratta e sconosciuta, è quell’oggetto smarrito, quel passato, quel privato, quel qualcosa che ha a che vedere con l’idea, di derivazione psicoanalitica, che noi sappiamo già tutto, ma non sappiamo di sapere… Una variante interessante nel riconoscimento finale tipico del thriller, che Lehane spiega senza tradire lo spirito evocativo.

Katia Valentini

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