Non c’entra essere di un’altra epoca, aver vissuto altre suggestioni, assistere a diverse trasformazioni. Fabrizio De Andrè resterà unico proprio, e forse soprattutto, per chi non ha potuto o saputo viverlo. Chiedendosi solo dopo quanto fosse giusto apprezzarlo oppure no. Faber fa parte di quella categoria di cantautori che amavamo definire “impegnati”. Già questo la dice lunga sul panorama musicale vigente.
Il cantautore, oggi, c’è ma non si impegna. O peggio ancora, non è impegnato. Nessuno, o quasi, accosta più questo termine ad un artista: perché, forse, c’è la convinzione che con la cultura e l’arte non si mangi. L’ha detto anche un Ministro qualche anno fa. Invece l’arte s’impara, o dovrebbe impararsi, per esser messa da parte e coltivata. Fabrizio, come veniva chiamato – prima ancora di Faber o Maestro – faceva questo: coltivava ambizioni, prospettive e ideali sotto forma di note, testi e canzoni.
Poteva essere odiato e amato, ma certamente restava difficile ignorarlo. I suoi erano tempi in cui l’artista, il cantante, l’autore possedeva autorevolezza proprio perché riusciva ad incarnare un sentore sociale e civile tramutandolo in pezzo da repertorio: perle come “La canzone di Marinella”, Il bombarolo”, “La ballata dell’amore cieco” non uscivano perché dovevano stare in classifica, ma poiché rappresentavano l’esigenza di una generazione. Il credo di una comunità che stava percorrendo una direzione, anche con una certa autorevolezza, e si rispecchiava persino negli accordi buttati su un pentagramma – che avrebbero accompagnato il testo – di un cantante. Catalizzatore di un pensiero ricorrente.
Oggi, questo è molto raro: De Andrè, lasciando stare facili apprezzamenti, con le sue canzoni ha fatto la storia. Nel vero senso della parola, dentro ogni suo testo ci sono costanti richiami ad altrettante epoche vissute. Attualmente, quasi nessuno riesce più a farlo: la responsabilità, forse, è della collettività stessa che ragiona in maniera troppo miope. Un cantante deve fare il cantante, tradotto: deve intrattenere un pubblico e, quindi, non può – o meglio, non dovrebbe – avere un’opinione sociale e politica. Peggio ancora se gli dovesse venir in mente di esprimerla attraverso le canzoni. Probabilmente, oggi, De Andrè non sarebbe odiato e nemmeno amato: verrebbe deriso.
Così come vengono derisi tutti quegli artisti che in ogni campo cercano di mostrare un loro pensiero, differente dai canoni propinati, senza nessun appello o contraddittorio. È stato fatto con i disegnatori e fumettisti – vedasi le “parole al miele” riservate a Zerocalcare – con i cuochi più celebri (chiedere a Chef Rubio che, siccome vive di cucina, non può dire la sua su Salvini e i migranti), con gli attori (Benigni da quando ha espresso un’opinione sulla precedente legislatura è guardato diversamente) e con i cantanti. Notizia recente, il probabile allontanamento dal Festival di Sanremo, nel prossimo futuro, di Claudio Baglioni: i vertici della Rai hanno mal digerito, diciamo così, una sua opinione sulla situazione migratoria italiana ed europea.
“Sei un attore, recita”; “Sei un cuoco, cucina”; “Sei un cantante, canta”. Al pari di entità robotiche progettate solo per un fine, senza nessun contributo concreto. La cultura divisa in compartimenti stagni, dove non c’è spazio per alcun approfondimento. Ai tempi di Faber, i cantautori – così come i rappresentanti di una determinata filosofia di vita – venivano rispettati anche se non compresi o condivisi. Adesso un cantante – più generalmente un artista – viene condiviso pure troppo, grazie a Social e similari, ma non viene rispettato. Le sue parole non hanno eguale dignità rispetto a qualunque altro esponente della società. Questo, forse, è quel che maggiormente fa rimpiangere gli anni di De Andrè, prima ancora dei concerti, delle canzoni e del successo travolgente.
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Andrea Desideri
post molto interessante. una riflessione sicuramente da fare di questi tempi, che forse davvero non offrirebbero il dovuto ad un grande come De Andre’
Purtroppo mi trovo concorde con i dubbi di Desideri… oggi un talento come De Andre’ verrebbe deriso o magari relegato alla musica impegnata ma che oggi rimarrebbe all’ angolo, per pochi intenditori
Tutto questo è colpa dell’ attuale offerta culturale
Oggi le esigenze delle nuove generazioni sono l’apparenza social, quella è la loro cultura …. 😮
La dittatura non tollera cultura!
Almeno chi non ne capisce nulla di arte, se ne stasera zitto dico io, invece di censurare o bistrattare!
Complimenti Desideri…. bel post su cui pensare molto .. uno come De André forse non ne avremo più…
non c’è spazio per alcun approfondimento come scrive Desideri, se non per quello sensazionalistico! L’appiattimento culturale c porterà sempre più a rimpiangere questi mostri sacri