Cronache del domani che non ci sarà

di Giovanni Gaeta

Dicono che tutto va come deve andare, che il destino segua sempre se stesso. Non so se questo sia vero in senso assoluto, non mi sono mai interessato a questioni esistenziali. Col lavoro che faccio sarebbero peggio che una perdita di tempo: sarebbero un rallentamento. Porterebbero alla riflessione, all’inazione. E questo non potevo permetterlo. Per quanto ho potuto apprendere dalla mia esperienza, però, quello che si dice sul destino è una mezza verità: è vero che ha un piano, ma è falso che non si possa cambiare; il libero arbitrio ti permette di spezzare le catene del fato, ma una tale rottura comporterà sempre delle conseguenze.Cercherò di raccontare tutti gli eventi che hanno portato alla situazione in cui il mondo adesso si trova, perché è necessaria una visione di insieme per dare senso a quello che sto per fare e per capire in che razza di merda siamo finiti nel 2083, l’anno da cui provengo. Tutto è cominciato nel 2017 al Cern, quando un gruppo di teste d’uovo, durante un esperimento sui tachioni, riuscì nella duplice impresa di aprire una fessura nello spaziotempo e creare un buco nero che ingoiò l’intero laboratorio con tutti gli occupanti, prima di collassate su se stesso, lasciando dietro di sé una voragine di una trentina di metri alle porte di Ginevra. Se il buon giorno si vede dal mattino, il viaggio nel tempo non era nato sotto i migliori auspici, ma non è con il buon senso che il progresso è andato avanti negli ultimi 150 anni. Così, riprendendo da dove gli scienziati del Cern avevano lasciato prima di finire chissà dove in un’altra dimensione, gli studi sullo “Spostamento Temporale tramite accelerazione tachionica” ripresero in America, dove i peggiori disastri li hanno fatti gli uragani ed i Repubblicani. Nonostante le proteste, il Laboratorio Schrödinger, situato in mezzo al niente dello Utah, riuscì nel 2037 a ricreare le condizioni di apertura della fessura, senza finire all’altro mondo come i loro colleghi europei. Il primo essere umano a compiere lo spostamento temporale fu John Cornwill il 17 ottobre del 2042. Cornwill il Capo Ricerche dello Schrödinger, ma soprattutto era un grande fan della fiction sui viaggi nel tempo. Il suo apporto, quindi, oltre che puramente scientifico, fu anche logico-filosofico, immaginando tutti i possibili paradossi e trip mentali che saltano fuori quando si parla di viaggi del tempo. Ciò che tormentava Cornwill più di tutto non era tanto il tempo, quanto lo spazio. Prima di tutto: a cosa serviva viaggiare nel tempo se,una volta eseguito lo spostamento, si rimaneva nello stesso luogo in cui si era partiti? I dispositivi di viaggio sarebbero stati di mole notevole ancora per un bel pezzo e questo avrebbe limitato di molto le possibilità di questo strumento di indagine storica. Già, perché per la comunità scientifica lo spostamento temporale, il time shift, avrebbe avuto finalità prettamente storiografiche. In più, si profilava una questione più impellente man mano che il giorno dello shift si avvicinava: dal momento che lo spostamento sarebbe stato di 55 minuti indietro (il massimo che la macchina poteva garantire senza implodere), sarebbe stato lecito aspettarsi un secondo Cornwill “passato”, più vecchio di 55 minuti, all’interno della struttura di shift quando il Cornwill “presente” avrebbe aperto la porta. Per evitare che l’incontro tra i due Cornwill potesse generare un qualche paradosso in grado si sfaldare tutto il continuum spazio temporale (non che ci fossero prove di questa eventualità, ma allora la letteratura forniva le uniche teorie logiche sulle conseguenze dei viaggi nel tempo) i fisici dello Schrödinger si dannarono l’anima per fare in modo che allo spostamento temporale corrispondesse anche uno spostamento spaziale. Nel giro di un anno, il prototipo di Space Time Manipulator (ribattezzato Il Dottore, dal personaggio di una serie televisiva britannica di cui lo stesso Cornwill andava pazzo) fu ultimato. Cornwill era pronto a fare da cavia. Lo scienziato sarebbe stato trasportato non solo 55 minuti più indietro, ma anche in un luogo scelto in maniera random dal STM nel raggio di venti chilometri; lì il nostro pioniere sarebbe rimasto nascosto come un latitante per 56 minuti. In questo modo, Cornwill riteneva che si eludesse il pericolo di una sovrapposizione delle sue due timeline. Ovviamente, tutte le possibili zone di “arrivo” furono sgomberate dal personale: che cosa sarebbe successo se qualche tecnico si fosse imbattuto nel buon Corwill a fumarsi una sigaretta mentre giocava a nascondino con tutto il creato? Se fosse andato a dirlo a qualcuno, rivelando il successo dell’esperimento, tale rivelazione non avrebbe potuto compromettere l’esito del primo spostamento temporale? In tal caso, però, Cornwill non sarebbe stato lì a fumarsi la sua dannata sigaretta, non si sarebbe fatto beccare come un idiota creando un paradosso che (secondo la vulgata di allora) avrebbe potuto distruggere tutto il creato. Dopo tutte queste elucubrazioni, al momento del dunque, la partenza si svolse senza intoppi alle 15 del 17 ottobre del 2042. Passato il minuto di “stacco”, però, Cornwill non chiamò per segnalare la sua posizione e, di conseguenza, il successo dell’esperimento. C’era già chi immaginava il povero fisico sperduto in un limbo temporale, magari proprio in mezzo a loro, incapace di comunicare con il mondo perché il salto lo aveva desincronizzato con il ritmo della realtà. Alle 16 la voce gracchiante di Cornwill segnò l’inizio dei viaggi nel tempo: «Vi siete spaventati, eh?»

Nel 2050 la tecnologia legata al time shift si era evoluta a tal punto che fu possibile mettere dei punti fermi sulla dinamica dei viaggi del tempo, tanto da creare un nuovo campo di studi, chiamato senza troppa fantasia Crononautica. Il punto fondamentale del viaggio nel tempo, nonché la più grande delusione, consiste nell’impossibilità di andare nel futuro a causa delle imprevedibili fluttuazioni nel continuum del flusso temporale, legate alle molteplici possibili scelte che non rendono possibile fissare un Ancoraggio stabile per viaggio. Per aprire il wormhole che consente lo shift, infatti, è necessario che i due estremi, il punto di partenza (in gergo Trampolino) e quello di arrivo (Ancoraggio), siano valutati dal STM come fissi, in modo che possa costruire il ponte tra le due epoche. Da parte mia, ho sempre ritenuto che questa motivazione fosse solo una scusa per impedire che qualcuno, magari con l’intento di avvantaggiarsi grazie alla conoscenza di ciò che verrà, combinasse qualche casino che impedisse al futuro stesso di esistere, originando i soliti paradossi da fine del mondo. Se ripenso a tutte queste precauzioni e al modo in cui sono finite le cose… riderei, se invece non dovessi piangere. Oltre a non poter andare avanti nel tempo, il massimo back jump che un STM può compiere è di 972 anni. La limitazione è legata all’energia tachionica impiegata per effettuare il time shift: la massima quantità di energia tachionica che si può utilizzare per un back jump permette un viaggio fino a 850 anni nel passato. Se si superasse questo limite, il flusso tachionico collasserebbe, originando un buco nero come quello che si generò al Cern all’inizio della storia dei viaggi nel tempo. Quello che accadde in Svizzera fu dovuto proprio ad un picco incontrollato di energia tachionica. La scoperta dei vincoli del back roll fu ancora più dolorosa della consapevolezza di non poter compiere unforward slide, perché se c’era una cosa che qualsiasi uomo di scienza aveva pensato una volta che il viaggio nel tempo divenne realtà era la fine della religione. Il time shift avrebbe permesso di dare una risposta ai tanti dogmi che i vari culti impongono di accettare per fede, uno su tutti la morte e resurrezione di Cristo. Già si vedevano sul Golgota, i fedeli del Dio Atomo, a darsi di gomito sotto la croce. Per alcuni fu un bene che il limite temporale del back jump eliminasse una questione che poteva dare vita a problemi ben più pericolosi del sempre temuto crash paradox. Se Dio fosse realmente esistito, come avrebbe preso questo ammutinamento del genere umano? Sfidare il corso del tempo non era il più grande schiaffo all’opera di una divinità? Non era l’atto di ribellione più grave aggirare il corso degli eventi e avere la possibilità di cambiare letteralmente il fato, quando non addirittura distruggerlo? Se qualche amante della falsificabilità popperiana avesse riflettuto su queste cose, forse all’alba del 2083 gli wormhole non ci avrebbero portato tutti ad un passo dall’estinzione. Se non altro il governo americano in primis e successivamente quelli coinvolti nel time shift furono abbastanza accorti nel nascondere l’esistenza di una macchina del tempo. Noi americani, in effetti, siamo abituati ad insabbiare il processo scientifico e ne abbiamo dato prova fin dal 1947, quando riuscimmo a montare quel teatrino da complottisti dello schianto alieno a Roosvelt per nascondere i fallimenti dei prototipi di Shuttle. All’inizio, il maggior timore condiviso dalla maggior parte dei cronofisici consisteva nell’eventualità, quasi scontata all’alba della crononautica, che la nuova tecnologia del time shift venisse utilizzata per scopi bellici. Le solite cose da film di fantascienza vecchio stampo, alla Terminator, tanto per intenderci: c’è una guerra, io la sto perdendo, mando indietro nel tempo uno dei miei agenti ad uccidere il capo della fazione nemica cosicché non guidi i suoi a farmi il culo tra qualche anno. Con un governo a caso (quello americano sicuramente) al posto dei cyborg un po’ naif. Le buone intenzioni, poi, facevano paura come quelle cattive. Non erano pochi quelli che, una volta completato il primo shift ufficiale ad ampio raggio, si fregarono le mani eccitatissimi di avere la possibilità divina di cancellare dal corso della storia i più grandi bastardi che il genere umano avesse mai partorito. Già dopo il primo spostamento di Cornwill, qualcuno parlò di far saltare la testa ad Hitler quando ancora compiva i suoi peggior delitti contro l’umanità sulla tela di un acquerello, prima che lasciasse il pennello per la penna e scrivesse il Mein Kampf. Tutto più che condivisibile, soprattutto per chi come me ha ascendenze ebraiche, ma rimaneva il problema dell’alterazione del flusso temporale. Impedire la seconda guerra mondiale e l’eccidio di più di 55 milioni di persone era sicuramente un nobile intento, ma avrebbe potuto rivelarsi deleterio per le sorti dell’intero pianeta. Leonard Cohen, storico israeliano della Freie Universität di Berlino, aveva ipotizzato che il Secondo Conflitto, in tutta la sua morte e distruzione, aveva creato, però, i presupposti per la pace duratura nel mondo occidentale. Cioè, è vero che durante la Guerra Fredda Usa e Urss stavano per far saltare tutti in aria, ma, guardando con l’occhio di chi vive cento anni dopo, rispetto a quello che è successo in Europa nei secoli precedenti, gli scontri periferici tra i due supercolossi nucleari dello scorso secolo sembrano alterchi tra teppisti che fanno a gara a chi ha il coltello più grosso. La “pax occidens”, secondo Cohen, era dovuta al dispositivo bellico più letale che l’ultimo conflitto mondiale avesse generato, ossia la bomba atomica: una guerra combattuta per intero con armi nucleari avrebbe potuto distruggere l’intero pianeta. Nagasaki ed Hiroshima erano un ottima cartolina per chi voleva trasformare il mondo in un deserto radioattivo. Per questo motivo, lo storico israeliano si è sempre dichiarato sicuro che America e Unione Sovietica, nonostante le ripetute minacce, non avrebbero mai fatto ricorso alla bomba nucleare. Se la seconda guerra mondiale non fosse mai avvenuta, ipotizzò Cohen nella relazione che gli costò la cattedra universitaria, l’atomica non sarebbe stata sganciata per la prima volta su due cittadine di provincia giapponesi, sarebbe rimasto un progetto nel laboratorio militare di Los Alamos, finché non si sarebbe profilata una guerra. A quel punto, potenziata da anni di sviluppo rispetto a quella giapponese, questa ipotetica bomba sarebbe stata lanciata chissà dove e chissà contro chi. Se poi America e Russia fossero diventate le due superpotenze anche in questa linea temporale alternativa, c’era a quel punto la seria possibilità che si annientassero a vicenda a colpi di testate nucleari, portandosi dietro tutto il pianeta, proprio perché il nucleare sarebbe stato utilizzato in combattimento per la prima volta e non c’era ancora la piena consapevolezza degli effetti (non solo esplosivi) di quest’arma. Oppure, sempre ipotizzando che Usa e Urss diventassero le nazioni più potenti, con l’assenza di un dispositivo bellico così potente, non ci sarebbe stato alcun deterrente nucleare a mettere in stallo i due stati, che avrebbero potuto dare inizio ad una Seconda Guerra Mondiale negli anni Sessanta, potenzialmente ben più mortifera della prima. La visione salvifica di Cohen di una delle armi più letali che sia mai stata creata, esposta tra l’altro davanti ad un nutrito gruppo di uditori nipponici, rese il fisico di Tel Aviv un paria della comunità scientifica, ma spinse saggiamente i benpensanti dell’eugenetica storica a non cancellare ciò che la mano del fato aveva scritto, per quanto brutto fosse il libro.

Il primo time shift ad ampio raggio avvenne due anni dopo il “viaggio” di Cornwill. La meta, scelta con un certo patriottismo dallo Schrödinger, la cui metà degli scienziati aveva il passaporto a stelle e strisce, fu il 12 ottobre 1492, ovvero il giorno dello sbarco di Cristoforo Colombo nell’isola di San Salvador. Dal punto di vista tecnico, lo shift fu un pieno successo: i 7 crononauti (quattro scienziati e tre militari di scorta) riuscirono ad osservare col binocolo, da un promontorio sulla terraferma, il momento in cui il navigatore genovese veniva accolto dai nativi. I crononauti, rigorosamente made in Usa, erano talmente preoccupati del luogo di arrivo dello shift che trascurarono le ovvie precauzioni quando si va in terra e tempo stranieri: le vaccinazioni. Tornarono al settimo cielo per l’entusiasmo e con un piede nella fossa per le punture di insetti ed un morso di serpente. Si salvarono, anche se l’orgoglio di aver assistito al più famoso errore di navigazione della storia è stato ridimensionato dal fatto di essere quasi morti per un’idiozia. Lo scopo del time shift, l’ho già detto, consisteva nel fornire una lezione di storia dal vivo e bisogna dire che ci riuscì bene. Via via che i crononauti ci presero la mano e tirarono fuori il coraggio di non rimanere a guardare gli eventi a chilometri di distanza, camminare per le strade della Londra di Charles Dickens o la Parigi di Molière divenne un must irrinunciabile. Peccato per l’irraggiungibile Roma di Seneca, ma non si può avere tutto. In uno dei miei primi shift andai a vedere la prima del Don Giovanni, a Praga nel 1787. Avevo 28 anni ed ero una specie di enfant prodige della Pro Tempore, il braccio armato nei viaggi del tempo al quale era delegata la sicurezza degli scienziati, col tempo sempre più simili a bambini curiosi e meno attenti a non dare nell’occhio. Facevo da scorta al professor Kolnhe, un luminare degli studi sulle opere liriche del secolo scorso che aveva ottenuto non si sa bene come la possibilità di condurre uno studio su Mozart. Io ero il fortunello incaricato di impedire che un perfetto inesperto combinasse disastri. Non riuscivo davvero a capire perché sprecare risorse energetiche, con tutti i rischi che il time shift comunque comportava, per sentire qualcuno cantare, per quanto splendida fosse la musica. Mi dovetti ricredere: non ero mai stato un fan della musica pre 2020, ma devo dire che la genialità di quelle note riuscì a far breccia anche nel mio animo non proprio incline a cogliere il bello dell’arte (per usare un eufemismo). Tuttavia, vedere Don Giovanni trascinato all’inferno mi suscitò una gran malinconia: un genio come Mozart sarebbe morto pochi anni dopo, appena trentacinquenne. Mi metteva tristezza pensare che quel giovane genio sarebbe stato stroncato da una malattia che potevo benissimo curare persino io con un’aspirina plus. All’epoca non ero molto convinto della teoria-neutralità su cui si basava la deontologia del bravo crononauta: se non si poteva salvare gente come Mozart, perché rischiare di aprire una voragine dimensionale ogni volta che si eseguiva uno spostamento temporale? Solo per poter dire “io c’ero” tenendo in mano un libro di storia? La sempre minore prudenza degli esploratori del tempo causò nel 2057 il guaio della battaglia di Saratoga e l’inizio della fine. Una decina di cronofisici, insieme ad altrettanti militari (allora c’erano ancora i marines a fare da scorta), erano stati trasportati nelle vicinanze del campo di battaglia, in modo da assistere all’evolversi dello scontro. Ancora non è chiaro come siano andate le cose, perché quando si combinano le cazzate non si riesce mai spiegare bene nulla. Fatto sta che i marines che dovevano proteggere gli scienziati fecero fuori due dei nostri. E per nostri intendo sette soldati dell’esercito americano del 1777. Che dire, una bella frittata, che nessuno ha mai spiegato come sono state rotte quelle uova. Sembra che il manipolo delle ancora per poco ex colonie inglesi abbia sorpreso i nostri veterani e ben equipaggiati soldati e li avessero scambiati per inglesi, costringendoli ad aprire il fuoco, prima che venissero impallinati da gente morta svariati secoli or sono. Siccome la spiegazione fornita è generalmente meno grave di quello che è realmente accaduto, ancora oggi mi chiedo che diavolo devono aver combinato quelle teste rasate. Ai capoccia dello Schrödinger, però, non fregava nulla della morte di quei poveri yankee che non parteciparono mai alla battaglia; loro temevano il disastro che ritenevano ormai sicuro, ma che invece non accadde. Temevano il crash paradox. Quando il mondo non finì l’Alto Consiglio dello Schrödinger (ossia i 15 uomini ai quali il viaggio nel tempo doveva piegarsi) rimase abbastanza sorpreso. No, in realtà sorpreso non è il termine giusto. Esterrefatto rende più l’idea. In primo luogo perché il mondo non era finito: sia il funzionamento del flusso temporale teorizzato dagli scienziati che le regole imposte da questi ai crononauti, si basavano su un assunto fondamentale: lascia il posto in cui vai come l’hai trovato. La preoccupazione, come ho già detto, consisteva nella possibile manomissione degli eventi accaduti e che anche la più piccola alterazione del flusso temporale potesse scatenare un effetto farfalla che si sarebbe propagato come un’onda in tutto il continuum, creando alterazioni su alterazioni nelle varie epoche, fino all’implosione totale della trama dell’esistenza. Un timore che aveva distolto i governi coinvolti nel progetto Time Shift dal considerare quest’ultimo un’arma efficace. Nemmeno l’atomica e la bomba H erano state tanto temute. Il fatto, però, che un assassinio, la peggiore della forma di alterazione, non aveva provocato alcuna catastrofica conseguenza spingeva a riconsiderare tutta la faccenda. Forse non è cosi facile mandare a puttane l’universo. Magari c’è davvero una divinità che si perita di riparare le più gravi cazzate combinate dagli uomini. Allora passò la versione che in effetti sembrava la più probabile: quei poveracci che erano stati trucidati come cani non erano altro che delle virgole nell’immenso libro della Storia, tolte le quali la lettura può comunque procedere senza particolari intoppi. Molti cronoteorici dello Schrödinger sostennero la teoria della Persistenza Storica, ossia che il presente di partenza sia la conseguenza di qualsiasi azione compiuta prima di esso nel passato, tra cui anche quelle dei crononauti. In altre parole, sarebbe impossibile modificare il corso degli eventi, perché la situazione è il risultato di atti già compiuti, comprese le presunte alterazioni, le quali in realtà sarebbero anch’esse azioni già accadute e che intervengono nel modellamento del futuro, ovvero il presente di partenza del crononauta. Altri cronoteorici, invece, attribuirono il mancato crash paradox alla Censura Cosmica teorizzata dal fisico Stephen Hawking, secondo il quale le leggi che governano l’universo impedirebbero l’alterazione della timeline “originale”. A questa teoria, in verità, non fu mai dato molto credito, perché implicava una sorta di mano divina pronta a correggere gli errori causati dalla superbia di coloro che osavano trattare il tempo come se fosse un orologio a cui impostare l’ora. E il concetto di divinità, nella natura del viaggio nel tempo, non trova posto. Ad ogni modo, tirato un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo e destinati ad altri incarichi i marines di Saratoga, allo Schrödinger divenne chiara l’esigenza di creare un corpo militare che avesse un po’ di sale in zucca per queste delicate operazioni. Nel 2060, quindi, venne istituita la Pro Tempore, l’ente internazionale responsabile della protezione degli scienziati durante il viaggio. Per far parte di questa nuova agenzia paramilitare d’elite, non bisognava essere soltanto degli agenti eccezionali, ma possedere anche un Q.I. di almeno 150. Di questo valoroso gruppo di body guard temporali il sottoscritto era uno dei membri di spicco. Già capitano della Delta Force alla tenera età di 26 anni, era certo che il traguardo della mia carriera sarebbe stato il Comando Generale della Pro Tempore, che in breve tempo aveva costretto l’Alto Consiglio Scientifico dello Schrödinger a condividere la leadership dei time shift. Durante il mio reclutamento, avvenuto nel ’72, mi sembrò di essere finito in uno di quei film di fantascienza arcaica del secolo scorso, quello che riesumava il vecchio mito dei Men In Black. Sebbene i milites (gli agenti della Pro Tempore) non indossino un’uniforme regolare, appena i due esaminatori mi dissero che mi sarebbe stato assegnato un compito di importanza vitale, capì subito che doveva trattarsi di una questione dannatamente seria. Più seria del blitz di Tel Aviv che ha portato alla liberazione di 35 ostaggi Onu, operazione di cui io ero al comando. Evito di rivelare la nazionalità dei terroristi (ne sareste davvero sorpresi!), perché l’epoca di destinazione del mio ultimo time shift vive la stagione più sanguinosa della lotta al terrorismo. Ma stavamo parlando della Pro Tempore. È un dato di fatto che i milites fecero davvero un gran lavoro, riuscendo sempre a riportare indietro la pellaccia dei sapientes, cioè gli storici ed i fisici. Tuttavia, la follia umana è come un temporale: puoi portarti dietro tutti gli ombrelli che vuoi, ma è altamente improbabile restare completamente asciutto. Allo stesso modo, col senno di poi, non era così impossibile prevedere che il continuo saltare da un’epoca all’altra non facesse saltare la sanità mentale a qualcuno. Il calcio fondamentale alle colonne dell’esistenza, ma anche colui che ci fece scoprire che  l’esistenza aveva delle colonne che la sorreggevano, fu il sergente Donald Farr. Sempre con il senno di poi, molti sapientoni dell’ultim’ora giudicarono avventato il reclutamento di Farr, un ex Berretto Verde che effettivamente ne aveva passate troppe nella sua vita. Gli esaminatori decisero a tempo che ad una maggiore esperienza corrispondeva maggior sangue freddo, e poi va ammesso che Farr era davvero un agente in gamba. Almeno fino alla morte di leucemia del figlio e al conseguente naufragio del suo matrimonio. A tutti era sembrato strano che Farr si fosse ripreso da questo uno-due della vita in meno di due mesi e avesse fatto richiesta di rientro nelle missioni. «Il lavoro mi permette di non pensarci e macerare nel dolore» aveva detto agli psicologi della Pro Tempore, che diedero l’approvazione al rientro, forse per il segreto timore di avere sulla coscienza il suicidio di un miles che fino alla disgrazia era stato una risorsa eccellente. Farr, invece, aveva già da tempo maturato l’idea del suicidio, ma non voleva farlo come un qualsiasi disperato che si fa saltare le cervella con un phaser o si imbottisce di pillole fino a crepare, a volte annegando nel proprio vomito. Da bravo crononauta, voleva una morte spettacolare. Anzi, più che una semplice morte, bramava una cancellazione che annullasse la sofferenza, sia in vita che in un eventuale aldilà. Così, durante una missione nella Francia napoleonica, Farr, che era anche un esperto di tecnologia elettronica ed aveva da sempre mostrato interesse per i dispositivi di time shift («Se capisci come funziona, lo fai funzionare meglio» sosteneva) manomise l’Ancora e si sganciò dal bunge prima di ritornare al Trampolino. Mi rendo conto adesso di non aver parlato delle procedure di recupero del time shift.

Lo shift funziona un po’ come uno yo-yo: si potrebbe immaginare lo spostamento temporale come un tuffo verso il basso, con un elastico di particelle tachioniche agganciato al bracciale di recupero, detto Cardine, che permette non solo di fissare il punto di arrivo del backroll, ma anche la procedura di estrazione, il bungee, garantendo l’individuazione e il ritorno al proprio tempo del crononauta. I viaggiatori non possono rimanere nel passato per più di 80 ore a causa della discronia temporale che dissolve progressivamente il legame atomico dei corpi “estranei” all’epoca di arrivo. L’Ancora ha il compito di riprendere automaticamente il crononauta una volta raggiunto il limite delle 80 ore e riportarlo indietro nell’esatto punto del continuum da cui era partito. Tra il punto A del presente e il punto B del passato non ci sono fermate intermedie, né la possibilità di shiftare da un punto di Ancoraggio ad un altro punto del continuum che non sia il Trampolino. Quindi più che compiere un viaggio, milites e sapientes vanno prima giù e poi su proprio come uno yo-yo, anche in virtù del limite massimo del backjump.

Torniamo all’impresa del sergente Farr. Durante la procedura di estrazione, ossia il recupero dei crononauti verso il presente, il sergente è riuscito nella… fino a quel momento ritenuta impossibile, impresa di spezzare l’elastico di particelle tachioniche e “uscire” dall’estrazione, in un imprecisato punto del continuum. A questo punto la storia si fa confusa, perché è stata ricostruita in seguito in base alle testimonianze degli agenti che erano con Farr nella missione “Francia 1815” e quella dello stesso Farr quando si ripresentò da sconosciuto alla Pro Tempore. Dico da sconosciuto perché il suo folle piano era riuscito: si era suicidato! Quel pazzo aveva interrotto la propria estrazione verso la fine del processo, sperando di sbucare in un anno abbastanza vicino al presente di partenza, in modo da incontrare una versione di se stesso e ucciderla, e sparire dal set dell’esistenza. A coloro che gli chiesero perché fare tutto questo casino solo per ammazzarsi, Farr rispose che non aveva avuto il coraggio di spararsi, impiccarsi o buttarsi giù da un palazzo. Era stato un soldato scelto per 15 anni prima di venire reclutato dalla Pro Tempore e l’essere soldato gli aveva insegnato a sopravvivere in ogni circostanza. Diceva che il suo corpo si rifiutava istintivamente di premere il grilletto o compiere l’ultimo passo nel vuoto. Uccidersi col gas o con il veleno erano ipotesi scartate a priori. Nella sua lucida follia, dunque, aveva escogitato un piano che aveva una possibilità di successo su un milione, perché sganciare l’elastico durante lo shift di ritorno significava perdersi nel continuum, probabilmente addirittura disgregarsi in atomi. Ma non gli importava perché in un modo o nell’altro voleva morire. Ammise, però, che ingaggiare una lotta mortale con una versione più giovane di se stesso, ucciderla e causare un crash paradox sarebbe stato un modo sublime per andarsene. Alla fine gli andava bene anche eliminare un parente alla lontana e godersi (si fa per dire) il crollo delle pareti del creato a causa delle fratture prodotte dal cosiddetto “Paradosso del Nonno”. A chi gli chiese perché volesse distruggere tutto solo col suo suicidio rispose che non gli andava a genio andarsene da solo. Di tutto questo Farr ci fece edotti solo dopo aver presentato numerose prove (tra cui lo stesso Cardine) della sua effettiva conoscenza dei più segreti meccanismi della Pro Tempore. D’altronde lui non era mai esistito e il fatto stesso che si trovasse nella sala rapporti a discettare sui suoi propositi di estinzione totale era un’aberrazione. Tuttavia gli stessi compagni della missione francese confermarono la versione dell’uomo venuto dal nulla (dopo essersi ucciso). Venuti a conoscenza della cosa, ai cronofisici dello Schrödinger a momenti veniva un’accidente. La permanenza di Farr nel continuum dopo aver ucciso l’altro se stesso più giovane mandava alla malora il presupposto fondamentale del time shift: «Mai alterare». Invece, c’era un uomo che si era addirittura ammazzato con una coltellata alla gola ed era ancora vivo per raccontarlo. In più, affronto degli affronti, il mondo non aveva cessato di esistere, facendo sembrare tutti i soloni che da decenni paventavano il crash paradox degli emeriti imbecilli. Bisogna dire che almeno la conseguenza più ovvia del gesto di Farr non deluse le aspettative: l’esistenza di Farr era stata davvero cancellata dal momento dell’assassinio per sua mano in poi, anche se il Sergente Impossibile stava lì a mangiare hamburger e patatine tra un interrogatorio e l’altro. Gli avvocati della Pro Tempore e gli psicologi dello Schrödinger notarono tutti la stessa cosa, che dalle parole dell’ex miles traspariva un solo sentimento: la delusione. Non essere riuscito ad uccidersi, né ad aver creato un black hole temporale capace di risucchiare tutto e tutti (i fisici lo immaginavano così il crash paradox), era l’ultimo scherno di quella vita che gli aveva tolto tutto. Nemmeno uccidersi era servito per morire. Farr, comunque, non dovette aspettare molto per salutare la sua valle di lacrime personale: dopo essere stato rinchiuso in una prigione di massima sicurezza creata quasi apposta per lui (d’altronde era un elemento di una timeline alternativa e per di più aveva messo in pericolo il continuum), morì quasi un anno dopo il suo omicidio. Fu una morte strana, appropriata per un uomo impossibile: infarto ed ictus simultanei, come se cuore e cervello avessero ceduto allo stesso momento. Sarebbero state le presunte conseguenze su un uomo di un time shift superiore alle 80 ore. Nessun crononauta si era spinto oltre le 72 ore di permanenza nel passato, così i medici dello Schrödinger furono abbastanza dubbiosi su questa ipotesi, ma visto di chi si stava parlando, poteva essere una conseguenza di ciò che Farr aveva fatto a se stesso. Avevano ragione a metà: Farr aveva ucciso se stesso (o almeno un se stesso) e questo fu la causa della sua morte; ma ciò che Farr aveva fatto, non lo aveva fatto solo a se stesso, ma a tutti. Comunque, la vicenda permise allo Schrödinger di scoprire che chi viaggiava nel tempo non subiva gli effetti dei cambiamenti che lui o i suoi compagni di shift avevano provocato. Questo fenomeno venne chiamato Cupola di Farr.

La storia del Sergente Impossibile accelerò l’attivazione del Peeping Tom, che venne ultimato qualche mese dopo la seconda morte di Farr, nel 2075. Il Peeping Tom, ovvero il Time Fluctuation Screener, permetteva di analizzare attraverso il continuum un particolare tipo di radiazioni, che secondo i cronofisici dello Schrödinger si generavano ogni volta che la timeline veniva alterata. Fu allora che ci rendemmo conto della catastrofe che avevamo provocato nel tempo. Anzi, nel Tempo. I dati del Tom mostravano come ogni shift avesse comportato elevati valori di disgregazione nella trama del continuum, anche nei casi in cui si riteneva di aver agito in modo impalpabile sull’ambiente. Già il fatto di esserci, però, era una alterazione tale da comportare una disgregazione, pure se i cronanuti fossero rimasti a far niente. Figuriamoci gente come me, che se ne era andata a sentire Mozart. Per non parlare dell’Impossibile Farr: lui sì che aveva causato un bel danno allo spaziotempo. La cosa peggiore consisteva nel carattere progressivo di queste fratture. Ad ogni nuovo esame del TFS venivano rilevate nuove incrinature, sia verso il passato che verso il futuro, verso di noi. Presto si aprirono le fratture: quando le incrinature furono eccessive affinché la timeline si mantenesse stabile, il tessuto del continuum prese a sfaldarsi, creando dei veri e propri buchi tra le epoche. Gente che spariva dalla Roma del 1400 e riappariva nella Parigi di fine 1700, in piena Rivoluzione Francese. Ogni frattura causava nuove incrinature, che a loro volta davano luogo ad altre fratture. Chi finiva in una di queste fratture poteva comparire ovunque e in qualunque momento dall’anno 1070 al presente, aumentando con la loro esistenza scoordinata e scardinata l’entropia del continuum. Forse lo Schrödinger sarebbe arrivato anche a prevedere la dinamica della formazione di incrinature e fratture. Ma non ci fu il tempo, perché gli effetti dell’entropia temporale giunsero presto anche nella nostra epoca. I cronofisici capirono che il continuum stava per diventare discontinuo quando fu chiaro che permaneva la memoria dei fatti accaduti nelle timeline precedenti, ma annullati in quelle successive, create dalla gente delle fratture. Nel senso che la gente si ricordava della Tour Eiffel anche se Gustave Eiffel era stato ucciso molto tempo prima della sua realizzazione da un pazzo in abiti cinquecenteschi. L’Alto Consiglio dello Schrödinger capì abbastanza alla svelta l’ineluttabile destino degli esseri umani, e forse dell’intero creato. Se nemmeno la Censura Cosmica riusciva ad arginare le fratture, era chiaro che dei semplici scienziati umani avevano poche speranze. Tre anni fa, nel 2080, la dissoluzione del continuum a causa dell’entropia si manifestò anche nelle persone. Il costante reality shift causato dai crononauti involontari finiti nelle fratture, che tra l’altro non avevano vita lunga al di là di queste (il limite di 80 ore di resistenza fisica, ricordate?) creava altrettante sovrapposizioni mnemoniche nel cervello degli esseri umani e in tutte le altre forme di vita in genere. Il cervello stesso iniziò letteralmente a sfaldarsi. Nel giro di sedici mesi quasi tutta la popolazione mondiale mostrò evidenti segni di Parkinson, Alzheimer ed altre patologie legate al disfacimento delle cellule cerebrali. La malattia che stava portando lentamente alla morte di ogni forma di vita intelligente venne definita Sovraccarico Neurale Mnemonico. Le persone che risultarono più resistenti, ma non immuni, a questa deriva furono proprio coloro che l’avevano causata, i crononauti. E adesso arriviamo a me e a quello che dovrò fare. Quel che è rimasto dell’Alto Consiglio mi ha affidato l’ultima missione di questa timeline. La missione che salverà il mondo, ma al contempo lo cancellerà. Nel senso che eliminerà questa versione del mondo, resettando il tutto al 17 ottobre del 2042, il giorno del primo shift. Il mio compito è cancellare quel giorno ed impedire il primo spostamento temporale. E distruggere lo Schrödinger. Lo farò esplodere. L’Alto Consiglio mi ha fornito tutti gli elementi per entrare nella struttura senza problemi, sostituendomi ad uno dei tecnici del pannello di controllo. Per il resto dovrò metterci io la faccia, letteralmente. Mi sono sottoposto ad un’operazione di chirurgia plastica al volto, in modo da imitare Albert Rosenberg, il tecnico di cui prenderò il posto dopo averlo ucciso. Non sarà difficile: a quanto risulta, questo Rosenberg è un altro di quegli intelligentoni che ha dedicato tutta la vita alla scienza: niente famiglia, pochissimi amici. Un uomo solo, nessuno si accorgerà della sostituzione. Mi è stato alterato anche il Dna, in modo da renderlo pressoché uguale al suo e superare i controlli più accurati. Questa procedura equivale ad una condanna a morte preceduta da una lenta agonia da rigetto genetico. Non che mi importi, visto che il mio sarà un attacco suicida (di quelli che un tempo sventavo) ed anche in caso di fallimento, se rimanessi in vita non durerei più di 80 ore. La distruzione dello Schrödinger creerà un buco nero più esteso di quello del Cern di Ginevra che trascinerà con sé metà dello Utah. È terribile, ma sarebbe un costo più che accettabile per la salvezza di tutto ciò che era e che sarà. Sempre che un tale catastrofe riesca a distogliere dalla ricerca sui viaggi del tempo. In caso di successo dovrei riuscire a creare effettivamente il time reset sperato, riuscendo a salvare il mondo. Esiste, però, un’altra spaventosa eventualità: il paradosso generato dalla distruzione nel passato dello Space Time Manipulator ad opera di un uomo spedito indietro proprio da un STM del futuro potrebbe far collassare tutto il continuum. L’alterazione della realtà darebbe origine ad una nuova timeline troppo divergente da quella precedente, facendo crollare i pilastri dell’esistenza come un castello di carte. D’altronde, come posso cancellare una cosa che ho già distrutto? E come potrei servirmi di un dispositivo che non è mai esistito perché io stesso l’ho eliminato? Sono domande a cui in ogni caso non avrò una risposta. Non importa, comunque andrà la demolizione della mia timeline, i cocci che ne seguiranno non saranno i miei. Schrödinger e ProTempore avevano imposto la linea dura: solo un disastro di immani proporzioni poteva allontanare gli scienziati e il governo dall’insistere nello sviluppo del time shift e probabilmente avevano ragione. Tuttavia, il Comando Congiunto (formato dai dirigenti di Schrödinger e Pro Tempore) non ha avallato la proposta di un raid all’interno del Laboratorio, anche se con gli armamenti in nostra dotazione c’erano buone possibilità di successo. Doveva sembrare un incidente, un gigantesco incidente, non un attentato da uno sconosciuto nemico straniero. Poteva scoppiare la terza guerra mondiale. Inoltre, dopo le visite mediche, l’Alto Direttore mi aveva informato che ero l’unico miles che possedeva le capacità necessarie e abbastanza neuroni ancora sani per compiere una tale impresa. La mia esperienza da infiltrato nelle cellule terroristiche, poi, mi rendeva l’uomo giusto al momento giusto. Dopo essere arrivato nel 2042 ho noleggiato una macchina e sono andato a casa di Albert Rosenberg. È da qui che scrivo. Due giorni fa mi sono introdotto nella sua abitazione e l’ho ucciso mentre dormiva. A mani nude. Era da un secolo che non facevo una cosa del genere, ma non ho perso la mano. Un lavoro pulito e silenzioso. Nemmeno si è accorto che lo stava uccidendo uno con la sua stessa faccia. Adesso devo andare. La testa inizia a farmi male, non so se per gli effetti del Collasso Mnemonico o per il rigetto genetico. Devo tenere duro, oggi è il gran giorno e sono due mesi che mi preparo a questo momento. Scrivo il mio testamento su un pezzentissimo foglio di carta. È il mio piano B, in caso di fallimento si fotta lo Schrödinger, si fotta la Pro Tempore. Al diavolo il non lasciare tracce. Qualcuno deve sapere cosa sarebbe successo dopo. Ammesso che ci sarà un dopo. Visto come sono andate le cose, quella sera del 1787 potevo davvero fargliela prendere a Mozart quella benedetta aspirina.

di Giovanni Gaeta

 

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