Tutti abbiamo un’insopprimibile esigenza di credere in qualcosa. Non sappiamo perché nasciamo, perché viviamo, viviamo male se ce lo chiediamo e non avremo mai risposte razionali. Tuttavia continuiamo a sentirne l’esigenza, dobbiamo riempire dei vuoti.
C’è chi vi provvede riempiendo di nutella la pancia, chi di liquori i bicchieri e chi credendo in qualcosa, per esempio in una ideologia.
Cede alla nutella chi s’accontenta d’un piacere d’un quarto d’ora: svuotato il barattolo si puzza, si ingrassa e si sta peggio di prima. Crede in una ideologia chi vuole tutto e subito, cioè risposte immediate alle necessità del momento.
Per esempio, gli assetati d’uguaglianza della Russia zarista abbracciarono il comunismo avendone ben donde; ad essi reagirono i borghesi minacciati, che si organizzarono nel fascismo. Gli uni e gli altri, come tutti gli ideologizzati, blindarono le loro esigenze riempiendole d’un particolare calcestruzzo, il credo. Infatti Lenin significa uomo di ferro, Benito fa rima con granito e si dice che in una ideologia si creda, usandosi sovente l’espressione credo ideologico.
Ma l’ideologia ha un limite che risiede addirittura alla radice: l’esigenza del momento che la partorisce.
Quando mutano le condizioni, essa mostra tutti i suoi difetti. Questo perché, essendo figlia dei suoi tempi, è incapace d’adattarsi ai cambiamenti come il nonno che non naviga on line.
A tutto ciò contribuisce la coerenza, cioè quell’ulteriore virtù di cui i profeti laici la ammantano per mercanteggiarla come una perla preziosa. E infatti il suo etimo potrebbe essere questo, coerenza ad un’idea, laddove la coerenza accelera l’invecchiamento dell’idea come le sigarette con la pelle del viso.
La religione, invece, non fuma, cioè invecchia molto più tardi. Questo perché ciò che l’origina non è l’esigenza materiale e transeunte dell’adesso, ma la necessità di dare una spiegazione al mondo, dal salumiere sotto casa alle cose di Margherita Hack. Poiché in quest’affare non concluderemmo mai nulla usando soltanto la ragione, la religione invecchia tardi perché affonda le sue radici in qualcosa di diverso, nel dogma, che è qualcosa che s’accetta senza che se ne chieda la prova. Non lo si accetta per la ragione. Lo si accetta per fede, cioè perché, appunto, si crede.
In Grecia un Braveheart lo hanno avuto veramente. Si chiamava Alekos Panagulis, una persona che per la libertà s’è fatto torturare ed ha sacrificato la sua vita. Da Panagulis, tutti quelli che hanno Che Guevara nella stanzetta s’aspetterebbero la solita esaltazione delle ideologie con filippica sulle religioni inclusa nel prezzo. E invece sentite le sue parole: «Questi intellettuali non sono intelligenti, sono stupidi. Con l’ottusità dei sacerdoti non riconoscono che, una volta sposati all’ideologia con un matrimonio che esclude l’adulterio e il divorzio, non si è più liberi di pensare. Perché si piega tutto a quella soluzione, si giudica tutto secondo quegli schemi: da una parte l’Inferno, dall’altra il Paradiso. Ergo, per fare i coerenti, costoro devono diventare incoerenti, anzi disonesti: conclusione, il grande malanno dei nostri tempi si chiama ideologia e i portatori del suo contagio sono gli intellettuali stupidi».
L’altro giorno mi sono svegliato presto come tutte le mattine. In cucina, facendo colazione, la tivvù era accesa. In uno dei mille talk con ospiti politici c’erano Nichi Vendola e Giulio Tremonti. Gli osservatori superficiali si sarebbero aspettati un uno contro uno. E invece cavalleria, più o meno la stessa che tra Santoro e Berlusconi. Gli osservatori superficiali si sarebbero aspettati almeno un’altra cosa, almeno uno scontro sulle proposte. E invece nemmeno questo: Nichi Vendola, che ha citato Roosvelt, ha quotato Tremonti, che ha quotato Nichi Vendola. Vado a memoria, ma mi pare si siano chiamati anche per nome. Eppure uno chiede voti a sinistra e l’altro li chiede a destra. Come mai? Perché al di là delle etichette sono entrambi portatori di istanze popolari. Ed hanno entrambi un nemico comune: il montismo, l’anima più grigia del “Partito dei ricchi“. Non a caso ho sempre collocato gli elettori del Pdl nel “Partito dei poveri“: i fatti di questo periodo di transizione non mi stanno dando torto.
Oggi non sono finite le ideologie, la storia ne partorirà sempre di nuove.
Ad essere finite sono quelle del passato perché è venuta meno la ragione della loro nascita, cioè sono mutate le condizioni che le originarono.
Ciononostante, noi, io per primo, restiamo schiavi di mille, vecchie pregiudiziali ideologiche, per l’appunto. Questo c’impedisce di guardare alla realtà con lucidità, oserei dire quasi con cinismo. Perché io non nego che differenze tra la vecchia destra e la vecchia sinistra persistano. Altroché, ce ne sono certamente: ogni periodo di passaggio si porta dietro qualcosa di vecchio mentre assorbe qualcosa di nuovo. Però sostengo che la questione preminente sia un’altra: l’uscita dal limbo europeo, la fonte di tutti gli impacci, in primis lo smarrimento della capacità di decidere.
Non voglio drammatizzare come da tradizione internettara, bensì pongo una semplice domanda: in quanti scommetterebbero su un cambiamento percepibile vuoi che vinca la destra vuoi che vinca la sinistra? Credo nessuno, e il motivo è perché ci siamo impigliati nelle maglie di mille trattati.
Allora, se con l’Euro il nostro portafoglio s’è dimezzato, la questione da porsi è questa: in questa Europa c’entriamo veramente o ce ne usciamo? Io stesso ho le idee confuse. Se questa, come credo, è la preminenza, l’unica intesa salvifica sarebbe quella tra tutti i portatori di istanze popolari. Poiché essi risiedono dall’estrema destra all’estrema sinistra, stare al passo con le necessità del momento vorrebbe dire abbandonare le anacronistiche contrapposizioni ideologiche, generatrici di pregiudizi paralizzanti. Invece, al contrario di quanto ci occorre, queste vecchie incrostazioni ci fanno apparire come normali alleanze che nella sostanza sono completamente innaturali: Vendola smentirebbe ogni cosa se s’accostasse al Pd; il Pd ha una sostanza compatibile con la destra Montiana; Monti è portatore di istanze antipopolari; Berlusconi è portatore di istanze popolari come una sinistra socialista e come la destra di Storace, nonostante abbia fatto il contrario sostenendo i professori. Chiarisco quest’ultimo passaggio sul Cavaliere con un esempio che riassume il mio pensiero: mentre a “Servizio Pubblico” ha tenuto calmo il suo elettorato, nemmeno qualche giorno dopo, proponendo Draghi al Quirinale, ha provveduto a tenere calmi i mercati, cioè ha ribaltato la sostanza delle parole pronunciate da Santoro.
Ma qualcuno immaginerebbe mai un’alleanza tra tutti i portatori di istanze popolari? Cioè qualcuno immaginerebbe mai un’alleanza Storace Ferrero, che al sol pronunciarla suona forte come una bestemmia? Queste domande potrebbero esser poste anche così: qualcuno immaginerebbe mai la nascita ufficiale del Pdp, cioè di quel “partito del popolo” che se non nasce subito diventerà partito dei poveri? Certamente no, io per primo non l’immagino: è colpa delle ideologie, che, mentre noi tifiamo per il Milan o per la Juve, fanno gli interessi dell’arbitro.
Grazie per la pazienza.
Giuseppe Pastore
non aggiungerei altro..
arbitro cornuto!!!
d'accordissimo! lo sono sempre con questo autore. complimenti a g. pastore, anch'io ho le mie idee confuse, ma…
io non voglio più credere in niente!
Mitico Pastore
a me la nutella!
populismo… è la questione.
sempre d'accordo col pastore. il discorso popolare non fa una grinza, anche perché, la sovranità dovrebbe essere la nostra!!!
quanto è vero!
condivisibile, compresa la fuoriuscita dall'euro,se non altro per la libertà di scegliere, appunto!
La carne in scatola americana la mangio, ma le ideologie che l'accompagnano le lascio sul piatto. Leo Longanesi