Questa RUBRICA parla di quel “consumo” incivile fatto da una società mercificata, la nostra; la stessa che qui prova a resistere con gesti locali e altre forme di autodeterminazione culturale (ispirati non di rado dal ‘mangiar e bere bene’)… mentre quel carrello della spesa si è smarrito in un momento di disattenzione del suo aguzzino
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.«Consumiamo ogni giorno senza pensare,
senza accorgerci che il consumo sta consumando noi
e la sostanza del nostro desiderio.
E’ una guerra silenziosa e la stiamo perdendo».
Zygmunt Bauman – “Consumo, dunque sono”
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Il pezzo che segue era stato pensato tempo fa ma mai finito. Nutro un profondo rispetto per Zygmunt Bauman e per la sua logica. È come quando un mio amico montatore-video si rifiutò di usare per un video il sottofondo musicale di Miles Davis. Non si fanno certe cose, è rispetto. Va bene così, nulla puoi aggiungere. Ecco, nutro per Bauman e per Davis quella forma di reverenza da fan sfegatato, li accetto cosi, li elevo a dogmi. Ma siccome questo lunedì l’autore ci ha lasciato, ho pensato di consigliarvi un suo testo meno conosciuto della società liquida e ho concordato con la redazione di farlo uscire adesso.
È ovviamente quello che in gergo di stampa si chiama un “coccodrillo“, ma non vi tedio certo nel raccontarvi la sua infanzia, o nel confrontare il pensiero di Bauman con Keynes o Bertrand Russel, per quello prendo frasi da Wikipedia e le metto a cazzo su Facebook. Quest’articolo invece era stato pensato come un consiglio alla lettura, e visto che oggi ne parlano tutti è un invito alla resistenza culturale, sociale, un inno all’umanità, e se sembra un omaggio post mortem, pazienza, l’invito a leggerlo è ancora valido. Tra l’altro il testo è abbastanza chiaro, e per quanto del 2006 attualissimo, anche se alcuni dei ragionamenti di Bauman mi rimangono ancora difficili da fare miei, nel poter dire di averli digeriti. Così ho trascritto un post con brevi stralci dal libro: piccoli spunti su un argomento che è la società dei consumi. Accenni di quello che ripeto è un libro da leggere.
Il libro è ovviamente di Zygmunt Bauman: “Consumo, dunque sono” qui non virgolettato, nella Traduzione di Marco Cupellaro per la Editori Laterza, titolo originale “Consuming Life”, della Polity Press, Cambridge 2007.
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In neretto le mie osservazioni.
> Sui social media (nel 2006):
«Non appena prendono piede in una certa scuola o in un’altra area del mondo fisico o elettronico, i siti di social networking si diffondono alla stessa velocità di una “malattia altamente contagiosa”. In un attimo smettono di essere una semplice opzione tra le tante per trasformarsi nell’indirizzo standard per una marea montante di ragazzi e ragazze. Evidentemente, gli inventori e i promotori del networking elettronico hanno toccato una corda sensibile, o forse un nervo teso e scoperto che da tempo attendeva lo stimolo giusto. Essi possono a buon diritto vantarsi di essere andati incontro a un bisogno reale, diffuso e urgente. Quale sarebbe? “Al centro del social networking c’è uno scambio di informazioni personali”. Gli utenti sono ben lieti di “rivelare i più intimi particolari della propria vita personale”, “inviare informazioni precise” e “condividere fotografie”. Si stima che il 61 per cento degli adolescenti inglesi tra i tredici e i diciassette anni “abbia un proprio profilo personale in un sito di networking” che consente loro di “socializzare online”. In Gran Bretagna, dove la diffusione di mezzi elettronici all’avanguardia è parecchi cyber anni indietro rispetto all’Estremo Oriente, gli utenti possono ancora avere fiducia nel social networking, ritenendo che sia una manifestazione delle loro libertà di scelta, e possono persino credere che sia un mezzo di ribellione e di autoaffermazione giovanile (supposizione resa tanto più credibile dagli attacchi di panico che il loro slancio di auto esposizione indotto dal web – e rivolto verso il web – diffonde quotidianamente o quasi tra insegnanti e genitori ossessionati dalla sicurezza, e dalle nervose reazioni dei presidi che bandiscono Bebo e i suoi simili dai server delle Scuole). Ma là dove, come nella Corea del Sud, la maggior parte della vita sociale avviene già attraverso la mediazione dell’elettronica o, meglio ancora, dove la vita sociale si è già trasformata in vita elettronica, in cyber vita, e dove si manifesta per lo più in compagnia di un computer, di un iPod o di un cellulare, e solo secondariamente in compagnia di altri esseri in carne e ossa».
La prima osservazione è sui social media, perché prima i giovani e poi tutti gli altri hanno avuto la necessità di mostrare il proprio Io nudo?
«Le ragazze e i ragazzi che con avidità ed entusiasmo sfoggiano le proprie caratteristiche sperando di attirare l’attenzione e magari anche di ottenere il riconoscimento e l’approvazione necessari per continuare a partecipare al gioco della socializzazione; i clienti potenziali che solo accrescendo la propria spesa e i propri limiti di credito possono conquistarsi un servizio migliore; gli aspiranti immigrati che si danno da fare a raccogliere e presentare note di merito per dimostrare che i loro servizi sono richiesti, sperando che in tal modo la loro domanda venga presa in considerazione: tutte e tre queste categorie di persone, apparentemente così diverse, sono lusingate, incitale o costrette a pubblicizzare una merce che sia attraente e desiderabile, a farlo con tutte le forze e a usare tutti i mezzi di cui dispongono per accrescere il valore di mercato di ciò che vendono. E le merci che sono sollecitati a mettere sul mercato, pubblicizzare e vendere sono se stessi».
Pensate all’utilizzo che fate dei social media, anch’io penso a quello che ne faccio..
> Il “nuovo spirito del capitalismo”
“Resistenza Zero”. Il mondo del lavoro.
«La principale scoperta è stata la spiccata preferenza da parte degli imprenditori verso i lavoratori privi di vincoli, autonomi, flessibili, “generalisti” e, in ultima analisi, “usa e getta” (più simili a factotum, anziché specializzati e preparati in modo mirato). Come scrive Hochschild, nella Silicon Valley, cuore della rivoluzione informatica in America, nel 1997 iniziò silenziosamente a diffondersi un nuovo termine: “zero drag” – resistenza zero. Questa espressione, che originariamente indicava il movimento privo di attrito di un oggetto come un pattino o una bicicletta, è stata poi usata a proposito dei lavoratori che cambiano facilmente attività, indipendentemente dagli incentivi economici. Più recentemente tale termine ha assunto il significato di “svincolato”, o “senza obblighi”. Un’azienda potrebbe elogiare un lavoratore dicendo che è a “resistenza zero”, per far capire che egli è disponibile ad assumere compiti fuori dell’ordinario, a rispondere a richieste urgenti o a trasferirsi in qualsiasi momento. Secondo Po Bronson, un ricercatore che ha studiato la cultura della Silicon Valley, “La resistenza zero è il massimo. Nei colloqui di assunzione per qualche tempo accadeva che si chiedesse scherzosamente a un candidato quale fosse il suo coefficiente di resistenza”. Abitare troppo distanti dalla Silicon Valley e/o avere il peso di una moglie e/o di un figlio alza il “coefficiente di resistenza” e riduce le possibilità di lavorare. Le aziende desiderano che i loro futuri dipendenti sappiano, più che camminare, nuotare, o meglio ancora fare surf. Il lavoratore ideale non ha vincoli, impegni o legami affettivi ed evita di crearsene; è pronto ad assolvere qualsiasi nuovo compito ed è preparato a riadattarsi e a ri-focalizzare le proprie inclinazioni, accettando nuove priorità e abbandonando in quattro e quattr’otto quelle fino allora valide; è abituato a un ambiente in cui “fare l’abitudine” – a un lavoro, a una capacità o a un modo di fare le cose – è malvisto e ritenuto imprudente di per sé; e, cosa non di poco conto, nel momento in cui non serve più deve uscire dall’azienda senza lamentarsi né aprire contenziosi; infine, considera le prospettive di lungo termine, i percorsi predeterminati di carriera e ogni forma di stabilità come qualcosa di più sgradevole e temibile che non la loro assenza».
La critica alla mercificazione dell’esistenza nell’omologazione planetaria.
«E se il mercato del lavoro è soltanto uno dei tanti mercati di beni di consumo in cui è inscritta la vita individuale, e il prezzo del lavoro è soltanto uno dei tanti prezzi di mercato da seguire, sono da osservare e calcolare nell’ambito delle tante attività dell’esistenza individuale».
Ma in tutti i mercati valgono le stesse regole.
«In primo luogo, la destinazione ultima di tutte le merci in vendita è il consumo da parte di chi le acquista.
In secondo luogo, gli acquirenti desiderano procurarsi merci da consumare se, e soltanto se, il loro consumo promette di soddisfarne i desideri.
In terzo luogo, il prezzo che il cliente potenziale in cerca di soddisfazione è disposto a pagare per le merci offerte dipende dalla credibilità della promessa e dall’intensità dei desideri.
L’incontro tra i consumatori potenziali e i potenziali oggetti di consumo tende a diventare il principale costituente della peculiare rete di relazioni interumane sinteticamente indicata come “società dei consumi”.
Il contesto esistenziale che ha finito per diventare noto come “società dei consumi” si distingue per il fatto che ridefinisce le relazioni interumane a modello e somiglianza delle relazioni tra i consumatori e gli oggetti di consumo».
La società dei consumi è rappresentata come relazione tra consumatore e merce.
«Quando si descrive l’attività del consumatore, il grado di sovranità del soggetto è continuamente messo in questione e in dubbio. il consumatore oscilla tra i due estremi vittima o eroe della modernità. Da un lato, i consumatori sono rappresentati come soggetti agenti tutt’altro che sovrani, illusi da promesse fraudolente, adescati, sedotti, sospinti e manovrati da pressioni palesi o surrettizie, ma comunque estranee. Dall’altro, al consumatore si attribuiscono tutte le virtù per cui la modernità ama essere elogiata: razionalità, forte senso di autonomia, capacità di autodefinirsi e di autoaffermarsi in modo anche rude. Un eroismo della volontà e dell’intelligenza, che trasforma la natura e la società piegandole al dominio dei desideri individuali scelti liberamente e privatamente. Il punto è che i consumatori, vittime della pubblicità, sono impegnati in una incessante attività di consumo, con la necessità di elevarsi al di sopra di quella grigia e piatta invisibilità e inconsistenza, facendo in modo di risaltare nella massa di oggetti indistinguibili che “galleggiano con lo stesso peso specifico”, catturando così lo sguardo dei consumatori (più esigenti!). Sotto i sogni di fama si affaccia un altro sogno: il sogno di non dissolversi e scomparire nella massa grigia delle merci, senza volto né sapore, il sogno di trasformarsi in una merce meritevole di attenzione, notata e ardentemente desiderata, in una merce di cui si parli, che spicchi nella massa delle altre merci, che non possa essere ignorata, derisa, rifiutata. In una società di consumatori trasformarsi in merce desiderabile e desiderata è la materia di cui sono fatti i sogni, e le fiabe».
Il mondo del consumo.
«L’economia consumistica prospera sul ricambio delle merci e si pensa che quanto più denaro passa di mano, tanto più essa vada a gonfie vele; e ogni volta che il denaro passa di mano alcuni beni di consumo sono inviati alla discarica. Di conseguenza, in una società di consumatori la ricerca della felicità – lo scopo maggiormente evocato e utilizzato come esca nelle campagne di marketing che mirano a incentivare i consumatori a separarsi dal proprio denaro (denaro già guadagnato o che si prevede di guadagnare) – tende a spostare l’attenzione dal fare le cose, o appropriarsene, o accumularle, al disfarsene: ed è proprio questo ciò che occorre per far crescere il prodotto nazionale lordo. Per l’economia consumistica il vecchio baricentro – ormai in linea di massima abbandonato – equivale alla peggiore delle paure, a una situazione cioè in cui gli acquisti vanno a rilento, vengono rinviati o si fermano del tutto. L’alternativa, invece, promette assai bene: un altro giro di acquisti. Il semplice impulso ad acquisire e possedere porterebbe con sé problemi futuri se non fosse sostenuto dall’impulso a scartare e a disfarsi degli oggetti. I consumatori della società consumistica devono seguire le curiose abitudini degli abitanti di Leonia, una delle città invisibili di Calvino:
” […] più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità”».
La morale.
«La morale è la regolazione coercitiva dell’agire sociale attraverso la proposta di valori o leggi universali a cui nessun uomo ragionevole può sottrarsi. Non si può invece parlare di morale perché la fine delle ideologie ha reso impossibile la pretesa di verità assolute, e quindi ci possono essere tante morali, quante ne servano. Nasce come (ed è) il consegnarsi totalmente dell’Io al tu (di me all’altro). È un fatto assolutamente e totalmente individuale e libero. Poiché non può esistere un terzo che mi dice se la mia azione sia morale o no, non c’è più società. Questa libertà è sempre dentro i vincoli dati da una struttura. L’impulso ad essere per l’altro, a donarsi, indipendentemente da come l’altro si atteggia nei suoi confronti non è razionale; la morale è del tutto irrazionale. L’origine della morale è sempre un atto individuale, implica necessariamente un Io (a cui parte la decisione), non è un atto collettivo, né un accordo, perché è sempre il singolo nei confronti dell’altro. Se non c’è l’Io l’atto morale non c’è. La morale quindi è un atto del tutto individuale, ma crea la società. La società nasce da una scelta etica individuale, l’atto etico fatto da me e non da altri, crea un vincolo: viviamo in società, siamo in società, solo in virtù del nostro essere morali. Per Bauman solitamente si incontra l’altro “non come persona”: Bauman usa il termine “persona” nel senso di una maschera che ricopre un ruolo. L’identità di ogni individuo è la somma di tutti i ruoli che copre, per questo si parla solo di persone, cioè di attori che ricoprono ruoli. L’atto morale ci permette di incontrare l’altro non come persona/maschera, ma come volto, cioè nella sua vera identità. Il paradosso della morale per Bauman è che da un lato crea disordine, dall’altro è necessario come atto fondante della società».
Il flusso delle informazioni è talmente ampio e veloce che non ci permette di riflettere; infine la società dei consumi si basa sull’aspettativa di una felicità effimera dovuta ad un bene/bisogno che è sostituibile da una nuova effimera promessa.
Bugiardina: per chi volesse leggere “Consumo, dunque sono“, sappiate che si tratta di uno di quei libri che ti lascia come una puntata di “Report”: incazzato! Non riesci a credere che essere un cosiddetto trend setter, un “consumatore consapevole“, un Social Media Manager o un lavoratore con Resistenza Zero… non sono delle vittorie ma delle sconfitte. Ci vuole uno spirito zen per uscirne senza imbracciare un Ak47 e tirare giù qualcuno in un centro commerciale o il primo pubblicitario che passa. Pertanto leggetelo rilassati… magari lontani dalla città, può nuocere alla voglia di fare shopping.
Daniele de Sanctis
una tragedia proprio ….
un analisi lucida e tremenda del mondo che ci circonda
voglio dire , gia’ guardandoci intorno possiamo dire che e’ una tragedia ,figuriamoci a studiare in modo oggettivo i comportamenti sociali di questi tempi . siamo un popolo povero di spirito ormai, facile da incatenare a dispositivi virtuali perche’ vuoti dentro
bauman era l’ultimo grande filosofo della società contemporanea
è evidente che le sue parole sono ben ancorate alla realtà
e credo che le ripercussioni di queste tendenze da lui descritte dovremo ancora viverle sulla nostra pelle in modo estremo
bell’idea questo post,grazie de santis, almeno cosi’ abbiamo potuto rileggere direttamente bauman e il suo pensiero
soprattutto per chi come me non lo conosceva molto bene
grande Daniele,questa rubrica e’ sempre interessantissima
è la morale che ci rende brutti
BAUMAN ANDREBBE DISCUSSO NELLE SCUOLE
ERA STREPITOSO!!!
GRAZIE D. DE SANCTIS PER QUESTO COCCODRILLO DEDICATO A UN COSI’ INTERESSANTE LIBRO
Mi è dispiaciuto per Bauman. Un vero signore. Un grande osservatore dei nostri tempi.
Molto bello questo libro. Sembra un efficace sunto della sua opera.
Bell’articolo….