“Una canzone per Bobby Long”: Quando si ha avuto una lite d’amore con il mondo

La storia di un perdente sognatore che si schianta in una lite d'amore con il gioco incomprensibile della vita

.A love song for Bobby Long” è un film di Shainee Gabel del 2004, tratto dal romanzo di Ronald E. Capps, in Italia, edito da Mattioli.
Una storia immersa nell’esistenza di tre vite che cercano un motivo per riscattarsi.
Una storia di formazione e di rabbia dove le strade di anime alla deriva si incontrano legandosi in uno scenario dove tutti tentano una lotta per la sopravvivenza.

C’è un brano sul libro di Capps che mi piace ricordare:
«Penso che, nella vita, barboni e puttane e ubriaconi abbiano lo stesso valore di chiuque altro.
Se non fosse per loro, i fottutissimi borghesi benpensanti non avrebbero nessuno da guardare dall’alto in basso. La fottuta brava gente ha bisogno di puttane, ladri e perdenti…Non lo so.
Vorrei solo che non fossimo tanto pronti a sputare giudizi su tutti e tutto.
Ci vorrebbe un po’ di compassione del cazzo. Dannazione».
Si, un film sul male di vivere, come direbbe Eugenio Montale. Su quella fatica di inserirsi in una società dove tutto è superficiale e programmato, dove o sei o altrimenti non esisti.
E in questo ambito la regia di Gabel ha saputo capire il senso del romanzo di Capps, lo ha fatto senza esasperare i toni, senza andare oltremisura, ma con un disegno delicato e sensibile.

La regista ha portato, con magistrale attenzione, le pagine del libro alla luce del grande schermo, senza offuscare la forza dei sentimenti che toccano e sanno risvegliare vecchi lividi taciuti.
Lo sfondo è una New Orleans magnifica e decadente tra blues, alcol e letteratura. Una casa dove si sopravvive alla morte e dove Bobby Long (John Travolta), un professore devastato dalla vita, respira ancora insieme a Lawson Pines (Gabriel Macht), un suo allievo.
La casa non è loro ma di una donna che non c’è più, Lorraine, un’entità pulsante che impareremo a immaginare fotogramma dopo fotogramma.
Lorraine era la madre dell’adolescente e sbandata Purslane (Scarlett Johansson) che una volta avuta la notizia del funerale decide di ritornare nella città dei suoi ricordi bambini.
È un quartiere ai margini, un posto dimenticato di New Orleans, con personaggi che si perdono agli angoli del silenzio e tra le note del blues, ma Pursy vuole restare malgrado l’occupazione dei due sbandati. Da qui inizierà una convivenza e un percorso di ricostruzione e riscoperta dove il dolore si confonderà con la malinconia strappando un sorriso perfino alla sofferenza.

Siamo davanti a tre anime che hanno smesso di nutrire qualsiasi speranza verso il mondo. È difficile vivere insieme e gli scontri sono nell’aria, ma lentamente c’è un qualcosa di sorprendente che accade, giorno dopo giorno, comincia a farsi strada negli sguardi dei tre disperati la comprensione.
Forse è questo il senso del film, capire che la realtà è nello spostarci da un punto all’altro mantenendo la sorpresa del fanciullino di Pascoli, come un gioco incomprensibile che il cuore ha ben capito, ma si guarda bene dal rivelarlo alla mente.
Ci troviamo davanti a tre attori in un formidabile stato di grazia che riescono a padroneggiare la sceneggiatura di Gabel comunicando allo spettatore la precarietà della vita e la fragilità dei sentimenti. Possiamo cambiare se abbiamo il coraggio di andare verso il diverso, verso l’imprevisto per arrivare fino dentro noi stessi.

Nell’eccellente musica di Nathan Larson e la fotografia di Elliot Davis il film scorre tra poesia e verismo. Qualche sorriso ammiccante riesce a condurci in un cammino dove acquisiamo la consapevolezza che l’umanità si perde e si ritrova continuamente e lo fa nel coraggio di andare avanti prendendo atto che la vita è una maledetta scoperta quotidiana che non possiamo perdere.
Forse la fine potrà sembrare un po’ prevedibile ma il film, nel complesso, è giusto e la regista Gabel ha saputo adattare il libro senza alterare il gusto delle pagine, senza togliere la fragilità ai personaggi o mascherare la solitudine che ognuno di noi ha in ogni suo silenzio.
“A love song for Bobby Long” ci presenta il divo John Travolta nel più bel ruolo della sua carriera con un’interpretazione prestigiosa, tutta sofferenza taciuta e senso di solitudine. La storia di un perdente sognatore che ha avuto una lite d’amore con il mondo.

Un film romantico che è un po’ come una ballata con dialoghi ben scritti, completi di citazioni letterarie e una regia precisa e voluta.
Film indipendente purtroppo sfuggito al grande pubblico se non fosse stato per la candidatura di Scarlett Johansson al Golden Globe, come migliore attrice.
La pellicola invece meritava di più, ci racconta una storia senza esagerazioni o volgarità e riesce ad emozionarci in un periodo dove il grande schermo viene troppo spesso dimenticato.

Stefano Pavan

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