«Ti è mai capitato di fare un brutto sogno? Uno brutto davvero intendo! A me capita spesso di farne, ma spesso non riesco a ricordarli. Ne ho fatto uno pochi giorni fa, roba da matti!! Ci penso continuamente: ho 25 anni, sono ad una festa di compleanno, tutti ubriachi; decido di andarmene all’improvviso, senza che nessuno mi segua o se ne accorga. Non ho la cognizione del tempo, la testa mi gira, e con difficoltà mi accorgo di essere finito in un bosco. Lo scenario mi lascia sorpreso: sembra pieno autunno, alberi spogli, scheletrici, letti di foglie sulla terra fredda e umida spostati in blocco da un vento fortissimo; eppure sono tutto sudato, in bermuda, una maglia di un concerto, occhiali da sole, sandali.. che poi quando mai ho portato i sandali io?!
Cammino senza sosta, ma dimentico continuamente quello che mi lascio dietro; mi guardo alle spalle ogni 5 secondi per cercare di ricordare, ma ogni volta che mi volto scopro sempre qualcosa di nuovo, qualche particolare che la volta prima non ho notato: una casa in lontananza, l’ombra di una grande nuvola sulla collina, la neve sulle montagne, il sole che tramonta.
Non capisco più nulla, sono totalmente perso.
Eppure so cosa sto cercando. Ho una chiave in mano, devo trovare una botola. Passa il tempo, sposto le foglie con i piedi, scavalco rami caduti, la trovo.
Chiave, lucchetto, facile!
Ho paura, ho fretta, ho perso la calma; butto via la chiave, prendo a calci la serratura, apro le ante di legno, scendo: l’umidità, un fuoco acceso, mio padre, mia madre, mia sorella. Mi sveglio di botto.
Assurdo eh?».
Un’occhiata all’orologio: «Lunghetto, più che altro!».
Una risata, un po’ amareggiata: «Eh si!».
«Come ti chiami?».
«Astor».
«Ciao Astor. Non posso dirti che sia stato un piacere ascoltarti».
Sono straziato.
Ma non perchè mi sia immedesimato nel sogno e abbia colto il significato recondito, no. Te lo posso giurare, del sogno non me n’è fregato un cazzo, a malapena mi sono accorto che stessi parlando.
Ti dico cosa è straziante: oggi è il 24 di giugno, tu sei su in un lettino, sei attaccato ad una macchina che ci fa controllare i tuoi parametri vitali… Ho scoperto che sei un infermiere, sai di cosa sto parlando.. e pensi che io sia, non so, un amico? Oppure un passante? O addirittura un parente?
Sei talmente stordito dagli antidolorifici che hai cominciato a parlare, senza nessun filtro, senza chiederti neanche dove sei. Ma non voglio lasciarti con una bugia. Mi ha mandato il primario, sono lo psicologo dell’ospedale, sono qui da 17 anni ormai, ne ho 45. Stavi andando ad Exmouth, a mare, con la tua famiglia, eri tu a guidare. Sbagli strada, vi perdete, imbocchi uno sterrato, perdi il controllo della macchina. Tuo padre, tua madre e tua sorella, purtroppo, non ce l’hanno fatta».
La voce spezzata dal pianto.
«Mi hanno mandato qui da te perché tempo fa, sai, per fare carriera, mi proposi come figura professionale che potesse, come dire, accompagnare chi era in fin di vita, verso la fine. Chiamano me per ascoltare gli ultimi pensieri di chi sta per morire e non ha nessun altro con cui condividerli. Ma ti assicuro, non ho mai ascoltato nessuno. Non ho mai avuto la forza di ascoltarvi. Ero, e sono, troppo impegnato a vivere il vostro dramma, al posto vostro, perchè voi siete troppo fatti di analgesici per rendevi conto di cosa stia succedendo. L’ospedale vi mette solo in condizioni di aspettare in serenità che le luci si spengano. Forse per voi è il modo migliore di morire questo, fatto sta che io muoio ogni volta che per ognuno di voi si spengono le luci».
Astor sorride, si spengono le luci.
«È andata cosi, credo di avervi raccontato tutto; salve a tutti, sono Jaco Douglas. Ho 46 anni, sono padre da 5 mesi, psicologo fino a qualche mese fa. Questa che vi ho raccontato è stata l’ultima occasione.
Era fine mese. Il 25 giugno, esattamente il giorno dopo, mi danno la busta paga, 2450 euro: 1000 da parte per l’ affitto, le bollette, i pannolini; il resto, eroina.
Ho provato l’esperienza della morte troppe volte, senza mai morire. Quella, fu l’ ultima goccia.
Sono pulito da sei mesi, ma da solo non ce la faccio più».
Un cerchio di 19 persone, in coro : «Ciao Jaco, benvenuto».
«Ciao a tutti, e buon Natale».
di Alfredo Cannizzaro
triste…
quotidianità di chi vive davvero queste esperienze
Benvenuti…
Bel racconto di Cannizzaro
assistenza alla morte? E tavoli di incontro per sostegno psicologico …. tutto cio’ la dice lunga .
interessante racconto
..e si spengono le luci
complimenti cannizzaro. bello