Non ci potrà mai essere libertà dello spirito senza libertà sociale. La costruzione di una società migliore sarà impossibile, senza la crescita di una forte sensibilità negli individui. È per questo che l’arte è uno strumento. Uno strumento concreto, che permette agli uomini di conoscersi e liberarsi.
Un fatto decisamente indiscutibile era la potenza delle lezioni del professor Galeano. Malgrado i suoi anni impolverati di malinconia, e portati anche male, tra alcool e donne velate di tristezza, la sua capacità oratoria era rimasta intatta. Il prof sapeva tenerci incollati sulla poltroncina mentre tesseva una insaziabile dipendenza narrativa.
Quando potevo, svicolavo e respiravo tutte le sue lezioni.
Aprile, tempo buono. Università, aula T13, un seminario sull’arte e il pensiero di André Breton. Ufficialmente imbucati. Io e quel loco di Pepe ci godevamo la lezione seduti in settima fila.
– …signori, Breton non conosceva mezzi termini, non si confondeva nelle insulse stanze dell’ipocrisia ma scriveva:
“L’uomo che era un sognatore, ha perso la sua capacità di immaginare accettando di lavorare per vivere, ma di tutto questo egli è scontento. L’uomo invece dovrebbe guardare alla sua infanzia che rimane l’unico incanto, l’unico ricordo senza paura di una condizione piena di gioia che l’adulto può riconquistare solo con l’immaginazione. Non sarà la paura della pazzia a farci lasciare a mezz’asta la bandiera dell’immaginazione.”
E quindi, oggi, possiamo più che mai dire che egli è stato un precursore, un analista attento e appassionato che ha inteso la rivoluzione come lo strumento per il raggiungimento del fine ultimo; ossia la destinazione dell’uomo. Per Breton i rivoluzionari di professione non sono disposti ad accettare questo punto di vista, essi sono ottusamente chiusi nel pensiero che l’uomo è un’entità astratta che acquista un senso solo se diventa parte del branco o della massa. Ma ogni volta che la rivoluzione viene istituzionalizzata si soffocano le spinte verso la conoscenza e la crescita. Tutto viene contaminato con la burocrazia e con un mediocre efficientismo. La rivoluzione ha senso solo se perenne, perché solo così può rigenerarsi costantemente.
– Mamma mia, guarda quella moretta in seconda fila, è veramente uno spettacolo!
Mi sussurrò Pepe mentre prendevo appunti sul mio moleskine.
– Che? Ma possibile che pensi sempre alla stessa cosa? Dove?
– Moretta seconda fila a sinistra, terzo posto. Fascia fricchettona bordeaux nei capelli –
– Vista. Niente male. Ma hai sentito Galeano che…-
– Ma chi se ne fotte di Galeano. E poi, adesso, sta facendo una pausa. Hai visto che stacco di cosce…-
No. Le cosce no. Non gliele ho viste, ma Cristo! Tu sei malato, è possibile che non perdi un momento per…”
– Sorchite. Malato di sorchite cronica caro mio. Però puoi stare tranquillo eh! Non è contagiosa. Tu, intanto, continua pure a masturbarti la materia grigia con Breton, io vado a specializzarmi in sociologia della coppia.
Così dicendo, e prima che riuscissi a fermarlo, Pepe si alzò avviandosi verso la ragazza.
– Ciao, scusa se ti disturbo, vedi, ero seduto un paio file dietro di te. Là a sinistra. – disse indicando dalla mia parte.
– Guarda, dove c’è il mio amico Francisco, in effetti lui è completamente stregato da Galeano. Comunque, ti ho vista e ho pensato che era troppo importante.
La ragazza si voltò completamente, osservandolo tra curiosità e stupore.
– Troppo importante cosa?
– Come?
– Cosa è troppo importante? Cosa mi vuoi dire?
– Ah, giusto. Prima per favore mi potresti dire il tuo nome?
– Perché?
– Perché vorrei associare il tuo sguardo a un nome di persona.
– Sei sfacciato lo sai?
– Un po’, ma tu invece continui ancora a non sapere cosa ti voglio dire. Che dici rischierai?
– Mi chiamo Margherita.
– Oohhh… Margherita, che meraviglia.
– Cosa?
– Beh, adesso ho deciso. Ti dirò tutto. Io sono Leandro però mi chiamano Pepe – disse gesticolando come Paul Michael Glaser nei panni di Starsky.
– e tu, vedi tu, sei semplicemente bellissima.
– Sicuro di star bene?
– Decisamente. In più sono convinto che se Dante ti avesse conosciuta, qualche tempo fa, sicuramente avrebbe riscritto tutta la Divina Commedia e magari l’avrebbe anche intitolata Love Story.
Era innegabile che Casimiro Leandro Ortiz, detto El Pepe, fosse un formidabile cialtrone, eppure ogni volta riusciva a sorprendermi. Ogni volta, la sua irrefrenabile stravaganza, ovunque egli si trovasse, lo poneva in una dimensione di affascinante originalità.
Guardavo e incameravo ogni fotogramma della scena, tutte le ragazze intorno cominciavano a sorridere, poi a ridere. Qualcuna iniziò a battere le mani.
– Lo so, lo so, capisco l’imbarazzo ma, comprendimi; qui dentro ci saranno circa trecento persone, di cui almeno la metà maschi, vedi, io, che non sono nemmeno iscritto, non posso rischiare che prima o poi qualcuno di questi fantastici studenti ti conquisti nel silenzio di settimane o mesi, magari aspettandoti alle lezioni o prestandoti qualche libro.
– Tu non li presti i libri?
– Io ti comprerei un’enciclopedia intera, completa di appendice, supplemento e aggiornamenti on line.
– Ma?
– Ma… sono solo un pazzo surfista. Adoro le onde e i tuoi occhi. Avete entrambi lo stesso colore.
Vocìo dalla platea
– E allora? Cosa proponi? Attento pazzo di un surfista, devi essere veloce perché tra poco tornerà il prof. Convincimi.
Ammiccò sfidandolo.
– Ti posso offrire un battito adrenalinico, un sidecar fuori giri, ma sincero, del bel vento nei capelli, una giornata sotto il sole del mare e una carezza per i tuoi pensieri profumati.
– Interessante. E poi?
– E poi… ti avverto, non posso garantirti che non tenterò ripetutamente di baciarti e rapirti il cuore.
– Sei pericoloso?
– Mi piacciono le frolle alla crema alle tre di notte.
– Io preferisco le crostate all’arancia.
– Pazienza. Però abbiamo un problema.
– Tipo?
– Dovrò riportarti a casa molto, molto presto. La mia astronave ripartirà per mezzanotte. Nel frattempo ruberò tutti i colori alla fantasia per convincerti ad aspettarmi. –
Silenzio. Occhiate. Ancora vocìo delle amiche.
– Andiamo! – disse Margherita. Pizzicò la sua compagna, si alzò decisa, avvicinandosi a Pepe. Mi raggiunsero, mentre per l’ennesima volta una vocettina, sussurrava ai miei neuroni che Casimiro Leandro Ortiz era un fenomeno.
– Lei è Margherita. Lui è Francisco Luis.
– Ciao.
Lei non rispose. Mi diede solo un bacio su una guancia.
– Beh, noi si va via. Tu puoi trovare un modo… per tornare, si?
disse l’incantatore delle onde recitando e fingendosi preoccupato mentre si passava la mano tra i capelli.
– Certo che lo trovo un modo, brutto bastardo. Hasta la Victoria!
– Siempre hermano!
Li guardai andare in fuga nel rombo di una moto sgangherata.
Certe volte questo tempo in prestito batte dalla parte giusta. Avevo assistito ad una lezione. Costruzione di certezze, impegno, competizione, nervosismo e successo di sistema. Tutti passi inutili.
Mi chiedevo: “Cosa c’entra tutto questo con la bellezza e la passione dell’amore?” Qualcuno direbbe: “…chiedi alla polvere”.
di Stefano Pavan
La freschezza di un principio di un amore (chissà?!), reso con un’epifania latina e scanzonata, che ci porta sulle polverose strade d’America, inseguendo l’eterno sogno, personale e collettivo insieme, di una “thunder road” che ci strappi via dalle “trite umane cose” e ci faccia riassaporare il gusto della vera vita.
Ho letto il racconto del mio amico S.P. come sempre è stato in grado di trovare la formula magica per descrivere la freschezza, la poesia, la passione che permettono a due persone di incontrarsi nell’arcobaleno delle emozioni. Pepe e Margherita potrebbero essere ognuno di noi e forse viviamo con la speranza di vivere un giorno quelle emozioni.
Non ho più il fiore dei miei anni per credere che sia tutto così facile.
Inquadri una ragazza (donna), cerchi un approccio che non sia mai banale, la guardi, ti guarda, stimoli la sua mente… E via a scoprire il mondo insieme…
Una parte di me crede che questo sia molto difficile, eppure ci deve essere in qualche posto del mondo …
Appena finito di leggerlo veramente un bel racconto che non appartiene al nostro tempo, o meglio potrebbe appartenere ad una piccolissima minoranza che ancora usa il cuore per comunicare senza mezze misure quelli che si prova per un’altra persona e nello specifico ad una sconosciuta. Sarebbe bello tornare a quel tempo agli incontri casuali e al rivedere persone per il gusto e la voglia di farlo.
Tutti vorrebbero un amico come Pepe (o forse tutti vorrebbero essere come Pepe?)
Un bel racconto, scritto bene, senza tempo e spazio. Affascinante.
Bravo Stefano.
Questo racconto breve di Stefano Pavan è come un bicchiere di un vino importante, che lo bevi assaporando tutti i particolari, piace tantissimo senza capire in fondo tutti i retrogusti. E’ poesia che lascia l’interpretazione al lettore e ognuno vede la propria rivoluzione quotidiano come meglio vuole. Grazie per quest’altro racconto e aspettiamo il prossimo.
Il racconto di Francisco, con Pepe come protagonista, diventa una metafora della vita di Breton: una serie di episodi stravaganti, intensi e provocatori, che raccontano non solo una storia d’amore, ma una storia di lotta per la libertà. Ogni gesto di Pepe è una pennellata di surrealismo nella tela della vita, un’affermazione che la rivoluzione, come diceva Breton, ha senso solo se perenne.
Francisco osserva Pepe come si osserva un’anomalia, una scheggia impazzita che viaggia attraverso le regole della vita con una leggerezza quasi mistica. E in Pepe, Francisco inizia a vedere qualcosa di più profondo: l’incarnazione moderna di quello spirito ribelle e surreale che André Breton stesso promuoveva. Proprio come Breton distruggeva i confini tra realtà e sogno, Pepe si muove nel mondo accademico, sociale e amoroso senza mai fermarsi a considerare le convenzioni. Tutto è possibile, tutto è un gioco di possibilità che si aprono una dopo l’altra.
Breton, con il suo surrealismo, promuoveva un mondo dove la realtà era solo una delle tante dimensioni. Allo stesso modo, Pepe si muove attraverso la vita come se fosse dentro un sogno, libero dalle conseguenze, costruendo ogni momento come una scena improvvisata di un film. Non è mai schiavo della razionalità o delle regole sociali, proprio come Breton credeva che la rivoluzione non dovesse mai essere istituzionalizzata. Pepe è una rivoluzione costante, un caos perpetuo, e ogni sua parola è un atto di liberazione dalla norma, proprio come le parole di Breton.
PEPE, FRANCISCO, MARGHERITA, STEFANO E BRETON SONO LA STESSA PERSONA, LO STESSO SOGNO, LA STESSA ANOMALIA VISTA DA POSIZIONI DIFFERENTI…
Leggere i suoi scritti è sempre una boccata d’aria fresca, sembra di fare parte del racconto per quanto riesca ad immaginare di essere in quella stanza.
Racconto fantastico, non vedo l’ora di leggere il resto!!