Bar & una Corda in Sol

..qua si parla della notte che chiude e delle finestre che ti rimbalzano

Flora ha gli occhi neri di pantera e un musicista pazzo di jazz che le suona la tromba accanto / che noia. Jimmy serafico sorride, placido sorseggiando il suo drink veleno da paura / sotto il baffo ancora l’odore di sesso di lei che le ammicca e non sa perché. Abbiamo davvero appena pagato un gatto per suonarci un piano / e qui? Portami sul tuo destriero Sancho / arriviamo in fondo a questa notte a far baldoria / ma è solo martedì e in giro becchi solo spazzatura. No, non può esser così /dovrà ancora viver gente per le strade la notte, non staranno tutti dormendo dietro citofoni postumi. Così sviamo, io e il mio amico l’Americano costruttore di boeing e altre diavolerie metalmeccaniche per gli angoli bui della notte crudele, non sangue / ma lacrime di liquore stillate dal suo sorriso arcigno. Voliamo tra gli incroci i quadrilateri i triangoli / che siamo già lontani da dove eravamo partiti e con molta più fantasia di ieri. Così girando incontriamo un tipo seduto su una panchina a guardar un punto fisso lontano, non so cosa bene e l’Americano gli fa – non deve essere una gran bella situazione amigo – e ci accingiamo a goderci anche noi il suo postribolo televisivo, ferventi credenti della sua parabola discendente e tutti ci mettiamo a capire cosa osserva lì in alto sopra di noi / che passa un anguilla del Baltico col suo carico di molluschi e di ghiaccio tritato, occhiali grossi e jeans stretti – beh, non fate passar così la notte – ci dice, ed era una tardona veramente molto alta e impertinente e con qualche ruga di peccato intorno al sorriso, così ci svegliamo da quello strano sogno che non eravamo ancora mai stati lì e ci ritroviamo al dodicesimo brindisi davanti un bancone di un locale affumicato che io riuscivo a percepire la figura cicciona di un barista dal brilluccichio del suo dente d’oro / quando apriva le labbra per donarci un sorriso arcigno da <ancora?>. E avevo perso la tardona spilungona e anche il mio amico l’Americano / solo in seguito il barista mi confesserà di averli visti allontanarsi verso il bagno e di essersi persi nella nebbia del locale. E quindi io ora sono al punto esatto di quando era iniziata la vita, chiuso dentro un utero di fumo denso e calore alcolico, sento passare figure mistiche e spettrali di ubriachi persi nella notte. Uscire fuori da quella caverna fu come rinascere sputato nel freddo della vita reale – benvenuto figliolo, qui c’è una vanga, usala dodici ore al giorno per comprarti un panino e scavarti la fossa e compra tante cose nel mentre. Quindi imbocco l’angolo che dalla grotta piena d’alcol spara dritto sulla strada del cinematografo e Marylou mi sorride dall’altro lato selvaggio della strada, cincischiando qualcosa tra un sorso e l’altro e io mi avvicino con una espressione di pesce sbalordito del Baltico finito per caso in qualche resort tropicale <sai tu mi ricordi il mare quando in tempesta ingoia pescherecci sbiaditi> e lei si emoziona e nessuno le aveva mai detto una roba del genere, così decido di lasciare l’idea di ritrovare il mio amico l’Americano e la tardona e mi carico come un macigno di marmo tra le sue scapole. Finiamo la notte che era agli sgoccioli e anche la nostra bottiglia non se la passava più molto bene e lei mi dice che a casa possiede dell’ottimo distillato di cuore e che ci terrebbe ad avere la mia opinione a riguardo. Ci trasferiamo in fretta e furia fuori di là e lei non trovava le chiavi e fuori stava per albeggiare e sai come vanno queste cose, tu sei nel bene ma poi passa un netturbino e ti prende per un ladro / e ti ritrovi in gattabuia con due pakistani e un trans / e quando ne esci pulito decidi di andarti a sbronzare finalmente una sera / e ti ritrovi messo nella stessa condizione in cui tu sei per i fatti tuoi e le circostanze ti sono avverse / e nonostante tutto io rompo con una mattonella il vetro della finestra e riusciamo ad entrare a casa e a non finire in prigione. La prima cosa che facciamo quando siamo al sicuro dall’alba violenta che si scatena lì fuori e tutto quello che succederà per altre dodici ore / decidiamo che è l’ora di metterci comodi e far l’amore, ma poi siamo troppo stanchi e ce ne dimentichiamo a finiamo per dormire senza scarpe poggiati sul davanzale dei nostri giardini / <…e lei ha capelli neri e lunghissimi che sono autostrade e sotto un ottovolante che sale sulle dolci colline della sua schiena e tutto quello era quello…> che stavo sognando, ma poi succede che qualcuno mi da una botta forte proprio sul labbro e apro gli occhi ma non ci vedo neanche e mi arriva un altro cazzotto leggermente più centrato sul naso e non meno potente / e poi urla tra lui e lei e altre apocalittiche scenate che io riesco per poco a riportare intera la pelle <amigo non abbiam scopato, ma mi sarebbe piaciuto> e i piedi nelle scarpe e i bottoni dei pantaloni nei buchi / corro come un pazzo giù per la strada. Di sotto tutti se la prendono con molta calma, forse per via di quella luce pazzesca che però non mi convince mai troppo e io faccio due passi sul lungomare e ritrovo Marylou che conta i petali di una margherita e quello che manca è il suo uomo e le dico – spero proprio che non sia da queste parti – e lei inizia a raccontarmi di tutte quelle menate sulla sua vita passata della famiglia in New Hampshire, del suo matrimonio, di lui che le solleva il velo, delle sue amiche e io decido che, cara, è ora di chiudere una situazione mai aperta, così dal lungomare mi avvio verso il porto che era ancora molto prima del tramonto e mi imbarco sul primo cargo disponibile ad assumere un bel giovanotto e mi godo sul ponte della nave quella brezza fresca fumando il tramonto senza divagazioni ed altre amenità.

Giancarlo Pitaro

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