Ho conosciuto Nicholas in una fredda e fumosa serata romana. Entrambi ci trovavamo a quel concerto in veste di inviati speciali ed entrambi eravamo in possesso di un fantasmagorico accredito stampa. Forse questo ci fece sentire subito parte della stessa società segreta di scribacchini, dunque vicini.
Allora non potevo certo immaginare che un giorno anche lui sarebbe finito a scrivere per Ukizero, tantomeno che a breve avrebbe pubblicato la sua ricerca. Figuriamoci dunque come potevo immaginare che avrei avuto il privilegio di recensirla per il sito su cui siete in questo momento e per cui, in certi giorni, sia io che il Nicholas sopracitato scriviamo, che è poi Ukizero
Pensa agli insetti rossi, quelli che sui muretti estivi aspettano le tue chiappe per poterti macchiare i pantaloni. Ecco. Infilarsi nel nugolo di movimenti extraparlamentari che ha caratterizzato il panorama politico italiano tra gli anni ’60 e gli anni ’70 è come provare a contare gli insetti sul muretto, o capire dove vanno, o sedersi cercando di evitarli.
Nicholas Ciuferri ha azzardato l’impresa con un libro, “A/traverso – Franco “Bifo” Berardi in movimento” (edizioni Universitalia), e se il Bifo del titolo è un nome che vi dice poco, non sentitevi colpevoli: lo scopo dichiarato di Ciuferri è proprio quello di colmare l’inspiegabile lacuna che ha confinato la figura di Berardi negli archivi degli addetti ai lavori.
Scrittore e filosofo, nato nella piccola borghesia e donatosi senza riserve alle lotte proletarie e operaie, Bifo attraversa gli anni della contestazione in prima linea, e Ciuferri sembra seguirlo passo passo per leggere, attraverso di lui, quel periodo nebuloso, in cerca di una chiave per decifrarlo. E la trova.
Seppure con uno stampo necessariamente scientifico, il libro nasconde dentro anime diverse. Naturalmente troveremo quella storica, con una lucida analisi del contesto, degli avvenimenti che lo hanno caratterizzato e di come questi abbiano influito sui movimenti di protesta dell’epoca. Ma poi troviamo anche l’anima letteraria, che si incanala nelle opere di Berardi e degli intellettuali a lui vicini, usate come contrappunto della realtà che si incendiava intorno, venata da patti governativi, manifestazioni da sedare, ideologie e desideri di cambiamento.
Ma leggere la vita di Bifo è come trovarsi davanti a un romanzo d’appendice di Dumas: immaginate di trovarvi a partecipare a una manifestazione e di non essere stati avvertiti che, durante la notte, erano montate intenzioni bellicose; immaginate allora di ritrovarvi in mezzo agli scontri e di essere gli unici sprovvisti di passamontagna e di conseguenza gli unici a essere riconosciuti dalla polizia. Un bel modo per finire tra i ricercati. È proprio così che Bifo inizia un periodo di latitanza, una buona occasione per conoscere e farsi ospitare da intellettuali militanti di tutta Italia, per scrivere libri, o per laurearsi in gran segreto. Come se non bastasse Bifo deve trovare anche un modo per mantenersi, eccolo allora chino a scrivere, sotto pseudonimo, romanzi pornografici, teorizzando così lo status di “intellettuale proletario”, il quale, proprio come l’operaio, si dissocia completamente da ciò che produce, offrendo il suo tempo e la sua manovalanza in cambio del salario.
Ma per le cose serie c’erano ben altre destinazioni, i libri o le riviste, prima tra tutte “A/Traverso“, da cui il titolo al libro. Un percorso intellettuale ai margini del centro, il cui climax è nella fine di Radio Alice (emittente di cui Bifo era cofondatore e che trasmetteva tramite apparecchiature riciclate) smantellata per mano della polizia, sul piede di guerra dopo gli scontri seguiti alla morte dello studente Francesco Lorusso. Scontri di cui Radio Alice fu, infondatamente, ritenuta responsabile. Era il noto metodo Cossiga, manganelli e democrazia, prima mena e poi domanda.
«Siamo i ragazzi del coro, le casalinghe sempre d’accordo / e la classe operaia nemmeno me la ricordo».
(Ivano Fossati)
Dopo una cinquantina d’anni, dopo che gli operai e gli studenti hanno preso strade totalmente opposte, dopo che le manifestazioni sono state sublimate in occasioni per saltare il compito di greco, da quando le maglie del Che te le vendono a cinquantaquattro euro su Zalando, può sembrare anacronistico confrontarsi con un libro del genere, o perlomeno essere convinti che la prima Repubblica sia ormai trapassato remoto. Eppure la sorpresa è quella di ritrovarsi a dialogare continuamente con il presente.
Un esempio? Pensiamo alla questione immigrati, al motto “l’Italia agli italiani”. Decidete chi sono gli italiani, e poi fatevi citare da Ciuferri un passo del genere:
«Molti emigranti provenienti dal Sud alla fine degli anni ’50, trovarono il loro primo impego, soprattutto a Torino, attraverso “cooperative”. Organizzatori di tali “cooperative” erano, in genere, capetti di origine meridionale che rifornivano le fabbriche del Nord di manodopera a basso costo in cambio di lucrose tangenti […] si trattava di uno dei classici sistemi per dividere la forza lavoro, dal momento che gli operai settentrionali vedevano minacciato il loro potere di contrattazione da questi “terroni” che facevano lo stesso lavoro per solo un terzo del loro salario».
(P. Ginsborg)
Se invece vogliamo trovare una distanza importante, possiamo fare un confronto tra gli incendiari di ieri e quelli di oggi. I movimenti di protesta un tempo ricercavano fondamento (più o meno condivisibile) nei loro riferimenti culturali e soprattutto letterari (a cominciare da Majakovskij), i rivoluzionari di oggi, tendenzialmente, arrivano a leggere al massimo i titoli dei link per poi impegnarsi in una massima condivisione (al grido “prima che lo censurino”, naturalmente).
Proviamo a sottolineare questa frase di Bifo:
«Se dovrò scegliere tra tradire il partito o tradire la classe, sceglierò sempre a occhi chiusi di tradire il partito».
Siamo in un paese di schieramenti calcistici, dove l’obiettivo è l’appartenenza, la maglia una fede. Vedere qualcuno mantenere i propri ideali come nume guida, essere pronto a rinnegare la propria tessera pur di non rinnegare sé stesso, sembra roba di un altro pianeta. Un’intransigenza pura, spontanea, che può legarsi solo alla coscienza individuale e che si paga spesso con la solitudine. Ben diversa dall’intransigenza di repertorio, sventolata per raccogliere adesioni e pronta a cambiare faccia (ma non nome) sotto le sferzate della contingenza.
«100.000 sotto che siamo il movimento delle separazioni che si fa la festa, la fiera dello spettacolo, il supermarket dei desideri inscatolati nell’ideologia».
(Collettivo A/traverso, Alice è il diavolo, Milano, L’Erba voglio, 1976)
Alla fine dei conti, “A/traverso – Franco “Bifo” Berardi in movimento“, è un’analisi di un periodo ormai sedimentato, eppure ci costringe, inaspettatamente, a guardare dove ci ha portato e cosa siamo diventati. Il libro di Nicholas dona agli occhi una patina di distacco e lucidità inusuale, di quelle riservate, solitamente, alle cose ormai distanti nel tempo e nei sentimenti.
Utile soprattutto per capire che quel tempo e quei sentimenti, ci si creda o no, sono ancora gli stessi.
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“A/traverso – Franco ‘Bifo’ Berardi in movimento” di Nicholas Ciuferri (Casa Editrice Universitalia, Roma, 2016) potete trovarlo QUI.
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A seguire, vi lascio a tu per tu con l’autore del libro:
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– Matteo Mammucari: Ti sei ritrovato a scrivere di Franco Berardi, confrontandoti con un terreno ben poco battuto. Come è successo?
– Nicholas Ciuferri: Arrivare a Berardi è stato parte di un percorso iniziato con lo studio più generico dei movimenti politici extraparlamentari, inizialmente dei tardi anni Sessanta, poi ampliato e settorializzato. Considera il fatto che la galassia extraparlamentare della contestazione italiana è complicatissima; si va dal piccolo gruppo marxista-leninista con dieci iscritti ai movimenti di massa che contano decine di migliaia di militanti attivi. Fare ordine è difficile, così come trovare una spiegazione razionale a tutto quello che è successo. Bifo per me rappresenta il Movimento contestatorio nella sua anima più pura e intransigente, è uno che non si è piegato e forse ha pagato anche per questo. Inoltre Franco ha attraversato tutto il panorama della sinistra, partendo dal PCI fino all’Autonomia Operaia passando per Potere Operaio. Il fatto è che Autonomia Operaia vuol dire tutto e niente, se prendi Negri e ci metti vicino Berardi e confronti quello che dicono (anche e soprattutto nello stesso periodo), trovi delle posizioni distantissime che fatichi a collocare nella stessa area. Tra le tante cose che ci sarebbero da dire in proposito, una delle più importanti è che quando Bifo è diventato il leader dell’Autonomia Operaia Creativa Bolognese ha evitato il muro contro muro, la protesta è diventata più raffinata e con strumenti nuovi, non c’erano le mani alzate come simbolo della P38, non c’era più la velleità di uno scontro frontale con lo Stato (scontro destinato ad essere perso), c’era piuttosto la volontà di un cambiamento culturale, di nuove forme comunicative; non a caso Radio Alice è nata lì, Franco è stato uno dei fondatori, così come per la rivista A/traverso e per tutte le iniziative che cercavano di avvicinare i non militanti e cercavano di aprirsi all’esterno. Bifo è stato a capo di un Movimento che voleva diventare comunità e si basava sul principio dell’inclusione piuttosto che dell’esclusione e dell’esclusività. Invece della volontà di un cambiamento imposto dalle armi c’era un’azione culturale.
– MM: Hai avuto modo di frequentarlo e intervistarlo. Cosa puoi dire di questa esperienza? Chi è Berardi oggi? Come si relaziona con il contemporaneo?
– NC: È stata una bella esperienza, ho intervistato Bifo diverse volte l’anno per quattro anni, ho ore di registrazioni che sono state fondamentali per questa pubblicazione, entrare nel contesto storico, nella prospettiva e nella mentalità dell’epoca non è semplice perché sebbene gli anni Sessanta e Settanta siano dietro l’angolo, per molti altri versi sono lontani anni luce (se solo pensi alla depoliticizzazione della società civile…). In più Franco è una persona piacevolissima e sempre disponibile al confronto, che ha un senso di continuità storica, non vive barricato nel passato ma si rimette in discussione continuamente.
Ho un ricordo curioso, dopo l’intervista conclusiva per il libro mi ha invitato a rimanere a pranzo con lui e sua moglie, eravamo sul terrazzo ed era una bella giornata di sole con le Due Torri a pochi metri e c’era un bel silenzio dopo fiumi di parole, ad un certo punto Bifo mi chiede che musica ascoltassi e che libri leggessi. Mi rendo conto che dopo quattro anni di interviste, mail e videoconferenze in realtà c’era tutto un universo di informazioni (che vanno a costituire l’individuo) che non ci eravamo scambiati, è stato molto strano ma interessante, abbiamo ricominciato a parlare ma su un altro piano.
Oggi Bifo continua ad essere attivista e filosofo, per lui vale molto il detto “non si può essere profeti in patria” vista l’attenzione che gli viene data dalla comunità filosofica e culturale internazionale. È un uomo instancabile, continua a pubblicare, tenere corsi, seminari, conferenze e a partecipare come attivista ad iniziative di vario genere. È molto richiesto e tende a non tirarsi mai indietro. Quindi con il contemporaneo si relaziona benissimo, anche perché lo analizza, descrive e interpreta con una lucidità sempre fuori dal comune.
– MM: Quali sono i risultati ottenuti dalle sue battaglie? È davvero importante ottenerne? La sensazione che militanze di questo genere lasciano, spesso, è che il loro vero obiettivo sia lottare più che raggiungere uno scopo.
– NC: Risultati ce ne sono stati tantissimi, ma è una domanda molto difficile a cui rispondere perché uno tende a voler vedere la concretezza pratica e una concatenazione di eventi piuttosto netta. Si deve tener presente che c’è stato tutto un percorso e un processo che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone e tra gli anni Sessanta e Settanta è cambiato tanto, tantissimo, basti pensare ai rapporti dentro la famiglia, la concezione dell’autorità, il privato che diventa pubblico, l’estrema politicizzazione, la controinformazione… sono tutte vittorie che vengono da una guerra in cui però il Movimento soccombe in quanto tale, specialmente quello creativo e pacifico, che è stato il primo ad essere perseguitato con ogni mezzo proprio perché era il più efficace e quello che faceva più presa sulle persone. Poi ci sono i risultati “ipotetici” ma reali… mi spiego meglio: nel ‘73 si scioglie Potere Operaio, nel ‘76 Lotta Continua, alcuni, molti militanti decidono che lo scontro deve essere inasprito e vanno a formare movimenti come l’Autonomia Operaia Organizzata, al tempo stesso nascono molte formazioni armate come ad esempio Prima Linea e molte altre ne sarebbero nate se non fosse nato un Movimento che riassorbisse gli estremismi più violenti. Bifo e il Movimento bolognese hanno veicolato le energie di molti e le hanno incanalate verso la creatività e l’ironia. Faccio un esempio così si capisce meglio: nel ‘76 subito dopo la nascita di Radio Alice, Bifo, che faceva il punto politico nella trasmissione di mezzogiorno, viene arrestato. All’epoca si veniva arrestati piuttosto facilmente sulla base di sospetti più o meno labili; questo ovviamente era un mezzo di persecuzione e dissuasione, considera che la radio inizia a trasmettere il 9 febbraio e Bifo viene arrestato il 15. Arrestare un dirigente nazionale era come accendere una miccia, non ci voleva nulla perché un Movimento si organizzasse per manifestare e la degenerazione in guerriglia urbana era una conseguenza scontata (e voluta, alzare il livello dello scontro legittimava una repressione ancora più violenta). Invece dopo l’arresto di Bifo il Movimento non fa nulla di tutto questo ma si organizza per fare una “festa alle repressioni”, migliaia di giovani portano in piazza dei materassi e la trasformano in una gigantesca camera da letto diramando il seguente comunicato:
«Abbiamo imparato a stare assieme, uniti contro la tristezza di questa
società, il mercato dei piaceri che si rende sempre più puro spettacolo
dei propri riti: la spesa al sabato, il cinema, la famiglia, la prestazione.
Facciamo festa alle repressioni. Prendiamoci la piazza, liberiamo i
desideri dalle galere del quotidiano. La piazza è il palcoscenico, si
metta in scena la repressione, la si esorcizza nel gesto. La piazza è il
luogo fisico dell’incontro, subito dietro lo specchio infranto, subito
dopo le sbarre, divelte. Portiamoci in piazza, portiamo la nostra vita,
rompendo la finzione della rappresentazione del rito collettivo, oltre le
colonne d’ercole, sempre nella contraddizione fine/inizio».
Il tutto ovviamente condito da slogan e scritte che richiedevano la scarcerazione immediata di Bifo.
Poi c’è il discorso dell’arte e della comunicazione, ci sono state delle innovazioni che vanno dalla grafica al modo di fare diretta radio che sono nate proprio lì, è nato un modo nuovo di fare poesia, di suonare e cantare, anche questi sono risultati del Movimento, battaglie vinte, andare contro il sistema, contro il mercato e far si che si adattassero, non è stata una vittoria da poco.
Il Movimento era maturato e così molti degli individui che lo componevano, le forme di lotta si stavano evolvendo e procedevano così velocemente che lo Stato non riusciva più a tenere il passo, era molto più semplice gestire quelli che scendevano in piazza armati, era più facile veicolare l’opinione pubblica contro quei cattivi e facinorosi (si usano sempre gli stessi aggettivi da cinquant’anni, come si può non stancarsi?) in una guerra bipolare in cui lo Stato faceva sempre la parte del buono. Per questo Cossiga ha spazzato via i creativi per primi, perché erano il nemico peggiore, quello che stava dalla parte della gente comune e che la gente comune aveva in simpatia, con cui la gente comune condivideva i pensieri e le opinioni. Radio Alice è stata devastata, a Bologna sono entrati i carrarmati e gli attivisti sono stati arrestati o costretti alla fuga, questo perché stavano colpendo nel segno senza sparare neanche un proiettile.
– MM: Cosa è cambiato rispetto a quarant’anni fa nelle nuove forme di militanza?
– NC: Anche questa è una domanda complicata perché è nel segno della discontinuità, mentre invece il pensiero contestativo si evolve in continuazione, tu pensa che molti del Movimento si vedevano come la naturale prosecuzione storica dei partigiani. Si può dire che è cambiato molto se non tutto. Con la tecnologia a disposizione sarebbe molto più facile organizzarsi, parlare, ottenere; purtroppo dall’inizio degli anni Ottanta è iniziata una spinta culturale di segno opposto a quella precedente e snervatamente costante, il consumo facile e libero di cultura spazzatura ha portato ad una devastazione del pensiero e della consapevolezza politica, rendendola di nuovo come era prima delle lotte operaie. Il bello del Movimento era la partecipazione diretta e attiva presente, tutti erano parte di un qualcosa di più grande, tutti potevano giocare la propria parte. Adesso mi sembra che ci sia un’attitudine a lamentarsi senza fare nulla per cambiare le cose. Prendiamo il Jobs Act, o la riforma del lavoro (non è che se cambiamo la lingua l’oggetto è migliore), ha di fatto smontato molte delle conquiste della protesta operaia, conquiste ottenute a carissimo prezzo con fatica, sudore e sangue, botte, manganellate, tempo di vita e chi più ne ha più ne metta, in Francia è stata bloccata da una vera e propria rivolta civile; in Italia è passata senza che nessuno fiatasse, mentre alcuni erano indaffarati a scrivere post violentissimi su internet ma senza azioni di dissenso organizzato che partissero dal basso, magari da quelli che più di tutti avrebbero subito questa riforma. È un argomento spinoso e difficile perché la precarizzazione porta ricattabilità e scendere in piazza, o fare protesta attiva, può costare soldi e lavoro in un momento in cui il lavoro è merce rara. E qui sta l’inganno; il lavoro è visto come un punto di arrivo, lo scopo, mentre il lavoro è un mezzo, siamo nel circolo vizioso in cui subiamo tutto pur di essere schiavizzati e sottomessi per svariate ore al giorno e così facendo alimentiamo questo processo. Negli anni Settanta si parlava di “liberazione dal lavoro”, di “tempo liberato dal lavoro” e di “Autonomia”, questo era per correggere il sistema dalle sue storture. La nostra generazione accetta angherie perché altrimenti non potrà pagare il mutuo, generare dei figli, pagare l’asilo e conformarsi allo standard di vita che si “deve” avere perché non c’è altra alternativa possibile, ma quello che si dovrebbe imparare dal passato è che l’alternativa è possibile, forme organizzative diverse e parallele a quelle abituali, la cooperazione e l’interazione tra le persone piuttosto che l’individualizzazione estrema a cui siamo orientati.
Avrei difficoltà ad identificare oggi i depositari e portatori di questo pensiero perché è un “Davide contro Golia”, ma non è impossibile, la situazione sembra andare verso una vera insostenibilità e credo che per quanto nascosto, il coraggio ci sia ancora, magari alcuni movimenti si muovono in sottotraccia e si preparano per uscire, la speranza è che vengano riconosciuti e che le persone facciano quello che devono fare, spegnere i computer, i telefonini, ignorare il campionato, la TV spazzatura, Facebook, Twitter e si incontrino fisicamente, iniziando a discutere e parlare di diritti e desideri, di politica, di dignità e di onestà.
Veramente, credo che ormai sia necessario per l’individuo ed è l’individuo che compone la massa, «la felicità è sovversiva quando si collettivizza» diceva Bifo, e lo dico anche io.
Matteo Mammucari
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Tutto ciò sembra così attuale per una preoccupante e fastidiosa distanza di oggi da quello spirito propositivo e ideologico di quegli anni
bellissimo articolo. complimenti ad entrambi gli autori
Ciufferri non smette di stupirci!
Sempre il top!
sembra fantascienza
e riflessioni molto importanti.
splendida intervista di Mammucari….. non so se lo leggerò mai un libro del genere ma lo avrò in libreria. complimenti a Ciuferri
e’ stata una interessantissima lettura fatta in treno …. sempre meglio questo blog.
complimenti a Mammucari.
libri come questi sono studi di buona salute per lo spirito nazionale
concordo col primo commento su come la generazione di oggi sia lontana da quell’ impegno attivo
importante e’ che Ciuferri scriva libri come questo ……………
Tra un film e un altro hai capito il nostro nicholas??? Bellissimo questo incontro con Matteo. Riflessioni importanti in onore di un personaggio immenso come Bifo.
Mancano di questi attivisti …. ogni riferimento …..
in realtà sembrano tempi andati… vedesi il Che su Zalando
da bifo a grillo??? bravo mammucari che ci ricorda invece di certe esperienze
interessante studio di ciuferri…..da leggere e tenere sempre presente davanti ai tg
nostalgia per le vecchie assemblee di istituto
come dice fossati la classe operaia nemmeno la ricordo. stiamo perdendo tutti i diritti da loro conquistati, vedi il job act come ricorda nicholas.
l’unica speranza è quella stessa di nicholas nella possibilità che nuovi movimenti siano ancora nel sottobosco prossimi ad esplodere …. ma?
bellissimo post. complimenti a matteo per la bella intervista