Quando arrivarono gli alieni

L'umanità è pronta a fare affari intergalattici? * [Racconto breve]

Quando arrivarono gli alieni, il 27 febbraio 2019, in un campo di mais nello stato di Carabobo, in Venezuela (perché nella realtà non esistono solo gli Stati Uniti) nessuno se ne rese conto. Nessuna navicella o disco volante, nessun boato ridondante a riecheggiare, nessun impatto, rumore o gioco di luce ad accompagnarne la venuta. D’altronde, le porte interdimensionali erano state inventate apposta per essere silenziose e poco ingombranti, senza destare quelle attenzioni che andavano evitate a tutti i costi. La legge galattica n. 132 comma 5, riguardante le regole di buon costume tra mondi, era chiara: vietato interferire con lo sviluppo tecnologico dei mondi stranieri che non hanno ancora scoperto i viaggi interspaziali. La discrezione era fondamentale. Prese subito le sembianze della popolazione autoctona, i due alieni non persero tempo a indugiare e attraverso il traduttore simultaneo universale si rivolsero con tono deciso al primo indigeno che incontrarono, un granjero di mezza età che stava sbevazzando chicha all’ombra di un albero vicino. Evidentemente la domanda «Chi è che comanda qua?» non fu recepita con le stesse intenzioni, dato che la risposta «mia moglie» non sembrò soddisfare i due extraterrestri, che corressero il tiro: «No, intendiamo dire, in sto mondo chi è che comanda, chi è il capo?». Leggermente sorpreso, l’interrogato ragionò un istante prima di esporsi nuovamente: «Beh, che io sappia, l’uomo più potente del mondo è il presidente degli Stati Uniti d’America». Non avendo bisogno di altro, gli alieni ringraziarono e si misero in cammino per Whashington DC, ansiosi di parlare con il Capo del Mondo.

La loro prima idea fu quella di infilarsi furtivamente in un evento pubblico in cui il Presidente era presente, per analizzarne la stoffa e capire se veramente si trattasse dell’uomo giusto per il genere di affare che avevano in mente. Così fecero, presenziando tra la folla ad un incontro sull’importanza della lotta all’immigrazione clandestina. Furono sufficienti 15 minuti di discorso sterile, farcito da espressioni fuorvianti, numeri e statistiche totalmente decontestualizzati e inseriti a caso in un minestrone di frasi sconnesse ed espressioni facciali quantomeno rivedibili, prima che uno dei due si lasciasse andare ad un commento in alienese – lingua per antonomasia poco forbita e particolarmente terra-terra – che potrebbe essere tradotto con “ma questo è un cojone”. Il primo tentativo era naufragato su un uomo che non poteva in alcun modo essere loro d’aiuto. Era evidente che Donald Trump non facesse al caso loro.

La loro escursione in terra statunitense fece però scoprire loro che i terrestri avevano inventato una forma di comunicazione alquanto singolare che dava accesso a miliardi di informazioni di ogni qualsivoglia tipologia. Bastava semplicemente acquistare una connessione. «Non male davero, questo Internet» – commentò uno dei due – «Ma scusa ‘n attimo, come facciamo a èsse sicuri che tuta sta roba sia per forza la verità?» – «Dai su, ‘sti terrestri non saranno di certo così tonti da metterci apposta della merda dentro – replicò il compare – Non avrebbe senso. Pensaci… Sarebbe controproducente per tutti, se io metto le cazzate, poi la gente se n’accorge, e mi fa il culo». Il ragionamento non faceva una piega, in effetti. Auto convinti e compiaciuti da quel semplice e elementare processo logico, i due andarono su Internet per capire chi effettivamente fosse il Capo del Mondo con cui parlare d’affari. La risposta che raccolsero dalla breve ricerca fu univoca: il loro uomo era Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa.

Arrivati a Mosca con il teletrasporto, i due questa volta scelsero un approccio più diretto, cercando fin da subito un colloquio privato per arrivare fin da subito alla polpa della questione, sicuri ormai che questo Putin fosse la persona giusta. Chiesero dunque in giro come poter parlare col Presidente, riuscendo a racimolare stralci di frasi monosillabiche accompagnate da cenni che indicavano un luogo dall’aspetto maestoso chiamato Kriemli. Giunti sul posto, non fu facile cercare di far capire ai vari funzionari presenti quale fosse il motivo della visita. Effettivamente, esordire con «Siamo degli alieni arrivati per proporvi un grosso affare che potrebbe portarvi guadagni» non fu una scelta particolarmente proficua, tant’è che dopo qualche ora di attesa si presentarono delle fattispecie di gendarmi, imbardati con arcaiche armi da sparo, che li immobilizzarono e arrestarono. Sorpresi da un fare sì deciso, i due inizialmente non opposero resistenza e si fecero trascinare in un luogo spoglio e oscuro, dove vennero a sapere che sarebbero stati intrattenuti fino a tempo indeterminato, in quanto individui sprovvisti di documenti e potenzialmente pericolosi. «Anche ‘sta volta l’abbiamo fatta fuori dal vaso» – commentò uno dei due. «In ‘sto posto sono un po’ troppo aggressivi per i miei gusti. Mejo lasciarli lì dove sono, non mi pare c’abbiano tanta voglia d’avere a che fare con gente da fuori». Una delle grandi lezioni della Storia era stata imparata in mezza giornata.

Non sapendo più che pesci pigliare, decisero di prendersi un po’ di tempo per riflettere e rilassarsi. Sulla Terra si stava molto bene, avevano letto su alcuni volantini turistici che ogni tanto arrivavano per posta intergalattica. Non avendo mai provato i prodotti tipici del posto, vale a dire gli alimenti di origine animale, decisero quindi di recarsi in Italia, a Napoli, per un rapido tour gastronomico nell’attesa di schiarirsi le idee sui prossimi passi da fare per cercare di mandare in porto gli affari.

L’aria salubre e tiepida della città li ristorò, e i due furono incantati dal gusto saturo e intriso di energia delle piccole cose che vi trovarono: la pastosità della pizza, il picco di sapori del babà, la cremosità della mozzarella, l’intensità del caffè. Il tutto accompagnato da un clima amico, mite, che permetteva di osservare il cielo e apprezzare i contrasti dei colori. Quelle pubblicità che tante volte avevano ignorato si erano dimostrate veritiere: sulla Terra si poteva vivere davvero bene.
Mentre gustavano una sigaretta sul lungomare che dà sul Golfo, il discorso si incagliò sugli affari, questa volta con una piega differente: «Scusa n’attimo però – fece uno – Si sta tanto bene qua, come mai che non proviamo a parlare con il capo di sto posto? Magari gli può interessare e facciamo l’affare. E noi veniamo a fare le vacanze qua tutti gli anni». La trovata entusiasmò i due che senza indugi andarono a Roma per parlare con il Presidente del Consiglio dei Ministri Italiano, tale Giuseppe Conte. Le modalità con cui proposero il colloquio questa volta funzionarono, tant’è vero che venne organizzato in tempi brevissimi in gran segreto un incontro in una stanza nascosta a Palazzo Chigi. Rapidamente i due extraterrestri si resero però conto che il Presidente era in realtà accompagnato da altri due figuri, dall’aria non particolarmente scaltra, che ne facevano le veci ogniqualvolta veniva posta una domanda, senza sconti; la cosa però non scoraggiò più di tanto gli alieni, ormai stufi di fare buchi nell’acqua. «Allora signori, la cosa è molto semplice: nel nostro pianeta non abbiamo più voglia di lavorare, però ci serve l’energia. Sappiamo che qua già avete il nucleare: voi fate ‘n botto de centrali per noi, e noi vi ricompensiamo a dovere. Semplice e chiaro».

La proposta prese in contropiede il trio di rappresentanza italiano, che chiese tempo per ragionarci su. Dopo qualche giorno, la risposta che arrivò fu chiara: «Quello che Lor Signor alieni chiedono risulta fuori dalle nostre competenze, la risposta che volete può esservi data solo in sedi differenti, se capite cosa intendiamo dire». Per la verità, gli alieni non afferrarono la lettura tra le righe e fu necessario spiegare loro che in questo Paese, se si vogliono toccare temi importanti come l’energia, o il lavoro, o l’ambiente, non bisogna rivolgersi al Governo, bensì ad altri organi, non riconosciuti ufficialmente, che di fatto gestiscono e mandano avanti la baracca. «Mah, mi pare un po’ strana sta storia – rimuginò a voce alta uno dei due, rispondendo alla triade di Governo – anche sto giro quindi abbiamo cannato. Va beh va, pijamoci un caffè e vediamo di chiudere sta faccenda». Durante le classiche chiacchiere di accompagnamento all’espresso, come va, cosa fanno i figli, che si dice da voi, quanto costa la benzina là… gli alieni cercarono di approfittare del clima conviviale per trovare un appiglio su cui aggrapparsi: «Ascoltate n’attimo – cambiò discorso d’improvviso uno dei due – Ma n’è che ce potete aiutare con st’affare? Non so, non conoscete qualcuno che potrebbe essere interessato… che magari gli piace molto giocare con il nucleare.. magari in un posto isolato, tranquillo… però dev’essere un uomo forte, uno con le palle, che prende le decisioni da solo, non come qua co’ voi due che non si capisce n’cazzo di chi comanda».
La rappresentanza italiana tacque per qualche secondo, come gli studenti impreparati durante le interrogazioni. I tre, in un evidente stallo alla messicana, si guardavano negli occhi con disagio e impaccio.
– «dunque…
Ma in Iran ci sta ancora quello là… Akmanijihad?».
«Si dice Ahmanijedad».
«Akmajidedad».
«Ahmanijedad ti dico».
«Lo pronunci male. Ci sta la K dopo la A».

L’ex senatore Antonio Razzi, che per puro caso passava da quelle parti e aveva origliato la coda della conversazione, evitò ulteriori imbarazzi latrando una frase incomprensibile ma che esprimeva euforia, soffocando nelle proprie parole talmente era eccitato. Agli alieni fu mostrata una foto dal telefonino. «A guardarlo così ‘un me pare proprio una cima manco questo – commentò la coppia extraterrestre – Va beh va.. Famo sto tentativo pure con sto qua..sto Kim».

I rapporti di confidenza tra l’ex senatore della Repubblica Italiana Antonio Razzi e il Leader Supremo della Repubblica Democratica Popolare di Corea, Kim Jong-Un permisero di organizzare un incontro segreto a Pyongyang in tempi brevissimi, che valsero allo stesso Razzi la nomina di Primo Portavoce Ufficiale per i Rapporti Intergalattici della Storia. Kim fu fin da subito molto interessato alla proposta, e i due extraterrestri furono finalmente convinti di aver trovato la loro gallina dalle uova d’oro: «Devo dì che mi sbagliavo su sto tizio. È rapido e diretto, non me l’aspettavo. Me piace». Una volta scesi ai dettagli del progetto, che prevedeva la costruzione di circa 60 centrali nucleari di ultima generazione in cambio di una quantità di oro convertibile intorno agli ottomila miliardi di dollari, sopraggiunsero le prime complicazioni. Gli esperti ingaggiati per la progettazione portarono sul banco il pomo della discordia: non c’era abbastanza spazio.

«Ma scusa eh – reagì d’istinto un alieno, con un dubbio sorgente, infastidito dalle obiezioni – fammi un po’ vedere la cartina per capire di che parliamo». Una volta di fronte alla cruda realtà, ovverosia le reali dimensioni della Corea del Nord rispetto al globo terraqueo, i due extraterrestri cambiarono di colpo registro: «Ma voi quindi non contate un cazzo. Hai voja a fare il grosso quando sei uno sputo di Paese.. Me spiace signori, non si può fare. A noi serve altro, roba grossa. Tipo questa qua che ve sta vicino, questa me pare abbastanza grossa.. come si chiama?».
«Cina».
«Andiamoci».

Il Governo di Pechino fu ben felice di ascoltare la proposta del duo, ma rimuginò molto su cosa chiedere in cambio. Per la Legge Galattica n. 132 comma 5 non era possibile ottenere tecnologia superiore a quella attuale sulla terra, ma gli alieni erano pronti a fornire loro qualsiasi altra cosa: denaro, risorse naturali, forza lavoro. I cinesi però, da buoni affaristi quali sono, contro-rilanciarono chiedendo semplicemente di avere l’esclusiva per qualsiasi tipo di rapporto commerciale qui sulla terra, che si sarebbe poi definito in futuro. In pratica volevano il monopolio sul business alieno. La proposta fu prontamente accettata dai due commercianti, ma al momento di discutere dei dettagli insorse un altro inghippo. I cinesi infatti, per essere sicuri che il patto venisse rispettato, volevano seguire con delle telecamere 24h i movimenti degli alieni, per evitare che si teletrasportassero in altri luoghi del mondo dove avrebbero potuto potenzialmente stringere altri accordi sottobanco. «No no, non se ne parla – replicò seccato uno dei due – Io ho bisogno di girare, di avere la mia privacy… Sta mania del controllo proprio non mi va. Sarete pure grossi ma non è che ci potete limitare così. Ci servono gli spazi nostri, le nostre libertà. Siamo alieni mica fantocci. Se queste sono le vostre condizioni, salta tutto». L’ennesimo tentativo si era dissolto in una nuvola di fumo.

Spazientiti ed esausti, i due decisero di tornare a Napoli per l’ultimo caffè prima di tornare a casa, sul pianeta XYZ.
«Che fallimento. Certo che sta Terra è proprio ‘n posto strano eh. Non si capisce niente, ognuno con i problemi suoi… so’ disorganizzati. Sono ancora molto indietro, andrebbero educati, che ne so».
«Lo sai che c’è? Che non cogli il nocciolo del problema. Il problema non sono loro, poracci. Il problema è sta legge del cazzo qua, sta legge 132, che non ci permette di vendere loro la tecnologia. Così non si può lavorare. Ci tagliano le gambe, capisci. Voi vedere come accettano se je diamo uno dei nostri giochini, che so la telecinesi, o il casco a neutrini… Venderebbero pure la madre. Te dico di più, accetterebbero senza neanche accorgersene, sarebbe un processo del tutto naturale».
«Eh va beh, che ci vuoi fare. Alla fine, se ci pensi, è giusto non interferire con lo sviluppo degli altri mondi. A livello morale, almeno. Rischi di rovinarli, che non si sviluppino bene. Sarebbe come conquistarli. Non so se hai capito».
«Eh e quindi? Guarda che due cose su sto posto le ho lette prima de venire qua. ‘Sta gente ha sempre fatto ‘sta cosa, pari pari. Tra di loro, per giunta. Si fanno a guerra, si sfruttano a vicenda, non imparano. E tu mi vieni a dire che noi non possiamo interferire. Dai su… è ora di liberalizzare tutto. Adesso che ci sta ‘sto nuovo qua, ‘sto candidato… magari che la cancella sta legge demmerda, guarda».
«Staremo a vedere».
«Dammi l’accendino và».

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Raffaele Scarpellini
> Blog: “C’era una volta un Re

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