Antiterrorismo: storia di un biglietto di sola andata

Report esistenziale dal nero califfato

È il 1993, a New York scoppia il primo attentato di matrice islamica. L’obiettivo dall’attacco è il World Trade Center, più comunemente “torri gemelle”. Un furgone giallo viene parcheggiato nell’area sotterranea del complesso, al suo interno quintali di esplosivo e sostanze deputate all’espansione dell’impatto. Sei morti, centinaia di feriti. Il nome, la mente dell’operazione è un certo Youssuf, famoso poi per altre “imprese”, successivamente pupillo di Osama Bin Laden.

I motivi dell’escalation che ha portato all’11 Settembre e alle bombe nella metro di Londra sono da ricercare nell’odio e nella vendetta. Nelle puntate precedenti abbiamo visto come la differenza tra AlQaida e ISIS sia profondamente strutturale. Abbiamo visto come lo Stato Islamico agisca e interagisca. Abbiamo visto come noi Occidentali ancora ci crediamo ricevitori del messaggio del Medio Oriente fondamentalista. I segnali sono ormai chiari, in quasi tutti i Paesi di matrice musulmana si sta consumando una vera e propria guerra civile: sciiti, sunniti fondamentalisti e sunniti riformatori si stanno scontrando nei principali focolai dell’Iraq, Siria, Egitto, Libano, Pakistan e Afghanistan.

 

Torniamo alla guerra, ma questa volta ci spostiamo dal confine siriano a quello libanese. Il Libano è il termometro del MedioOriente e cartina tornasole delle lotte intestine che si propagano nelle zone circostanti. Ogni autobomba piazzata a Beirut è un segno, ogni sconvolgimento sociopolitico è un fatto rilevante.

È mattina presto quando, uscendo dall’hotel in centro mi dirigo verso la stazione degliautobus” (autobus è un sostantivo troppo generoso). La valle della Bekka è il terminale del nostro viaggio. Sorpassando le catene montuose dell’antilibano vedo in lontananza, in basso, la voglia di un Paese che faticosamente sta cercando di farsi carico dei drammi passati per andare avanti. Ma 30 anni di guerra civile, invasioni e massacri non si possono scordare così facilmente e l’odio, come sempre, continua a generare odio. Famiglie contro famiglie, clan contro clan, moschea contro moschea, è un conflitto nel conflitto.

Il Van che ci porta verso Baalbek ha una strana popolazione: due Occidentali e otto donne completamente velate di nero. La valle della Bekka è una visione, altopiano incastonato tra due catene montuose, colture e fertilità dei terreni. A destra la Siria, a sinistra il Mediterraneo, in mezzo la cocaina. Stiamo viaggiando attraverso il fienile del Medio Oriente. Chi controlla queste piante controlla un patrimonio immenso. Ma chi le controlla realmente?

E qui entra un nuovo attore, accennato brevemente nei capitoli precedenti: Hezbollah. Il giallo è il loro colore, sciiti, nemici di Israele e dell’Isis, Hezbollah è ormai non solo un gruppo terroristico, ma un partito di governo nell’instabile governo del Libano.

Dopo vari checkpoint con l’esercito libanese, eccoci al primo del gruppo Hezbollah… ci lasciano passare, siamo a Balbek. La Siria è a 3 chilometri, colpi d’arma da fuoco provengono dalle alture. Un giovane commerciante del luogo ci spiega il suo “tifo” per la formazione paramilitare gialla: «Ci stanno salvando, abbiamo tutti paura che l’Isis riesca ad entrare in Libano, per noi sarebbe un disastro, dovremmo scappare». Tuttavia, anche leggendo le testimonianza di giornalisti che hanno fatto il salto in Siria, probabilmente i colpi che sentiamo sono depistaggi che il gruppo libanese fa per riuscire ad entrare con più uomini possibili nelle città oltreconfine. Della serie “spari qui ed altri si intrufolano a 3 km di distanza”. Ma a chi sparano? Non certo ai soldati del califfato. Sul confine ci sono due formazioni, in lotta anch’esse tra loro, l’esercito regolare di Assad e l’esercito libero siriano.

Hezbollah sta creando un cordone di controllo sul confine nell’eventualità che l’ISIS riesca ad entrare a Damasco. La valle della Bekka sembra essere troppo importante. Immaginate il traffico di cocaina/hashish cosa potrebbe portare a chiunque lo controlli… soldi, soldi e ancora soldi. Già una volta nel passato gli Stati Uniti erano riusciti, tramite l’intervento di Assad, a debellare la coltura che stava inondando le piazze di mezza Europa e mezza America. Ma ovviamente le alternative per i contadini libanesi non sono così attraenti.

Un altro lato della guerra è l’interesse

Davide Lemmi

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9 Comments

  • Un’interrssante punto di vista diretto sia dai luoghi che da una coscienza critica e lucida…
    Complimenti a Lemmi!

  • Ottimo post. Lucido e provocatorio per molte coscienze annebbiate qui da noi. La guerra tra famiglie, la secolare guerra di mafie dai mille nomi e da inconfessabili interessi. Una prospettiva diversa per capire il caos che si sta sviluppando in Medio Oriente….e dove non c’è una coltivazione di stupefacenti c’è il petrolio, come in Nigeria, no?

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