Andrea

Racconto breve di Giuseppe Cetorelli

D edicato al piccolo Andrea

Agosto 2011

 

 

E così accadde che la saggezza si ritrovò a palpitare in un piccolo corpo.

 

Di là tra gli alberi si intravedeva il mare e il suo respiro maestoso lo si poteva ascoltare da lontano, su di una prospiciente collina.

Lei era seduta su una roccia simile ad un capitello abbattuto dal tempo e osservava suo figlio; come tutte era attenta ad ogni atto che il fanciullo compiva e alle volte lo richiamava, come usa fare una buona madre. Il piccolo se ne stava seduto e con le mani impastava la sabbia, si alzava, giocava, saltellava qua e là poiché imitava un gruppo di bambini più grandi che giocavano ad acchiapparsi, e puntualmente c’era uno che si faceva male.

Lei era pensierosa, il marito era fuori per lavoro e non poteva trascorrere la vacanza con loro. Di tanto in tanto le inviava dei saluti originali che lei apprezzava molto. Come quella volta che ad una cena si fece precedere da un biglietto con su scritto: “Non c’è né cielo né terra, né vette né abissi, ci sei solo tu”. Sorrideva sempre leggendoli. Avere un compagno sensibile e intelligente era una gran fortuna… si sentiva privilegiata.

Alzò gli occhi e suo figlio non c’era più, gettò un sguardo rapido sulla battigia ma il Sole e i riflessi dell’acqua impedivano la visuale, allora decise di avvicinarsi.

“Dove si sarà cacciato quel monello -pensava”. Poi lo riconobbe da lontano vicino ad una fonte a ridosso della spiaggia. Era lì che guardava gli uccelli abbeverarsi e li additava emettendo una incomprensibile sillaba gutturale, come fanno i bambini nella fase della lallazione.

Il bambino cominciò ad avvicinarsi ogni giorno a quella fonte e si divertiva un mondo a parlare con gli uccelli.

Poi gli uccelli sparirono e qualcuno tolse i pesci che vi nuotavano. D’un tratto il piccolo perse tutto il suo interesse e la mamma si domandò perché.

L’ultimo giorno di vacanza decise di andare a quella fonte, non si era mai avvicinata troppo; prese il bambino per mano ma quando egli capì che lo portava lì, cominciò a piangere e a tirarla indietro.

Faticò non poco per avvicinarsi, voleva bere un sorso d’acqua e poi tornare indietro dove il marito, libero dal lavoro, l’aspettava.

Riempì la bottiglia e la portò alla bocca, quando con un colpo dal basso verso l’alto il figlio la fece cadere a terra. Pazientemente la donna riempì di nuovo la bottiglia, ma ancora una volta il piccolo impertinente la rovesciò. Decisamente spazientita ripeté l’operazione per la terza volta e il monello, incorreggibile, le impedì nuovamente di bere.

-Ma allora lo fai apposta! – urlò la donna fuori di sé, e strattonò il bambino, facendolo cadere sopra un sasso che spuntava dalla sabbia lasciandolo piangere. Tornò poi a colmare la bottiglia, ma giunse un uomo trafelato:

-Non beva, non beva! Un pazzo ha avvelenato quest’ acqua!

La donna non bevve, abbracciò il figlio e accarezzandolo disse: -Capisco troppo tardi quanto valeva l’ostinazione di mio figlio!

Tornò indietro consapevole della lezione che il piccolo le aveva dato.

Salutò il marito, ma non gli disse nulla.

Lui le regalò un libro su cui era vergata una dedica: “E’ buio il mattino che passa senza la luce dei tuoi occhi”.

di Giuseppe Cetorelli

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