“Agosto è il mese più freddo dell’anno” – 11

“Agosto è il mese più freddo dell’anno” (da una canzone dei Perturbazione) è un racconto a puntate. In un torrido giorno agostano, i personaggi qui raccontati, sono coinvolti in una rapina al portavalori. Questo il contesto: il quartiere di Montesacro, tra Tufello, Talenti, Valle Melaina, San Basilio, Fidene, Porta di Roma, Podere Rosa; gli ambienti sono: case popolari, Bar, parcheggi, muretti, scale di condominio, stradoni, buche e cantieri. Come sfondo alla rapina, si parla di amicizia, d’amore, e tra le righe qualche citazione: Pasolini, Calvino, Flaiano, Queneau e Ionesco. Una storia da Nulla, nel Nulla. Un luogo dove i personaggi affrontano le vite come se fossero in uno sceneggiato televisivo, perché qui i Media e la Tv sono l’Ara della cultura, e la legalità un mero punto di vista. Montesacro nel racconto è un luogo dove si dorme, si vive, si muore, soli.
In ogni parte del racconto troverete un link di un brano idoneo a fare da sottofondo alla lettura

Non si uccidono così anche i cavalli?

Nota musicale:

Lucia passa tra le casse del supermarket, poi si avvia al desk clienti dove sta Cinzia (così scrive sul cartellino).
Lucia: «Tutto a posto?».
Cinzia: «Si bene, c’è ancora poco da sistemare».
Lucia: «È il viaggio di nozze?».
Cinzia: «Mi sono organizzata con l’agenzia due settimane alle Seychelles».
Lucia: «Bello», sospira.
Cinzia: «Si ma non sai che fatica i parenti».
Lucia: «Il vestito, la suocera, le amiche, sì ci sono passata».
Cinzia: «Una cosa semplice».
Lucia: «Impossibile, diciamo sempre così; senti Cinzia, io non vorrei dirtelo ma qui nel supermercato tira una brutta aria».
Cinzia: «Cosa mi vuole dire?».
Lucia: «E che se ti sposi e rimani incinta non ci penseranno due volte a metterti fuori. Dovresti parlare con Marco non passa un buon momento. Stai attenta». Cinzia sta per piangere.
Si avvicina una signora al bancone del desk: «Mi scusi signorina». La distrae: «Prego». La signora inizia a parlare…
Lucia al desk del supermercato prende il microfono: «Si avvisa la gentile clientela che il supermercato sta per chiudere, e di affrettarsi negli acquisti e avvicinarsi alle casse».
Riceve un messaggio sul cellulare, lo apre: «Sono qui». Lucia sorride: «Perfetto che tempismo».
Arriva Marta trafelata: «Eccovi l’ho trovata. È successa una cosa strana, venga presto, non sappiamo che fare».
Lucia: «Dove?».
Marta: «Alla cassa ventisei».

Al tramonto Gianni arriva all’ingresso principale. Fuori sulla sinistra una mendicante Rom con prole. Matteo gli batte sulla spalla.
Gianni gli chiede incuriosito: «Ohi, e tu sei Matteo, vero?».
Matteo: «Mi dai qualche spiccio? È per Spartaco».
Gianni: «Spartaco?».
Matteo: «Spartaco – indica un carrello – lo vedi ha la catena?».
Gianni: «Io mi ricordo di te, sei Matteo non stavi in marina?».
Matteo: «Può darsi».
Gianni: «Come sei finito qua?».
Matteo: «Ci vivo».
Gianni: «Tieni, un euro, magari mangi qualcosa».
Matteo: «Se me ne dai due libero un altro carrello».
Gianni: «E sia due euro, ma perché i carrelli?».
Matteo: «È una storia lunga, non li posso vedere incatenati, mi disturba».
Gianni: «Un’altra volta la voglio sentire». Gli da gli altri due euro e si allontana.

Matteo libera davvero un carrello. Ci pone dei pallet, con quelli inizia a montare un palchetto. Recupera una scala, gira delle luci che attacca a una centralina e improvvisa un palco come quelli di Hide Park. Si stiracchia il collo poi schiarisce la voce, guarda fronte a sé, apre il petto e declama: «Tratto da “Rinoceronti di Ionesco” – colpo di tosse – Silenzio!!! – pausa inchino – “In fondo un uomo non è poi tanto brutto! E dire che come uomo non sono una bellezza. Credimi, Daisy! Non farai anche tu questa pazzia! Torna indietro, Daisy! Non hai mangiato… Daisy, non lasciarmi! Me lo avevi promesso! Daisy! Daisy!… Se n’è andata così, senza una parola… Non è il modo di fare! E adesso sono proprio solo. Ma non mi arrendo! Capito? Non mi arrendo!”». Guarda verso il centro commerciale. Alza il braccio lo indica e come fosse cicerone allunga la mano verso un pubblico di carrelli. «”Lo vedete il padre dei rinoceronti? Il vostro aguzzino? Non è lui. Non è lui. Sappiatelo Non vi seguirò mai, non vi capisco! Resterò quello che sono… un essere umano. Un essere umano! Povera bambina abbandonata in questo mondo di mostri! Nessuno può aiutarmi a ritrovarla, nessuno, perché non c’è più nessuno! Nuovi barriti, corse sfrenate, nuvole di polvere. Non voglio sentirli Non c’è altra che tentare di convincerli… già, ma convincerli di che? E queste metamorfosi, saranno reversibili? Eh? Saranno reversibili? Per convincerli, bisognerebbe parlare con loro… Ma per parlare, dovrei imparare la loro lingua… O forse loro impareranno la mia? …che lingua parlo, io? Qual è in realtà la mia lingua? È italiano, questo? Che cos’è poi l’italiano? Possiamo anche chiamarlo italiano, se vogliamo, tanto nessuno può contraddirmi: sono solo a parlare. E se, come diceva Daisy, fossero proprio loro ad aver ragione? Eppure un uomo non è brutto, un uomo non è brutto! Chissà mai a che cosa assomiglio… Fotografie! Ma chi sono tutti questi tipi?! No, non sono bello, non sono per niente bello! Sono loro che sono belli! Avevo torto! Ah, vorrei essere come loro! Non ho niente in testa, neanche un corno! Com’è brutta la mia fronte così piatta, liscia… ci vorrebbero un corno o due, così anche i miei tratti risalterebbero meglio… Chissà, forse spunteranno, e allora non mi sentirò più così umiliato, potrò andare a raggiungerli… Ma no… le corna non spuntano… Le mie mani sono sudate… che schifo! Chissà se diventeranno grosse, rugose… Ho la pelle tutta flaccida. Questo corpo così bianco e peloso! Come vorrei avere una pelle ruvida, e quel magnifico colore verde scuro… come vorrei avere un nudo decente, senza peli, come il loro! (Ascolta i barriti) Il loro canto è attraente, forse un po’ rauco, ma certo attraente! Se potessi anch’io cantare così! (Cerca di imitarli) Aah! Ah ! Brr! Brr! No, non è così! Proviamo più forte! Aah! Aah! Brr! No, non è così! Non riesco a barrire! Urlo soltanto! Aah! aah! Brr!… ma gli urli non sono barriti! Come mi sento in colpa! Avrei dovuto seguirli quand’ero ancora in tempo! Troppo tardi, adesso! È finita, sono un mostro! Sono un mostro! Non diventerò mai più un rinoceronte, mai, mai, mai! Non posso più cambiare. Vorrei, ma non posso, non posso! E non posso più sopportarmi, mi faccio schifo, ho vergogna di me stesso! Come sono brutto! Guai a colui che vuole conservare la sua originalità! E allora, tanto peggio! Mi difenderò contro tutti! La mia carabina, la mia carabina! Sono l’ultimo uomo, e lo resterò fino alla fine! Io non mi arrendo!Non mi arrendo!”».
Matteo fa un inchino Una signora con carrellino applaude: “bravo bravo”.

Squilla il telefono, Riccardo davanti ad un monitor con le scommesse guarda, prende la cornetta: «Si, pronto».
Gianni: «Vedi che ti vedo Mr. Pink».
Riccardo: «E basta, non ti sopporto più».
Gianni: «È dai sono quassù, comunque ancora mezz’ora, che stai a fa?».
Riccardo: «Guardo i risultati, se le stamo a pjà, dai ancora dieci minuti poi scendo».

Nota musicale:

Umberto D.

Giancarlo guarda le casse, si vede gente che scappa, un po’ di trambusto. Sorride velocemente, sale le scale, arriva alla porta della sala di controllo del supermercato, entra.
Giancarlo: «Ciao Fra’».
Maurizio: «Ciao, meno male che sei arrivato prima».
Giancarlo: «Che succede?».
MAurizio: «Boh, sotto c’è un po’ di maretta, sembra che uno alla cassa abbia dato di matto e stiamo in chiusura, se non ti dispiace vado giù a vedere».
Giancarlo: «Non c’è problema, se vuoi vado io».
Maurizio: «Non penso che sia un grande problema e poi è nel mio di turno, ci sentiamo fra cinque minuti».
Giancarlo: «Va bene, se c’è problema fammi sapere».
Maurizio: «Ah vedi che sono guaste due camere – indica i monitor – Ho fatto la segnalazione stamattina ma non verranno prima di martedì mattina a vedere. Io intanto scendo».
Giancarlo: «Dai me lo dici dopo». Si siede e fa segno con la mano tipo ok.
Maurizio: «Vado», e si tira la porta dietro uscendo.

Davanti alla cassa 26.
C’è una folla che guarda un uomo armato di coltello in piedi su di una cassa…
Pino è un uomo di una settantina di anni con un coltello alla gola, minaccia il suicidio, degli steward tengono sotto controllo la gente che viene allontanata velocemente. Nel mentre le altre casse smaltiscono la fila normalmente.
Lucia si avvicina ad una cassiera: «Che succede?».
Cassiera: «Stava pagando quando gli hanno detto che la sua carta era scarica, ha preso un coltello da cucina e s’è l’è piantato alla gola… e dire che aveva anche un aspetto così distinto». Lucia cautamente si avvicina al professore. Pino (il professore ) la vede, punta un coltello da cucina e le sgrida «Non si avvicini lei o faccio una strage, anzi perdoni.. mi uccido».
Lucia: «Stia calmo non faccia sciocchezze , piuttosto mi dica cosa le è successo. Sono il direttore».
Pino: «La misura è colma – trema – La mia pazienza la mia esasperazione sono al limite del possibile. La sua macchina, la sua intelligenza artificiale non mi riconosce. Ma io, sa, ho una reputazione seria. Come è possibile che non mi riconosca. Io sono il professor Antonino Pino Macri, sono stato un insegnante del Giulio Cesare, mi conoscono tutti. Come fa un computer, un calculateur deficienza artificiale a permettersi di dire che non mi riconosce… che non ho più credito, dopo quarant’anni di onorata carriera… e che ne sa lui di me? E cosa ne sapete voi?».
Lucia: «Stia calmo ragioniamo».
Arriva Maurizio il vigilantes, guarda rapido Lucia, estrae la pistola. Alza il cane prende la mira. Lucia gli pone la mano sulla pistola e gli fa abbassare le braccia: «Non ci si metta anche lei a fare stronzate».
Poi rivolgendosi a Pino: «Professore si calmi non è successo nulla. Stia tranquillo».

Interno supermercato nella stanza dei monitor, la stanza è vuota.
Parcheggio B: all’interno dell’auto nera. Appoggiati al cruscotto Gianni e Riccardo tirano di cocaina. Gianni: «Buona».
Riccardo: «Me l’hanno data ieri sera».
Gianni: «Sarà tagliata con la calce».
Riccardo: «No è buona tranquillo».
Si girano e vedono aprirsi la porticina di sicurezza di fronte loro.
Suonano entrambi i telefoni messaggio. “Ora”; si guardano, escono veloci e prendono la borsa e gli attrezzi, lasciano la radio accesa, e di corsa entrano in un vano di cemento, i corridoi esterni del centro commerciale, passando davanti a Giancarlo che con il dito verticale al naso gli fa cenno di fare in silenzio.
Alla cassa 26.
Lucia: «Professore io ad esempio la conosco. Vede mi riconosce, io sono stata una sua allieva una ventina di anni fa».
Pino: «Dice davvero?».
Lucia: «Si, lei è una persona stimata, qui in città, e da me soprattutto».
Pino: «Ahhhah, vede, mi da ragione, ma non la ricordo, che classe era?».
Lucia: «Io sono del 76, quindi nel 1991 corso C».
Pino: «Non si avvicini. Tanto il problema resta. Il problema è di come faccio a tornare a casa senza la spesa. Cosa dico a mia moglie. Ho troppa vergogna meglio morire – si spinge il coltello alla gola – meglio morire».
Lucia: «Non si preoccupi rimango qui, ora però faccia il bravo, ci mandi a casa tutti sereni, le faccio credito io, poi fra un paio di giorni mi riporta i soldi con tutta calma, quando le rimane comodo, se vuole la faccio accompagnare da uno dei nostri fattorini, ma la prego lasci quel coltello».
Pino: «Non ci casco, ora mi riportate in ospedale e io non ci voglio tornare».
Lucia: «Ma no, la riportiamo a casa, così fa una bella dormita e si riposa, e vedrà che domani andrà meglio. Le cose le sembreranno più chiare».
Giancarlo al suo posto osserva la scena dal monitor. Prende il cellulare e manda un SMS: “Ok”. Il professore Riceve un messaggio sul telefonino, lo guarda: «Scusate è mia moglie, mi aspetta a casa». Detto ciò consegna il coltello: «Scusate sarà stato il caldo, posso pagare in contanti, Signorina?». Lucia e la guardia giurata rimangono basiti.
Pino: «La carta sarà scaduta, mi spiace per la confusione. Da quando sono in pensione ho sempre più spesso dei forti mal di testa. Non è che qualcuno ha bisogno di ripetizioni di matematica o filosofia? Sapete insegnavo questo».
La cassiera gli porge lo scontrino e il professore paga il conto: «Signorina questo non lo prendo, lo posso lasciare qui?», le indica il coltello. Lo gira sulla lama e lo da alla guardia giurata dicendo: «Lo tenga lei, la prego». Presa la busta si avvicina a Lucia, le porge la mano: «Mi scusi signora, sarà il caldo, le medicine per la pressione e gli antistaminici, la testa mi fa degli strani scherzi, spero che non comporti conseguenze questa cosa».
Lucia: «Nulla, non si preoccupi, la faccio accompagnare a casa».
Pino: «Non serve, vado a piedi, abito proprio qui di fronte, sa da un po’ non ho più la macchina ed è meglio così».
Lucia: «Stia bene professore».
Pino: «Grazie, mi scusi che non la ho riconosciuta ma sono passati tanti anni».
Pino si allontana seguito dal vigilantes, con la mano sul calcio della pistola.

di Daniele De Sanctis

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