La crescita ‘impegnata’ di Motta: intervista esclusiva!

Motta non rinuncia all'impatto e alle asperità del rock, ma guarda in direzioni e mondi diversi... ricamando il tutto insieme a importanti collaboratori come Riccardo Sinigallia

Anima e penna dei Criminal Jokers, Francesco Motta, alla soglia dei trent’anni, decide di mettere il faccione in primo piano in copertina e tirare su un disco “indie-rock”, con testi in italiano, come non se ne vedevano da un po’. “La Fine dei Vent’Anni” è la scoperta dell’età adulta, la malinconia della fine della “prima” giovinezza in vista di un nuovo inizio: Francesco indaga i suoi anni passati, con piglio e atteggiamento deciso, senza farsi travolgere dal cinismo. Un disco pop ma “impegnato”, ruvido ma comunque leggero.

Qui mi ha spiegato perché le chitarre sono ancora belle in un’epoca come la nostra.

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“La Fine dei Vent’Anni” è il titolo del tuo disco. Ma che cosa è veramente finito? E che cosa inizia ora?

Non è finito nulla, sono in mezzo ad un flusso in cui iniziano altri modi di incanalare le energie.

 

Come hai vissuto il progetto e la stesura di un disco solista dopo gli album con i Criminal Jokers? Che differenze hai percepito?

Sono stati anni di lavoro duro, sono riuscito ad arrivare in fondo proprio perché non ero da solo. La mia ragazza, i miei genitori, i ragazzi di Woodwoorm e ovviamente Riccardo Sinigallia sono stati indispensabili. Sono cresciuto ed era normale che venisse fuori qualcosa di diverso da quello che avevo fatto prima.

 

È possibile dare un’etichetta di genere al tuo lavoro? Dove lo collochi?

È un disco pop di musica italiana fatto con assoluta libertà.

 

Da tempo vivi a Roma. Il tuo album pare nascere quasi in antitesi a quella che molti definiscono “scena romana”, fatta da artisti come Niccolò Contessa, Calcutta, Tommaso Paradiso etc.. Sembra quasi riprendere una grammatica, per certi versi, impegnata e seria che, in verità, da un po’ non si sentiva in questo ambiente. Tenendo ovviamente conto del personalissimo percorso di ogni artista, come giudichi questa cosa?

MOTTA--claudia-pajewskiÈ il mio modo di lavorare. Sono certo che questa grammatica impegnata e seria porti ad una leggerezza molto presente nei miei brani. Gli altri che hai nominato hanno un modo di lavorare diverso, ognuno ha il suo e nessuno è sbagliato. Devo dirti che riguardo a questa “scena romana “ di cui tanto sento parlare, forse non tutti si sono resi abbastanza conto di quanto sia stato importante Riccardo Sinigallia. Io ci ho lavorato e adesso lo so.

 

Quali sono i tuoi ascolti?

Dipende dai periodi. In questo momento sto ascoltando tanta musica italiana. Sono andato al concerto di Salmo all’Orion e ne sono rimasto molto colpito.

 

Quanto e come è stato importante proprio Riccardo Sinigallia, produttore del disco?

Molto di più di quanto riesco a spiegare nelle interviste.

 

Ho letto che per alcuni tuoi pezzi non hai usato un’accordatura standard con il La a 440Hz. Che tipo di accordatura hai, quindi, usato? Un’accordatura aurea a 432Hz?

No, su l’accordatura aurea mi sono documentato, ma non mi hanno convinto abbastanza le cose che ho letto. La trovavo comunque una scelta molto occidentale. Cinque dei brani de “La Fine dei Vent’Anni” sono stati suonati con accordature diverse fra loro che vanno dai 430 ai 450 Hz. È stato complicato ma ne è valsa la pena.

 

Sei pisano. Ti senti, in parte, figlio di quella tradizione new-wave tutta toscana che vede in figure come quella di Federico Fiumani dei padri fondatori? Se non in tutto e per tutto, credo tu abbia introiettato nella tua musica quella malinconia toscana, tipica di quel periodo. È così?

Amo quel tipo di malinconia e amo la Toscana. Negli ultimi anni purtroppo non vado molto fiero di quanto la toscanità sia entrata nella politica e nella televisione. Spero di essermi spiegato.

 

Cosa fai la sera prima di andare a letto?

Dipende da quello che devo fare il giorno dopo.

 

Come ti vedi a 40 anni?

Sto provando a non pensarci perché sono felice.

 

Domenico Porfido

Foto: Claudia Pajewski

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