“Whiplash” e…

Affinità e divergenze tra il compagno Fofi e noi

.«Un intero secolo di malgoverno e assoli di batteria
non se ne può più.
La rullata libera somiglia a un capitombolo per le scale
ma che senso ha?».
(Max Gazzè – “Adesso Stop”)

 

Goffredo Fofi è di Gubbio, se ne è andato intorno ai vent’anni in preda alla febbre socialista, fino in Sicilia per combattere battaglie non sue, poi in qualche modo incontra Raniero Panzieri, va a Torino e scrive libri di indagine storico-filosofica di importanza incredibile per chiunque si occupi di contemporanea e di post marxismo. Si è riconciliato con Gubbio da qualche anno, ha anche regalato un fondo alla bellissima biblioteca (forse la più bella che io abbia mai visto).
Io sono originario di Gubbio, con un orgoglio a volte anche improprio (forse), appena ho potuto me ne sono andato al nord (Europa) per studiare proprio gente come Fofi (con il quale ho parlato giusto un paio di volte al telefono), in un momento in cui gli ultimi riverberi della contestazione scivolano sugli scudi del nazismo finanziario.
Tra le varie riviste su cui ha scritto Fofi c’è anche “Ombre Rosse”, che scriveva di cinema con un approccio diverso, un punto di vista inedito e fuori dal coro. Era un momento in cui essere fuori dal coro era veramente originale, il boom economico, il conformismo.
Non c’erano gli hipster ad esempio, veramente, cazzo, era molto più facile.
Io ho scritto di cinema su testate nazionali, giornali per parrucchiere, blog e al momento Ukizero, perché la libertà è una bella cosa se ti guadagni da vivere facendo altro.
Tra la generazione di Fofi e la mia cambiano le possibilità, il buon Goffredo si è fatto un gran mazzo, si è sbattuto, si è messo in gioco, ma in un periodo in cui comunque c’era una soluzione, in cui un lavoro c’era a prescindere anche se eri un contestatore. È la generazione che ha gettato le basi della nostra disfatta, tutti i discorsi sul rifiuto del lavoro che poi alla fine hanno fatto da zerbino al capitalismo torreggiante sullo stallone del precariato.
C’è anche un’altra differenza fondamentale tra le due generazioni ed è quella per cui la generazione di Fofi era incazzata, la nostra è frustrata. La depressione sociale in cui viviamo porta a compiacerci della nostra sfiga e della velleità di ogni eventuale azione di protesta (quindi perché intraprenderla?).
Ecco, Fofi e gli altri come lui volevano un mondo migliore e ci hanno provato, però hanno perso, il problema è che la loro battaglia si è ripercossa su di noi che siamo ben lontani dal prendere le armi della contestazione in mano (e se non lo facciamo noi, chi lo potrà mai fare?).
E invece dovremmo alzare la testa dagli smartphone, spegnere Sky e quella cazzo di Tv e andare in piazza, smettere di avere username e riprenderci dei soprannomi, anzi, farceli dare dagli altri che altrimenti è come barare, dovremmo smetterla un po’ con questa vita 2.0 e tornare a quella vera, quella analogica quella in cui i film si cercano anche al cinema e non in streaming, quella in cui le riviste si sfogliano e si portano al parco così come al bagno, la vita in cui c’è il contatto con la realtà e non la fredda luce di uno schermo (perdonatemi la situazione paradossale per cui lo scrivo proprio su un blog…).
Secondo me è riprendendo il contatto, guardando le persone e non il loro avatar che si ricomincia a vivere e vivere implica volere una dignità e alzare la testa da questi cazzo di schermi per vedere che oh.., il mondo alla fine è bellissimo e potrebbe essere magnifico se lo rendessimo anche vivibile, ma lo dobbiamo fare noi, perché le multinazionali non lo faranno (non sono loro che comandano nell’Impero?), per loro siamo solo dei numeri senz’anima, e invece l’anima c’è, eccome.
Ma in fin dei conti dovevo parlare di “Whiplash“; il fatto è che Fofi ha scritto proprio una bella recensione che rende del tutto superflua la mia. Che poi in realtà all’inizio volevo fare un parallelo tra la mie a la sua, che trovate qui.

No vabbé, davvero pensavate che non avrei scritto neanche due righe sul film? Che avrei demandato tutto a Fofi? Ma che scherziamo? Con tutto il rispetto per Fofi, eh!
Il film è bello, destra, sinistra o quello che ti pare, racconta una storia e la racconta bene, per quanto a me il Jazz non piaccia e soprattutto mi faccia venire l’orticaria quello della big band, questa pellicola scorre bene a livello video e audio, tecnicamente ineccepibile, fotografia coerente e interpretazione ottima da parte di tutti gli attori.
È un film sull’avere un sogno e sacrificare tutto sull’altare di questo sogno. Ed è un film di destra, anzi è un film capitalista perché dice che se tu vuoi eccellere, se vuoi diventare il numero uno allora il talento e la bravura non bastano, devi sgomitare, camminare sopra gli altri, creare la tua occasione, devi vivere per essere il migliore. E sti cazzi di tutto il resto: della tua vita, dell’amore, delle altre persone, che poi alla fine tenderebbero ad essere degli esseri senzienti e con una gamma di emozioni piuttosto varie.
Che cos’è il dolore di fronte alla gloria?
Ma alla fine è un’ottica da capitalista o da egoista? O da deviato mentale?
Lascio la questione aperta per chi vuole usare un po’ di ideologia, tipo Fofi.
Piuttosto mi hanno colpito un paio di cose (qui spoilero qualcosina). Ma perché Simmons rompe tanto le scatole solo con la batteria? Che poi lui nel film è un pianista e, tra l’altro, l’unico momento in cui suona fa si e no 15 note?
Ha tutta un’orchestra da torturare eppure gli piace prendersela con i batteristi, chissà perché i contrabbassisti sono immuni? Perché il fiatista timido deve essere cacciato in malo modo mentre quello che non si accorge di sbagliare ogni singola nota se la cava con un sorrisetto?

È un film piuttosto credibile nella sua finzione, ma ogni tanto inciampa, insomma è umano, però quello che proprio non mi va giù è che la musica è ridotta a freddo calcolo, viene spogliata da ogni sentimento, da ogni emozioni e portata alla condizione di scienza esatta, senza se e senza ma. Un po’ come quando le persone diventano numeri e devono solo svolgere una funzione…
Però bisogna ammettere che la costruzione della scena finale è magistrale (così come tutta la dinamica del lungometraggio) e porta a quella resa dei conti che si attende per tutto il film… anche se… anche se… anche se porta una sorta di riappacificazione, di catarsi, di comune soddisfazione.

E chiudo con una citazione:
«La resa dei conti non è come la immaginavo».
Luther Blisset, ma forse oggi si potrebbe dire Wu Ming, Q.
P.S.
Comunque anche i The Pills hanno ragione (altri spoiler).

 

Nicholas Ciuferri

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9 Comments

  • un sergente maestro della vecchia generazione per ragazzi frustrati di oggi , un finale epico

    ma siamo capitalisti o egoisti?

  • e’ la corsa dei topi , citata da Fofi e sottolineata appunto da Ciuferri , e’ proprio quella logica capitalista che usa l’ ego per i propri interessi, e che ha creato lo scenario dei precari di oggi .

  • .. e quindi american sniper e whiplash sono film di destra … ma? si fa cinema o propaganda politica? oppure i critici devono dire “qualcosa” ???

  • il problema è che ogni comunicazione ha un sottotesto più o meno significativo in un senso, spesso a senso unico

    questa analisi ci puo’ stare anche se oggi se si lotta lo si fa per una passione personale (sempre piu’ rare). prima ci si doveva sistemare con il lavoro della vita ,oggi il lavoro non c’è… e si lotta sempre meno

    sempre bravissimo il nicholas!

  • Grazie Ukizero! Un buon modo per chiudere la serata. devo ammettere che io amo il jazz!

    Quale è il maggior problema della nostra società? Semplice!! Non nascono più eroi!

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