Intervista a Sabina Moretti, autrice del romanzo storico “Il tempo del tamburo”

Sabina Moretti (Roma, 1960) è una violinista di professione e docente di violino presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Alla passione per la musica ha sempre accostato quella per la lettura, vagando tra saggistica, letteratura noir e fantascienza. Ha pubblicato i romanzi “La famiglia Zulu” e “Il tempo del tamburo” e le raccolte di racconti “In crescendo… dal silenzio” e “I solitari”

  • Di cosa tratta la sua opera “Il tempo del tamburo”? In che periodo storico è ambientata?

Il Tempo del tamburo è ambientato nella preistoria, alle soglie del neolitico. Attraverso la storia di una bambina, ho voluto mettere in scena la vita sociale e interiore dell’essere umano di quel tempo, prima della Storia documentata.

  • Come è nata l’idea alla base del suo romanzo? Vi sono state delle letture in particolare che l’hanno ispirata?

L’idea è nata mentre leggevo dei saggi di antropologia, argomento che mi interessa molto. Mi sono domandata come fosse la vita delle donne in quel tempo remoto. Mentre cercavo un luogo dove ambientare un possibile racconto, attraverso l’antropologia mi sono imbattuta nella scoperta del sito archeologico di Göbekli Tepe, nel sud della Turchia. Il primo scavo è dell’archeologo Klaus Schmidt che ha raccolto il diario del suo lavoro nel libro ‘Costruirono i primi templi’, edito da Oltre Edizioni. A quel punto avevo in mano la storia. Ho approfondito alcuni aspetti attraverso altre letture antropologiche e poi ho iniziato a scrivere. La mia ambientazione è ispirata al sito archeologico di Göbekli Tepe, ma non si svolge in quel posto: per motivi drammaturgici e simbolici, e anche per non fare un ‘copiato’, ho localizzato il racconto alle falde del monte Ararat -utilizzando l’antico nome di Urartu- la dove nasce l’Eufrate.

  • Oltre ad essere un’opera di narrativa storica, il suo libro può essere anche considerato un romanzo di formazione. Seguiamo infatti il processo di crescita della giovane protagonista, Hay. La ragazzina, una volta diventata grande, sarà una sciamana: era davvero possibile per le donne rivestire quel ruolo alla fine del mesolitico?

Sì, lei ha ragione, si può definire un romanzo di formazione, anche se non l’ho pensato così. Ma non mi dispiace affatto! La storia, inventata, di Hay, inserita in un contesto ricostruito, spero in modo sufficientemente realistico, è una possibile storia di formazione al femminile. Quello che volevo provare a mettere in risalto è proprio la condizione femminile prima della storia narrata. Quindi, sì, una donna poteva diventare sciamana: siamo ancora in un mondo animista, dove le ipotesi ultraterrene si stanno facendo strada.

  • Dalla sinossi del romanzo: “È una storia al femminile, dove Hay rappresenta uno dei possibili eventi che la tradizione storica narrata o documentata ha voluto dimenticare, ma della quale, leggendo tra le righe della mitologia e della storia, si possono trovare tracce concrete. Un racconto di come le donne hanno, in un giorno remoto, partecipato alla rivoluzione neolitica e di come abbiano voluto ed ottenuto dire ciò che pensavano e fare ciò che volevano”. Secondo i suoi studi, quindi, le donne erano figure centrali e rispettate all’interno delle tribù, prima dell’avvento della storia documentata? È stato quindi solo in seguito che il ruolo femminile è stato ridimensionato dalla società di stampo patriarcale?

In base a quello che ci racconta l’antropologia moderna è proprio così. Il mio interesse, infatti, è stato indagare la condizione femminile prima del patriarcato. Della preistoria non abbiamo testimonianze scritte, ma abbiamo reperti archeologici che ci narrano una storia.
A seguito della scoperta archeologica di Göbekli Tepe, gli studi antropologici hanno dovuto ricollocare, retrodatandola, la datazione del neolitico, rivisitare la modalità di come è nata la domesticazione del grano e di altre piante, e la nascita delle prime realtà umane stanziali e non più solo cercatrici di cibo. In tutto questo si è anche capito che ‘La preistoria è donna’. Questo è il titolo di un saggio di antropologia della studiosa Marylène Patou-Mathis uscito in Italia lo scorso 2021 edito da Giunti. Il testo conferma quanto avevo appena narrato nel mio romanzo: ovvero che le donne che curavano la raccolta del cibo hanno per prime interagito nell’azione diretta della domesticazione del mondo vegetale e inoltre, essendo esse stesse destinate a spostarsi tra varie tribù, sono state il veicolo non solo di varietà genetica umana, ma anche di cultura: sono state il cuore pulsante dello sviluppo della storia umana. La società patriarcale ha completamente trasformato il ruolo femminile: basti pensare che la Grande Madre è tra le più antiche raffigurazioni di ogni cultura preistorica, mentre le raffigurazioni di Dei maschili è sostanzialmente successiva e che le Dee sono secondarie alla figura maschile. In altre parole, Zeus è venuto dopo la Grande Madre. Il che non vuol dire ‘viva il matriarcato’, vuol dire riconsiderare il ruolo femminile nella società moderna. In altre parole, la Storia che noi narriamo è, a mio parere, la storia della società patriarcale: il che non vuol dire che sia l’unica storia vissuta dall’umanità.

  • Vuole condividere con noi una citazione dalla sua opera che le sta particolarmente a cuore? Può anche spiegarci il perché della sua scelta?

Non è facile scegliere un brano da questo racconto. Propongo un dialogo tra lo sciamano Gnu e Hay.
… “Noi e loro, questo è un pensiero importante” mormorai, preparandomi per l’ennesima discussione. “Per una tribù tutti sono loro, sono fuori dalla tribù. Questo lo sai, vero? Anche noi, per quelli di cui parli, siamo loro, siamo gli altri”.
“Non capisco”.
“Cosa sai di queste persone? Nulla. Puoi sapere delle persone che hai vicino, come in una tribù o nella comunità delle Tacharayin kanayk’, ma degli altri non sai nulla e non ti puoi fidare” mi sollevai da terra e mi sedetti di fronte a lei a gambe incrociate. “Ricorda come per i Kefna tu eri ‘loro’, una sconosciuta, e anche per gli Akbi che non ti hanno mai veramente accettata. Così è per tutti”.
“Ma tutti siamo qui per il Tempio dei defunti e per la Grande Madre” ribadì ancora sorpresa.
“Non ci conosciamo. Sappiamo solo che insieme onoriamo i defunti e la Grande Madre, ma non sappiamo nulla gli uni degli altri”. Per me era così ovvio questo argomento che lo affermai quasi con fastidio.
“Sappiamo che tutti mangiamo, nasciamo e moriamo…”.
“E non c’è altro che sappiamo. Non conosciamo le loro storie e cosa fanno. Nessuno si fida di chi non conosce”.
“Possiamo raccontarci le nostre storie”.
“Non basta!”. Era veramente esasperante questo suo opporsi alle poche certezze che avevamo.
Hay spazientita si alzò in piedi. “Cosa serve ancora?” strillò.
La mia risposta fu più di una affermazione, fu un ordine: “Occorre fidarsi, essere certi che non vorranno ucciderti, toglierti quello che hai, rubarti donne e bambini”…

  • Vuole raccontarci qualche dettaglio del suo precedente romanzo, “La famiglia Zulu”?

Molto volentieri! La famiglia Zulu è un romanzo tutto al maschile.
Tre generazioni a confronto: nonno, padre e nipote. Ambientato in Italia, si svolge tra il 1993 e il decennio corrente. Il nipote, Gioacchino, nasce con un difetto genetico, la SGO, di mia invenzione, e la famiglia, capitanata dal nonno, lo rifiuta. A sorpresa di tutti Vittorio, il padre, decide di crescerlo. Osteggiato dalla famiglia, viene lasciato anche dalla moglie e rimane da solo. Qui inizia un vero viaggio di formazione sia per il padre che per il bambino. Vittorio, in origine una debole figura, si trova a crescere un figlio dall’aspetto strano, ma con delle belle qualità intellettuali e artistiche. Così cresce, diventa un adulto consapevole, e aiuta il figlio a trovare un posto nel mondo.
Ho scritto questo romanzo con vero amore.

  • In futuro tratterà ancora del periodo preistorico e del ruolo delle donne in quel contesto, oppure seguirà nuove strade?

Sinceramente non lo so. La condizione femminile mi interessa molto, quindi non escludo di intraprendere un percorso ambientato in qualche epoca successiva.
Al momento mi sono cimentata in un testo dal sapore distopico, ma senza tecnologia, che indaga un possibile momento di crisi della società patriarcale. Uscirà nella primavera del 2023.

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