“Crazy Heart – La dannazione e il bacio della seconda occasione” [Recensione]

La frontiera negli occhi di chi trova una seconda occasione

Crazy Heart, primo film diretto dallo sceneggiatore e regista Scott Cooper, basato sull’omonimo e bel romanzo di Thomas Cobb del 2008, è una storia semplice quanto realistica. È un po’ come il testo di una ballata country dolce e disperata.
La figura del protagonista, Bad Blake (interpretato da un magistrale Jeff Bridges), vecchia star della musica country che suona da un locale all’altro per vivere e garantirsi la sua bottiglia di whisky, si muove on the road, sul suo pickup nello sfondo della provincia americana tra Texas e New Mexico.
Un cantautore folk alcolizzato, vissuto tra sregolatezze e matrimoni falliti che ritrova, in una giovane reporter e madre single, Jean, una superlativa Maggie Gyllenhaal (“Secretary” di Steven Shainberg, “Lontano da qui” di Sara Colangelo, “Hysteria” di Tanya Wexler), l’amore.

Tutti gli ingredienti sono già conosciuti, motel, deserti con stazioni di servizio solitarie (mancava il Roy’s Cafè di Amboy nel Mojave), errori che si potevano evitare, dipendenza, un fisico ormai clinicamente al limite, la storia che si ripete, eppure Cooper, compie un’attenta analisi psicologica dello stereotipo del loser e lo fa senza scadere nel già visto.
Con accurata dedizione il regista non cede alla banalità di far percorrere a Bad la strada dell’autodistruzione per poi ricondurlo verso il successo, non cade nell’eroe ribelle, maledetto e alla fine casualmente vincente, ma si orienta verso una ricerca intima e naturale che spinge il personaggio ad ascoltare il suo passato.

Anche l’amore tra i due non si distrugge per gli errori, ma si trasforma e diviene un lenitivo salvifico che aiuta entrambi e li conduce su altre linee di vita.
Oltre all’ottima coppia dei protagonisti come non fare attenzione a Robert Duvall che interpreta Wayne Kramer, il saggio barista che sa parlare a Bad, e Colin Farrell che è Tommy Sweet, l’ex allievo di Blake che ha ormai preso il posto di Bad nel panorama del mercato discografico, ma riconosce al maestro sempre un palco d’onore.

Nel procedere delle scene, con un formato scope che sottolinea la bellezza del paesaggio, si attua un’elaborazione che diviene consapevolezza. Dalle sregolatezze rovinose Bad comprende che il crollo è vicino e riesce, con non poche difficoltà, ad uscire dal personaggio distruttivo che si è costruito per ritrovare l’uomo, la serenità e la sua musica.
È quasi una tacita espiazione che passo dopo passo, lo conduce in una normale quotidianità senza riscosse all’orizzonte. Il centro della storia risiede proprio nella capacità di un essere umano di capire quando fermarsi e prendersi cura di respirare il tempo, senza bruciarlo per correre sulla ruota del criceto.

Tecnicamente molto suggestivi risultano i movimenti della camera che riescono a trasmetterci il senso interminabile degli orizzonti nelle vallate americane.
Crazy Heart” è un altro di quei sporadici casi in cui si riscontra la voglia di realizzare un film lontano dal sistema.
Si percepisce il respiro di Peckinpah, di Cimino (“Thunderbolt and Lightfoot”, dove un giovane Bridges è coprotagonista insieme a Eastwood), un cinema artigianale apparentemente libero dai vincoli del botteghino dove un’armonica fotografia di Barry Markowitz si incontra perfettamente con il montaggio di John Axelrad.
La colonna sonora della pellicola merita un punto d’eccezione, volutamente creata attraverso suoni vintage, con attrezzature e microfoni d’epoca, sotto la direzione del maestro T Bone Burnett (“No Better Than This” di John Mellencamp, solo per citare una delle sue produzioni discografiche d’eccellenza) e il folk-singer Stephen Bruton, si presenta come un fiore all’occhiello con l’ulteriore particolarità: le canzoni cantate da Bad sono realmente provenienti dalla voce di Jeff Bridges con un risultato strepitosamente perfetto tanto che Bridges nel 2011 uscirà, sempre sotto la produzione di T Bone Burnett, con un suo album in stile folk/blues con brani scritti dallo stesso Bridges, da Burnett e da altri autori come Bruton, John Goodwin, Greg Brown e Thomas Cobb.

Il film, uscito in sordina tra il 2009 e il 2010, si è aggiudicato numerosi premi ricordiamo due Golden Globe: uno per il miglior attore in un film drammatico, vinto da Bridges e uno per la migliore canzone originale. Inoltre due Premi Oscar nel 2010: l’Oscar al miglior attore protagonista (Jeff Bridges) e l’Oscar alla miglior canzone originale per il brano “The Weary Kind” di Ryan Bingham.

Crazy Heart” rientra perfettamente nel mito della “seconda occasione”, in quella maledetta e inafferrabile possibilità che il destino, da qualche parte, ti può offrire. È come un treno in partenza sul quale devi scegliere, in maniera fulminea, se salire o restare giù.

Stefano Pavan

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