100 anni di Nino Manfredi

Girolimoni e i mostri del populismo

Il 22 Marzo 2021 Nino Manfredi, avrebbe compiuto 100 anni, era nato nel 1921 a Castro dei Volsci, in provincia di Frosinone.
Una carriera immensa, uno dei principali protagonisti della storia del cinema italiano, amato dal pubblico e apprezzato dalla critica.
Manfredi ci ha sempre regalato un italiano diverso da quello portato in scena da Alberto Sordi. I suoi personaggi, toccavano le coscienze e, tra una risata e un sorriso, ci invogliavano a riflettere sulle scelte che la vita ci pone davanti.
Più di cento i film girati, ricordiamo: “Operazione San Gennaro”, “Audace colpo dei soliti ignoti”, “Straziami ma di baci saziami”, “Nell’anno del Signore”, “In nome del Papa re”, “C’eravamo tanto amati”, “Pane e cioccolata”, “Brutti, sporchi e cattivi”, “La mazzetta”, “Cafè Express”, “Per grazia ricevuta” (dove è stato anche regista e sceneggiatore).

Oggi lo voglio ricordare con un film coraggioso del regista Damiano Damiani: “Girolimoni, il mostro di Roma“.
Una storia vera, rimaneggiata nella sceneggiatura, ma che riporta alla luce un’ingiustizia terribile che partì dal criminale regime fascista fino ad arrivare alla condanna popolare per sentito dire” che è peggio di quella di un tribunale, specialmente quando quest’ultimo ha riconosciuto l’accusato innocente.

La storia di Gino Girolimoni, un fotografo romano arrestato durante il fascismo e usato come capro espiatorio per mettere a tacere il caso di un assassino seriale di bambine. Così Gino venne dipinto con l’infamante accusa di essere il mostro/pedofilo.
Damiano Damiani, con una precisa ricostruzione degli ambienti del ventennio, insieme alla magistrale interpretazione di Nino Manfredi nei panni di Girolimoni, e con un cast di primordine ci presenta un incontenibile atto d’accusa diretto verso il delinquenziale regime fascista.
Regime, in questo caso responsabile, prima, della voluta costruzione di un errore giudiziario, e, dopo, di aver occultato le prove dell’innocenza attraverso l’imposizione, minacciosa, agli organi di stampa di un silenzio sull’errore commesso.
Il popolino, sempre pronto a cadere nelle reti del più violento populismo, non si lascia sfuggire il povero Gino che bolla come “mostro” da lapidare. Riflettendoci, i tempi passano, ma le dinamiche sulla giustizia italiana purtroppo restano.
In una Roma fiacca e assonnata nel marzo 1924, i romani, che ancora non hanno guardato in faccia il vero volto del fascismo, stravolgeranno l’esistenza di un uomo innocente.

E Gino è un uomo innocente, quando, quasi in parallelo con l’assassinio di Giacomo Matteotti, viene volutamente associato al “mostro” che nei quartieri romani di Borgo e di Ponte, sevizia e uccide bambine. La polizia si muove disordinatamente, brancola nel buio. I quotidiani nascondono la notizia nelle pagine interne, le direttive del Ministero dell’Interno sono chiare: niente enfasi, niente fotografie. La polizia non riesce a trovare il mostro e l’immagine di Mussolini ne è danneggiata.
Si diffonde il terrore, la folla spesso si avventa su chiunque sia anche lontanamente sospettato.
C’è bisogno di “ordine e disciplina”, Mussolini esige un colpevole e la parola d’ordine è: “trovare il mostro ad ogni costo”, non si può tollerare che lo Stato venga deriso e accusato di incapacità, la tranquillità deve tornare.
Bastano un marito geloso e un brigadiere ambizioso e Gino Girolimoni, agiato fotografo, viene marchiato come l’assassino. Malgrado le prove accusatorie siano inconsistenti, il fascismo annuncia entusiasticamente di aver liberato Roma dal “mostro“.

Il fascismo, consapevole dell’innocenza di Gino si serve di quest’ultimo per rinsaldare il suo pugno di ferro e decantare la sua efficienza. La stampa distruggerà la reputazione del protagonista. Eppure, date le scarse prove, la Polizia dovrà riconoscere che Girolimoni è innocente, ma ormai è troppo tardi. Per tutti egli è il Mostro. La sua estraneità ai fatti delittuosi e la sua scarcerazione non contano, le sue parole meno che mai, i giornali che prima lo avevano crocifisso ora non proferiscono una riga per riabilitarlo.
Il popolo lo vuole colpevole e, malgrado sia fuori dal carcere, Girolimoni, non riuscirà a rialzarsi perché è impotente e solo dinnanzi alla violenza di un muro di populismo e ignoranza.
Manfredi ci regala un’interpretazione sublime dove anche nella disperazione e nell’abbrutimento, del suo personaggio, riesce a far parlare gli sguardi senza mai cadere nella retorica.
Un film che si propone di rendere giustizia ad un uomo innocente distrutto dalla cultura del pregiudizio e del sospetto in un Paese che ha perso la dignità.
Il film si può dividere sostanzialmente in due parti che combaciano rispettivamente con l’ironia e la disperazione. Lo spettatore, alla fine del lungometraggio, non può non provare un profondo senso di commiserazione nei confronti del protagonista, ormai devastato e dimenticato da una società impietosa e ingiusta.

Dettagli: la sceneggiatura scritta a più mani da Damiano Damiani, Fulvio Gicca Palli, Enrico Ribulsi ci presenta una storia vera, rimaneggiata nei dettagli in quanto il vero Mostro (nel film un giovane Gabriele Lavia che uccide una nipote in casa, un episodio inventato) nella realtà dei fatti era probabilmente un prete protestante inglese Ralph Lyonel Brydges, noto pedofilo. A trovare le sue tracce fu un abile ispettore di polizia, Giuseppe Dosi che indagò sul mostro e scagionò Girolimoni, ma venne ostacolato dai superiori, per ingerenze della chiesa Anglicana su Mussolini allora Ministro dell’Interno, e chiuso in manicomio fino al 1940.

Stefano Pavan

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