Black Sea – [Recensione]

Un film dove dilaga rabbia e voglia di combattere.. verso i veri nemici degli uomini, ossia gli uomini stessi

.«Essere deboli in un mare verticale. 
Sentire quanto i rischi possano aumentare.. 
E odiare per sentirsi vivi,
Per percepire il solo senso che ha..»
Il mare verticale – Paolo Benvegnù

 

Black Sea” è una buona pellicola, ottima a tratti, con qualche sbavatura in altri (qualche buco di sceneggiatura al massimo), ma sospendendo l’incredulità riesce a coinvolgere in pieno, tenendo sul filo, col fiato sospeso, in inevitabile apnea per lunghi tratti.

È un film che cattura a partire dalle immagini, alcune subacquee, altre costruite in computergrafica, altre tratte da reperti storici con una piacevole quanto breve e necessaria introduzione per ricordarci le barbarie della guerra quanto la sua feroce inutilità (sarebbe un bene proiettarle mentalmente al presente, ma vabbhè…).

I rischi nella proiezione in una sala italiana sono nel doppiaggio, che non rende affatto giustizia e in alcuni momenti sembra quasi sfociare nella macchietta (però siamo ancora qui a dire che la nostra scuola di doppiatori è la migliore del mondo e blablabla..). Questo giusto per non fare la fatica di vedere i film come dovrebbero essere visti, cioè in lingua originale e con i sottotitoli. In più Black Sea riceve un bell’assist dai trailer delle prossime uscite, in particolare il prossimo “film” di Vanzina con Raul Bova e Ricky Menphis, in cui già dal trailer si capisce tristemente tutto, “trama & qualità” sebbene non si vorrebbe assolutamente (si dovrebbe prevedere la reclusione in questi casi, non c’è un reato di “offesa al decoro cinematografico”? Potremmo istituirlo per favore?).

 

Tornando a Black Sea, si deve ammettere che la trama è ben costruita attorno ad un equipaggio che cerca l’occasione della vita, una caccia al tesoro nazista-comunista ( lingotti d’oro che vengono dai due supercattivi della storia) sul fondale del Mar Nero. Il sottomarino ronza a basse frequenze tra colpi di scena e azioni avventate, c’è avventura, c’è suspense, ci sono gli elementi per attrarre un pubblico trasversale e tenerlo incollato alla sedia nonostante le riprese girate quasi interamente negli spazi angusti di un sottomarino, e quando esterne sotto una colonna d’acqua scura e minacciosa che fa quasi rimpiangere le scene claustrofobiche.

Eppure… eppure c’è dell’altro che rimane al margine, che fa da cornice sottile che però è fondamentale, più di quanto non sembri, che caratterizza il film e lo rende speciale, molto più della bravura e della stempiatura di Jude Law (ingrassato e involgarito per l’occasione, non quanto in “Dom Hemingway” ma quasi). Quel qualcosa è riassumibile in due parole sempre più fuori moda: “odio di classe”.

Black Sea è un film di persone che sono state fottute (più volte) dal capitalismo, dai banchieri, dall’economia del profitto, sono il risultato della globalizzazione e della macelleria sociale. I personaggi vedono in quell’oro nazista da recuperare la battaglia da vincere per riscattare le proprie vite (ombre che vagano in una guerra persa da tempo).

E poi c’è la natura dell’uomo, c’è la volgarità, l’avidità, la stupidità (anche degli sceneggiatori in alcuni passaggi, ma sono veramente pochi), c’è il contraltare della generosità, dell’amore, dell’intelligenza. C’è tutto, perché al netto delle azioni è un film complesso che si muove su binari diversi e, a ben vedere, anche divergenti. Non è un film facile da metabolizzare e non lo deve essere, perché nel film c’è rabbia e c’è voglia di combattere, ma non contro alieni o androidi, verso i veri nemici degli uomini, ossia gli uomini stessi.

Nicholas Ciuferri

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