Del tempo che si tratta…

"Ti farò finalmente leggere queste parole che stai leggendo, e capirai"...

Una di quelle è la tua casa, così mi hanno detto.
Un paese piccolo ma grazioso, forse. Non saprei dirlo, in realtà; non gli ho mai dedicato troppa attenzione. Per me aveva giusto il suono di storie andate, di vini buoni, di campane rubate. Ma niente di più.
Poi vennero i giorni in cui ti vedevo, chilometri e chilometri di distanza tra i nostri due cancelli aperti. Io guidavo verso una primavera sbocciata in autunno, costeggiando quelle case senza passarci in mezzo, senza sapere che una di quelle – chissà quale – un giorno sarebbe stata la tua. Era solo un paese al margine che prendevo come spunto per pensare che ero a mezza via, che presto ti avrei vista e mi sarei lasciato affogare nei tuoi occhi.
Poi venne l’inverno.

Io ora ci sto lavorando su, credimi. Ma ci vorrà del tempo ed è del tempo che si tratta. Adesso ho trent’anni, li ho compiuti anche senza i tuoi auguri. Ora le ore durano di meno e hanno il retrogusto del crepuscolo. È solo un inganno, ovviamente, scoprirai prima di me che la luce tornerà anche domani; ma ci sono cose che devono essere sistemate subito. Subito o mai più. Su questo, come dicevo e come sarebbe bello dirti, ci sto lavorando. Ingranaggio dopo ingranaggio, formula dopo formula, equazione dopo equazione, troverò la soluzione. Mi ci vorrà del tempo, questo è sicuro. Il tempo…

Tu i trent’anni li avevi già da un po’, per regalo avevi avuto un orologio che girava all’impazzata. Io potevo sentirlo ticchettare anche di notte, mentre dormivi e mi chiedevo cosa ci facevi lì con me in quello scivolare di secondi. “Il problema è che tu non ti vuoi bene”, mi dicevi. Vero. Mi fossi amato non ti avrei lasciata andare, non avrei immaginato mani migliori delle mie per aiutarti a costruire. E forse ancora oggi non mi voglio bene abbastanza da credere di avere avuto torto. Guardati ora, tu che puoi.

Gli ultimi segnali ti hanno detta pronta alla semina, ora che il terreno è fertile e dissodato. Germogli di una vita solida, concreta. Una vita vera. Capisci cosa intendo? Ora forse sì. Se lo capisci, capirai perché dovresti volermi più bene ora che non dovresti volermene più. E in virtù di questo bene ti prego di non pensarmi – se mai ti capitasse di pensarmi – immobile. Ho vinto la paralisi alle gambe e ho preso la rincorsa su tutti i giorni spesi chino ad imparare, recupero terreno e – fidati – un giorno ti supererò, senza però lasciarti indietro. Ci sto lavorando, te l’ho detto, te lo direi. Perché la mia rincorsa è cominciata il giorno in cui ti ho persa, quando ho scoperto che potevo perdere tutto e, in qualche modo, sopravvivere.

A quel tempo ancora non lo sapevo, vivevo di paure. Guardavo il sorriso del tuo sguardo irradiare le ore in cui il sole faceva difetto; ero lì, rapito, e lo assaporavo con la malinconia di chi è spezzato dentro. Credevo mi servisse tempo per guarire, ma le lancette erano impazzite e tu di tempo non ne avevi. Lasciare tutto e andare avanti era più facile per te, poi me lo hai dimostrato. Ma io sapevo già ogni cosa, anche se ero così piccolo. Ti guardavo sapendo che ti avrei vista partire, senza il coraggio di dirtelo. Avrei voluto avere il fiato per una parola, una sola, che sapesse fermarti. Ma la grazia che hai costruito sulle macerie meritava una casa, meritava riposo. Avevi bisogno di un uomo risoluto, io perdevo troppo tempo ad insegnare alle mosche una via d’uscita.
Poi venne l’inverno.

Oggi quel paese è un posto da evitare. È il rischio di incrociarti il passo, vedere gli occhi, i tuoi, troppo duri ormai per sprofondarci dentro senza ferirsi. Ci sto lavorando, ma ancora non è pronta, e non lo sono neanche io. Però sono partito, sto camminando, e tanto. Entrambi ora abbiamo un nuovo indirizzo. Io ho abbandonato la comodità in cambio di un orizzonte alla finestra e ossa più solide. Non ci metterei quasi niente ad arrivare da te, adesso che i nostri cancelli sono diventati così vicini. Ma sono chiusi. Io cammino sull’asfalto, fingendo di non pensare a quanto sono lunghe le soste ai semafori da quando non ci sei. Costeggio quelle case senza passarci in mezzo, senza sapere quale di quelle ora è la tua. E la sua.

Traiettorie che attendono risposta. La vita andrà un po’ così. Tu aprirai le persiane su una nuova giornata. Avrai a fianco una famiglia calda per cui sarà bello fare la spesa, sostenuta delle nuove scoperte contro le intolleranze alimentari e da una carezza sicura che ti solleverà un sorriso. Avrai seppellito ogni crepa del passato ombroso, neanche ti ricorderai di me.
Io sarò diventato il grande poeta che tutti sanno, uno dei pochi a curarsi dell’igiene personale. Talvolta ti nasconderò tra le mie righe, per non lasciarti andare via. Sarai mia musa, senza saperlo. Magari penseresti valga poco l’immortalità letteraria davanti alla diuturna gioia del risveglio. E, per allora, avrai avuto ogni cosa che hai sperato nei tuoi giorni da bambina, o da ragazza, o da donna. Tutto quello che sognavi, che sognavo di poterti dare.
Proprio per quei giorni avrò ultimato la mia personalissima invenzione, alla quale tanto alacremente lavorai: ingranaggi, formule, equazioni. Tirerò la leva e tornerò indietro, riavvolgerò le lancette impazzite del tuo stupido orologio fino all’istante prima di sentirti dire addio, fino al battito antecedente il nostro perderci per sempre. Avrò qualche secolo di troppo sulle spalle, ma spero non te ne accorgerai.
Ti prenderò la mano. Ti dirò che so per certo di una vita, da qualche parte nell’universo di cui fai parte, in cui hai avuto tutta la felicità per cui pregavo. Ti chiederò di fartela bastare per i giorni che ci aspettano, perché è ora il tempo di scoprire ogni traiettoria di una nostra vita insieme. Ti sussurrerò, forse mentendo, che nessuna gioia sicura sarà bella mai come l’ignoto oltre il cancello, come le nostre dita intrecciate, come noi, come l’estate. Ti farò finalmente leggere queste parole che stai leggendo, e capirai.
Mi dirai di sì.

Lo so, è presto per dirtelo, mi prenderesti per illuso. Lo vedo anche io che non sono ancora pronto. Ma sto camminando, te l’ho detto, ci sto lavorando su. Ciò che conta è che sono fuori dal viale. Ho capito che per guarire non mi serviva del tempo, era necessario vederti andare via. Ora so che cosa è stato, so che cosa devo fare. Non ripeterò l’errore di trovarti fuori tempo, mentre sono ancora zoppicante. Sarò in allerta, è una promessa.
Mi farò trovare pronto per la vita in cui ci rincontreremo.

di Matteo Mammucari

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14 Comments

  • Matteo M. scrive in modo fantastico. Antinomie temporali, concetti consegnati alle parole, strutture discorsive come emozioni della mente ….. mi piace un sacco! ☺️

    • ma anche quello del libro con la bucci!!! è bravissimo
      emozionante lettera.per tutte le volte che non abbiamo avuto il coraggio di prenderci la nostra anima gemella

  • La Vita andrebbe assaporata, sviscerata, vissuta, scarnificata, amata. In carne, ossa e sangue. Quello che effettivamente siamo, senza troppi preconcetti e senza troppe paure. L’Amore, quello vero, non ha paura e non fa paura. Non c’è niente di più puro. L’Amore è la forza che nasce da dentro per la rivolta reale, per il cambiamento. L’Amore, quello vero, fa tremare per il coraggio di esserci, giorno dopo giorno. Fa tremare per la presenza che sovrasta, per il calore che c’è, che esiste.Tangibile e reale.
    Tornare indietro, bella idiozia. Lasciamola ai film di fantascienza.

    “Indietro non si guarda mai due volte, indietro c’è la polvere da alzare per andare oltre.”
    Spero che possiate vivere d’Amore e non di rancore.

  • Se l’autore ha un cuore, si commuoverà per questo affetto che gli lasciate in coda.

    Le parole di […], nel suo commento, a proposito dell’amore sono molto belle, soprattutto per quanto riguarda il coraggio di esserci giorno dopo giorno (“la diuturna gioia del risveglio”). Ma l’amore rischia di essere un concetto abbastanza ampio, forse troppo per essere così chiaro, lampante e tangibile come si vorrebbe. Più che un dono è forse una conquista, attuata attraverso il proprio peregrinare. Ed è del tempo che si tratta.
    Alla citazione riportata si può rispondere per le rime, con un’altra canzone: “l’amore è tutto carte da decifrare / e lunghe notti e giorni per imparare […] e se l’amore è tutto segni da indovinare / perdona se non ho avuto tempo di imparare”.

    Quanto dice Stefano, poi, è una sorpresa. Sì, potrebbero essere righe sperperate nel vuoto, e allora chi ha avuto la fortuna di leggerle diventa la coscienza dell’autore o del narratore (che non sempre coincidono).
    Per questo, se qualcuno incontrasse la destinataria della lettera, per favore, le dica che queste parole sono sospese nel vento ad aspettarla.

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