I disturbi dell’alimentazione, in una società in cui molto è basato sull’immagine di perfezione, sembrano essere aumentati esponenzialmente. Non sempre si riesce a trovare una soluzione definitiva, ma la psicoterapeuta Marina Balbo da anni lavora sul problema. Da poco tempo ha pubblicato un libro, “Cibo amico, cibo nemico. Un interminabile conflitto. EMDR: la soluzione possibile“, in cui indaga le cause dei disturbi alimentari, i quali possono, in alcuni casi, essere superati attraverso una terapica innovativa. Si tratta del trattamento EMDR, che sta per “Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”. Il volume, pubblicato da Mimesis, approfondisce diversi aspetti derivanti da uno squilibrio alimentare, ma nell’intervista che l’autrice ha rilasciato, ci descrive i punti salienti del problema e la sua possibile soluzione
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– Il cibo non è sempre amico delle persone, quando diviene nemico e come fare per sconfiggerlo?
Il cibo rappresenta un elemento essenziale per la sopravvivenza degli esseri umani. In questo senso nel corso dei secoli è sempre stato un “amico”, qualcosa da procacciare e condividere. Fin dalla più tenera età, inoltre, il nostro cervello è in grado di associare determinati sapori a sensazioni di piacevolezza, conforto, cura. Diventa un “nemico” nel momento in cui le innate sensazioni di fame e sazietà subiscono un’alterazione di origine neurobiologica a causa dell’attivarsi di emozioni negative legate al rapporto con il cibo. Ciò determina la comparsa di problematiche con il cibo. Allo sviluppo di tali disturbi concorrono diversi fattori di rischio. Essi sono legati a variabili socioculturali, individuali e familiari. Per questo è bene rivolgersi ad uno psicoterapeuta. La cooperazione tra esperti del settore, ovvero psicoterapeuti specializzati nella presa in carico di adulti e bambini e nutrizionisti, è determinante nel garantire il successo dei trattamenti nel breve e lungo periodo. E’ necessario offrire cure multidisciplinari adeguate, poiché nella maggior parte dei casi la scarsa consapevolezza del problema e l’illusione di potervi fare fronte autonomamente complicano il quadro clinico. Una falsa credenza diffusa per quanto riguarda i bambini è che le difficoltà con il cibo possano essere transitorie, di poco conto o meno gravi di disturbi conclamati in età più adulta. Le competenze dei singoli professionisti sono utili altresì nel formulare diagnosi differenziali e nello strutturare progetti terapeutici appropriati alle caratteristiche psicofisiche delle persone.
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– Cos’è il metodo EMDR?
L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing,) è un trattamento terapeutico ideato negli anni ’80 da Francine Shapiro. Viene utilizzato per alleviare lo stress associato agli eventi traumatici e la sua efficacia è provata da numerosi studi scientifici. Può essere utilizzato solo da psicologi o medici abilitati alla psicoterapia. I terapeuti, adeguatamente formati e supervisionati nella loro pratica clinica, guidano i pazienti nell’individuare le esperienze traumatiche che sono alla base dei loro sintomi attuali. Cambiando infatti la percezione dei ricordi disturbanti, sarà possibile modificare il modo con cui l’individuo percepisce se stesso e gli altri, promuovendo la trasformazione dell’evento traumatico in risorsa. La specificità del metodo EMDR favorisce l’acquisizione di consapevolezza da parte del paziente delle ricadute delle esperienze traumatiche sul suo funzionamento attuale globale. Nel trattamento del disturbo alimentare il terapeuta ricerca, all’interno della storia di vita della persona, gli eventi traumatici alla base della formazione e del mantenimento del disturbo. Le emozioni più comunemente sperimentate, come la vergogna e la colpa rendono i pazienti con questo genere di disturbo particolarmente vulnerabili a sensazioni di sfiducia, timore di giudizio altrui. Per tali motivi, nella fase preliminare al lavoro con EMDR, il terapeuta aiuta il suo paziente a consolidare una buona relazione terapeutica, in cui il soggetto si senta accolto, compreso e soprattutto non giudicato.
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– Chi sono i soggetti che devono o possono usufruire del metodo EMDR?
Tutte le persone che vivono un disagio con sé stessi o con gli altri. Persone che hanno sintomi di ansia, depressione, paure e sicuramente disturbi con il corpo e con il cibo. Le esperienze traumatiche vissute specie in età evolutiva, possono contribuire all’insorgenza dei sintomi. Infatti, un evento universalmente riconosciuto come un trauma è sicuramente difficile da integrare nel Sé e nella propria storia . La sua elaborazione può richiedere al cervello uno sforzo impegnativo e durevole. In questo caso, il sostegno sociale e, attraverso di esso, il riconoscimento collettivo del diritto al dolore, giocano un ruolo favorevole che sembra facilitare l’elaborazione. Sta anche in questo, fra l’altro, il valore sociale dei riti e delle mobilitazioni al soccorso che, letteralmente, scandiscono e accompagnano le prime fasi dell’elaborazione degli eventi traumatici condivisi. Questo fattore di protezione non si verifica, invece, quando i traumi si consumano in spazi nascosti, quando la loro drammaticità non è palese, ma sottile e invisibile a osservatori esterni e non attenti. Fra questi, ricordiamo i tanti “ piccoli grandi “ traumi della vita quotidiana: le violenze, le incomprensioni, le relazioni interpersonali traumatiche soprattutto durante l’età evolutiva, gli insuccessi, le umiliazioni, i tradimenti. Tutti questi eventi emotivamente traumatici, e con una natura prettamente interpersonale, possono rappresentare una minaccia grave dell’integrità psicologica della persona e possono quindi rientrare tra i disturbi dell’adattamento, per poi evolvere successivamente in altre forme psicopatologiche come i disturbi alimentari. In generale, si può affermare che il rischio traumatico è tanto maggiore quanto più, ovviamente, l’evento è forte, ma anche quanto più esso è protratto e ripetuto, quanto più coglie la persona sola e impreparata, quanto più esso colpisce in età infantile. L’esperienza , in questi casi, non riesce ad essere elaborata , in questo caso le informazioni collegate al trauma − cioè i pensieri, le emozioni e le sensazioni corporee − che l’esposizione all’esperienza traumatica ha attivato resterebbero bloccate con le le stesse convinzioni, emozioni e sensazioni fisiche che si erano attivate al momento dell’evento. Il materiale traumatico viene pertanto “congelato” in attesa che si creino le condizioni per la sua elaborazione; le informazioni restano isolate e frammentate in reti neurali che conducono una vita autonoma e non si integrano con le altre conoscenze. Esse vanno, in altre parole, a costruire circuiti di memoria disfunzionali. L’EMDR consente di sbloccare l’esperienza negativa intrappolata nelle reti neurali riportando pertanto il cervello al suo naturale equilibrio, permettendo a esso di concludere un’operazione fisiologica patologicamente interrotta, integrare, “digerire” l’esperienza negativa vissuta, in modo positivo nella memoria. In questo modo i sintomi collegati al tentativo del cervello di gestire il disagio, diventano più gestibili e superabili.
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– Quando il soggetto è più vulnerabile al trauma e come può prevenirlo?
Una persona è più vulnerabile al trauma se ha vissuto in un ambiente familiare critico, episodi di trascuratezza fisica o emotiva o esperienze critiche importanti e ripetute. Ci sono persone che sviluppano una resilienza maggiore grazie alle proprie risorse. Diventa difficile prevenirlo se non c’è una riparazione di queste esperienze critiche attraverso una psicoterapia, soprattutto nelle persone che non hanno sviluppato forme di resilienza.
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– Qual è la tipologia di trauma, se ne esiste una mappatura, che scatena i disturbi alimentari?
Sono molto spesso traumi legati alle figure principali di attaccamento, più significative anche dal punto di vista filogenetico per la cura e la sopravvivenza. Questa tipologia di traumi incide significativamente sulle capacità di autoregolazione emotiva e sulle abilità relazionali dei soggetti. Per questo si hanno in certi casi maggiori probabilità di sviluppare un disturbo alimentare.
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– In che maniera il metodo EMDR rappresenta una soluzione?
La specificità del metodo EMDR favorisce l’acquisizione di consapevolezza da parte del paziente delle ricadute delle esperienze traumatiche sul suo funzionamento attuale globale. Nel trattamento del disturbo alimentare il terapeuta ricerca, all’interno della storia di vita della persona, gli eventi traumatici alla base della formazione e del mantenimento del disturbo. Le emozioni più comunemente sperimentate, come la vergogna e la colpa rendono i pazienti con questo genere di disturbo particolarmente vulnerabili a sensazioni di sfiducia, timore di giudizio altrui. Per tali motivi, nella fase preliminare al lavoro con EMDR, il terapeuta aiuta il suo paziente a consolidare una buona relazione terapeutica, in cui il soggetto si senta accolto, compreso e soprattutto non giudicato.
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– Quando il soggetto deve rivolgersi allo psicoterapeuta?
I profili psicologici delle persone che ne soffrono sono caratterizzati da timore ossessivo di biasimo e di delusioni, estrema vulnerabilità alle critiche ed alle disconferme, terrore di deludere gli altri e di essere delusi e generale incapacità di affrontare l’ansia e gestire le frustrazioni. Per questo, è frequente che tali soggetti tendano ad evitare la realtà, pensando di riuscire a gestire il rapporto con il cibo, non ricercando aiuti esterni e rifugiandosi in progetti e fantasie meravigliose che non verranno mai realizzati. In considerazione delle esperienze vissute, i soggetti possono scegliere di interrompere questo circolo vizioso e rivolgersi ad uno psicoterapeuta per lavorare in modo approfondito sulle cause di insorgenza e di mantenimento del problema con il cibo, per risolverlo definitivamente.
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– A termine del libro c’è un test di auto analisi. Una volta che il soggetto si rende conto di necessitare di un suo intervento, come può contattarla?
Chi lo desidera può contattarmi direttamente al 3472216803 oppure scrivendomi una e-mail all’indirizzo: balbomarina@gmail.com.
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Antonella Quaglia