Intervista esclusiva al co-creatore di “Orfani”: Emiliano Mammucari

In edicola la seconda stagione di uno straordinario successo bonelliano: "Orfani: Ringo". Ne abbiamo parlato con il disegnatore e co-creatore...

“Orfani”… e già il titolo è un programma. Simbolo di un futuro distopico dove le nuove generazioni sono ormai abbandonate da quelle precedenti, responsabili di una catastrofe che, come volevasi dimostrare, più che con la “natura” -ancorché aliena– ha a che fare soprattutto col proprio (umano) egotismo. Rimane la violenza nelle premesse di questa storia, e dunque la speranza… per sopravvivere, per tornare a vivere con tutto il corredo emozionale che l’esistenza da sempre riporta con se.
Dopo il successo della prima stagione, questa serie di fantascienza a colori presto arriverà addirittura in Tv, su Rai4, con il motion comics (prodotto da Sergio Bonelli Editore e Rai Com per iniziare il 6 dicembre con dieci episodi).
Un successo creato da Roberto Recchioni, oggi sceneggiatore e curatore editoriale anche del re-styling di “Dylan Dog” e dal disegnatore Emiliano Mammucari, che abbiamo avuto l’onore di intervistare.

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Intanto in edicola è arrivata la seconda stagione, “Orfani: Ringo“.
Il protagonista sarà proprio Ringo, l’ultimo orfano rimasto.. guerriero in viaggio dal Sud al Nord Italia con la missione di portare in salvo tre giovani ribelli da un Governo Straordinario di Crisi che controlla una nazione alla deriva, e ignara del vero pericolo.
Il primo numero è una figata. Ringo viene richiamato in causa dopo vent’anni, e dopo un’assalto al Governo Straordinario di Crisi, la fuga e la prima vittima, presentata in modo improvviso e scioccante, si capisce subito che anche questa seconda stagione non farà sconti. Tutto si preannuncia davvero avvincente.

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Ne abbiamo parlato con il maestro del fumetto bonelliano Emiliano Mammucari, co-creatore di “Ringo“… una splendida persona con cui ci siamo fatti una chiacchierata a tutto tondo sul fumetto e sulla sua visione artistica di questa avventura..

 

I fumetti riescono a raffigurare la realtà donandole un alone di autentica poesia, un surrealismo magico… Inoltre, qui parliamo di un fumetto di fantascienza, che seppur resterà sempre una letteratura d’evasione, tuttavia ha da sempre condotto i lettori verso un proprio e libero pensiero… con le sue denunce contro la guerra, la corruzione, il disastro ecologico e così via. Il fumetto rappresenta una delle più alte espressioni proprio della nostra società, in quanto in esso sono riscontrabili profondi e spesso chiari legami con la Società stessa che lo produce. Qual è quindi la tua opinione riguardo i soliti stereotipi e sul valore socio-culturale del fumetto?

La grande fortuna del fumetto è che per anni è stato considerato un linguaggio di serie B.
Mentre i critici d’arte erano impegnati a recintare gallerie e biblioteche, questo bizzarro connubio parole-immagini arrivava nelle case. I fumetti venivano letti quasi in clandestinità.
Negli anni ’70/’80 il fumetto è diventato adulto. L’evasione ha lasciato il passo a tematiche sociali, il pubblico si è fatto più maturo, e, soprattutto, hanno cominciato a circolare capitali ingenti. Attualmente le tavole originali vengono battute da Christie’s insieme ai quadri. Film tratti dai fumetti superano il miliardo di dollari. I critici letterari, quando hanno visto che i libri a fumetti vendono cifre a sei zeri, hanno inventato il terribile termine “graphic novel” per sdoganare quello che prima guardavano con condiscendenza. Gli stereotipi tendono a cadere con una facilità incredibile quando circolano i soldi.

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Come ti sei avvicinato al fumetto? Quali sono stati i tuoi preferiti? Oltre ai fumetti per bambini, anche te hai cominciato come molti in adolescenza ad avere nuovi contatti con i fumetti attraverso quelli porno?

Spero di non deluderti ma non ho mai letto molti fumetti porno. Mi piaceva molto il Manara dei primi anni ’80, questo sì. “Tutto cominciò con un’estate indiana” è un fumetto che consiglio sempre se uno vuole iniziare a leggere fumetti. È scritto da dio (il testo è di Hugo Pratt), disegnato in maniera magistrale e ha delle donne bellissime.

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Lavori nella Casa Editrice di fumetti più importante d’Italia, cosa ti fa piacere di questo e cosa è stato o è difficile accettare? Che tipo di ʿpesoʾ comporta essere un disegnatore di punta in quel contesto?

La prima volta che sono entrato in redazione su una scrivania erano appena arrivate delle tavole del maestro spagnolo Alfonso Font. I redattori sono abituati a lavorare con gente simile. Volevo girare i tacchi e andarmene…
Lavorare per Bonelli significa fare i conti con il fatto che i tuoi colleghi sono disegnatori straordinari e, se vuoi far sentire la tua voce, devi provare a stare al loro passo.
La difficoltà sta nel capire che se vuoi davvero contribuire a questa meravigliosa avventura che è il fumetto bonelliano devi conoscerne a fondo il linguaggio. E poi cercare di “tradirlo” per non scivolare nel cliché. Ecco, sì: tradirlo con amore.

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Insieme a Roberto Recchioni hai ideato “Orfani”, questo nuovo arrivato in casa Bonelli completamente a colori. Dal lato creativo le moderne tecnologie hanno influito sulle competenze degli storiboardisti, sui fotografi, sui disegnatori, sugli inchiostratori ecc…, vedi ad esempio l’uso di software avanzati. Nuove professionalità sono andate ad affiancarsi a quelle emergenti, facendo magari registrare una perdita di alcuni modi tradizionali di creare. Tu ad esempio da poco hai abbandonato il pennello e ti sei messo a disegnare col computer. Cosa pensi al riguardo? Ci sono vittime anche nel tuo ambiente di lavoro?

Vittime non lo so, certamente ci sono alcuni di noi che sono più ancorati di altri a metodi tradizionali. Le idee nuove devono essere studiate per arrivare al pubblico in maniere diverse. Fare un lavoro enorme per avere solo un mese di “vita” in edicola non basta più.
Dal punto di vista del disegno, quando abbiamo cominciato “Orfani” il lavoro era tutto su carta. Ora si disegna molto al computer perché dimezza i tempi e permette una colorazione migliore.

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Alla luce di tutto questo, con l’avvento di “Orfani” siete riusciti in qualche modo ad invogliare l’introduzione di un elemento profondamente innovativo per la Bonelli: il colore. Prima era un’eccezione, per voi è un fondamento. Come sta procedendo questa “apertura” sia dal punto di vista professionale che da quello del riscontro di pubblico?

L’introduzione del colore è stato fortemente voluto da parte della casa editrice. Il compito di noi creativi era di trovare, sul campo, soluzioni adatte al nostro tipo di fumetto. Americani e francesi usano il colore da settant’anni e hanno una loro riconoscibilità, noi stiamo cercando la nostra.

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“Orfani” non avrebbe funzionato in bianco e nero? Temete i puristi del bianco e nero e del “si stava meglio quando si stava peggio”? Ma soprattutto, tu vedi la vita a colori o in bianco e nero?

Qualche schiamazzo da parte dei puristi c’è stato, ma non per il colore: alcuni non ci perdonano il fatto di aver cercato un pubblico nuovo, più giovane. Altri di non aver rispettato i tempi di lettura tradizionali (Orfani si legge in metà tempo rispetto a un albo classico). Alcuni ci accusano di avere tematiche troppo leggere, altri di essere troppo violenti. Nell’era dei social network sembra tutto amplificato:l fumetto sta andando bene, sta piacendo moltissimo, e tanto basta.
E comunque io vedo la vita in scala di grigi. C’è il bianco e c’è il nero, ma sono le sfumature quelle che contano.

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A questo punto possiamo senza dubbio affermare che avete dato una bella virata alla tradizione bonelliana; oltretutto oggi “Orfani” è stato pubblicato in diversi paesi ed è diventato anche un libro… Non solo, Sergio Bonelli Editore è entrato nel multimediale, e lo ha fatto proprio per voi con il motion comics di “Orfani”… parlaci un po’ di questi altri entusiasmanti sviluppi di così ampio respiro.

Come dicevo prima: le idee nuove devono essere agili. Quando abbiamo iniziato a lavorare a “Orfani” (nel 2009) non nego che ci sarebbe piaciuto realizzare qualcosa di adatto all’esportazione e ad essere inserito nel circuito librario. Sinceramente non avrei mai pensato che Rai e Bonelli avrebbero investito per realizzare un motion comic, ma d’altronde non ne avevo mai visto uno. “Astonishing X-Men” mi pare sia del 2010. Il motion comic di “Orfani” verrà presentato in anteprima a Lucca di quest’anno.

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C’è qualche personaggio di Orfani ispirato a qualche tuo amico o conoscente?

Uso sempre tutto quello che ho intorno. Le montagne che si vedono nel primo “Orfani” sono quelle vicino casa mia. Per creare i visi dei personaggi parto da riferimenti lontani (il cinema, per esempio), ma finisco inevitabilmente a farli assomigliare a persone che conosco. È un modo come un altro per renderli veri.

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La prima volta che ho visto il fumetto, mi sono tornate in mente alcune SerieTv, comprese quelle contemporanee come “Falling Skies”, “Revolution” o “The Walking Dead” per fare solo qualche esempio… tutte immerse in scenari apocalittici… dobbiamo preoccuparci? Come saprai anche noi siamo abbastanza angustiati in merito… Uki è un piccolo cyborg con la testa di luna, a voler significare che la tecnologia ha la magica proprietà aumentativa di qualsivoglia facoltà ..che tuttavia rimane senza alcun scopo ontologico -se non quello assegnatogli dall’uomo stesso; nondimeno, la testa di luna è l’ultimo elemento naturale rimasto a Uki prima che si trasformi in un robot, così come l’umanità rischia sempre più di trasformarsi ineluttabilmente in tanti automi… fino alla distopia. Sei d’accordo con questo monito?

Penso non sia un caso che, dall’ 11 settembre in poi, non ci sia più una forma di racconto che veda il futuro in maniera positiva. La fantascienza è un genere che sa intercettare bene angosce e desideri: il mondo ha subito un giro di vite feroce e, se vuoi raccontare il domani, devi partire dall’oggi.
Mi piace il vostro simbolo. È un manifesto programmatico.

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Sta ripartendo la seconda stagione, stavolta è Ringo, l’unico sopravvissuto, il fulcro della storia. Cosa dobbiamo aspettarci?

Nella prima stagione abbiamo lasciato fuori dal racconto quello che accadeva sulla Terra. Ora è venuto il momento di raccontarlo. Partiamo dall’Italia, precisamente da Napoli, e saliamo verso l’alto. “Orfani: Ringo” è la storia di un uomo che impara a fare il padre in un mondo ostile.

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Hai già in mente nuovi rivoluzioni artistiche? Dal momento che quelle civili non si attuano, sei d’accordo che forse solo nell’arte si possa davvero sovvertire una “forma pensiero”? Oppure fanculo tutti e l’unica cosa che davvero ci resta è la ʿnostraʾ “forma” (soggettiva) di vita? …L’unica che davvero possiamo cambiare?

Sono fermamente convinto che l’arte non sia in grado di fare nulla. Anzi. La generazione di Woodstock si è fermata ad Altamont. Il maggio francese è morto di retorica. I figli del ’77 sono finiti nei salotti-bene.
La cultura non cambia le cose, non in senso stretto. L’arte può solo raccontare. Raccontare però significa emozionarsi, e emozionarsi serve a restare vivi.

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Fatale

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